Vent’anni di isolamento in un carcere turco. Lì Ocalan ha fatto la rivoluzione
Kurdistan. A due decenni dal rapimento del leader del Pkk, dalla Siria all’Iraq, Ankara reprime il popolo curdo. Ma a Rojava la teoria si fa realtà
Il 15 febbraio 1999 Abdullah Ocalan veniva rapito dai servizi segreti turchi in Kenya. Erano trascorsi 21 anni dalla fondazione del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Altri venti ne sono passati dall’inizio di un isolamento brutale, nell’isola-prigione di Imrali, Mar di Marmara.
Ma sarebbe un errore definire quel giorno di due decenni fa l’inizio della fine. È stato l’inizio di un altro inizio, di una trasformazione che genera frutti. Una rivoluzione che Ocalan coltiva da dietro le sbarre. In isolamento ha pensato, scritto, sognato. Ha portato fuori dalla cella testi che sono diventati la base teorica di un processo unico in Medio Oriente e nel mondo: il confederalismo democratico in atto a Rojava, nel nord della Siria. Ha traghettato il Pkk da movimento nazionalista e marxista a movimento che ha nell’autonomia senza Stato il suo pilastro.
Rojava è divenuta il terreno fertile per la terza via, l’alternativa a capitalismo e socialismo: autogoverno, cooperativismo, femminismo, ecologismo sociale. E internazionalismo: questo pezzo di terra da anni attira l’attivismo concreto e la partecipazione della sinistra globale, i singoli, i movimenti di base.
Una realtà nemica per i tradizionali attori della regione, gli Stati-nazione. Gli ultimi anni non hanno conosciuto solo la rivoluzione, ma anche una rinnovata violenza esercitata sul popolo curdo dalla Turchia.
Fatto fallire il negoziato di pace voluto da Ocalan, Erdogan (prima da premier e poi da presidente) ha promosso e promuove la dura repressione del sud-est turco a maggioranza curda: prima con un’offensiva militare, nel 2015, brutale come poche altre (mezzo milione di sfollati, migliaia di morti, città rase al suolo), poi con l’arresto di migliaia di membri e sostenitori del partito di sinistra Hdp (tra cui dodici parlamentari).
Ha invaso la vicina Siria, occupato il cantone curdo di Afrin, lo ha svuotato. Si prepara ad ampliare l’offensiva oltre il fiume Eufrate, verso Kobane (attraversata ieri dalla marcia in onore di Ocalan: partita da Chelebiye arriverà a Elpelûr, dove Apo viveva ospite di Damasco prima dell’espulsione). Oltre il confine Ankara bombarda su base quasi quotidiana i monti di Qandil (l’ultima volta ieri e martedì), dove si sono rifugiati i combattenti del Pkk dopo il ritiro dalla Turchia.
Nel silenzio dei governi, il popolo curdo resiste. Il suo simbolo oggi è la parlamentare Leyla Guven: oggi cadono i 100 giorni dall’inizio del suo sciopero della fame, protesta contro l’isolamento di Apo. Il leader da dietro le sbarre continua a lanciare nuovi inizi.
di Chiara Cruciati, Il Manifesto