V Report della delegazione in Kurdistan
Da Ankawa, città di Hawler (nome kurdo di Erbil): dopo millenni di convivenza con altre etnie, altre religioni, con i massacri di Daesh, sta scomparendo la comunità cristiana dal Sud Kurdistan.Siamo arrivati al Campo di Ankawa, in Hawler, dopo la visita ad un interessante museo delle tradizioni e degli antichi mestieri del villaggio originario di Ankawa, quartiere ormai integrato nella realtà della città capitale del Kurdistan iracheno.
200 famiglie, per un totale di 5.500 persone, cattolici, ortodossi, assiriani, nassiriani, aramaici, tutti di tradizione cristiana, si trovano nel campo profughi di Ankawa, gestito dalla Caritas e da una ong francese. Dirige il campo, padre Emanuel.
Lunghe file di casette, senza tende, con i servizi essenziali, pulizia e cordialità, questo abbiamo trovato visitando il campo, qualcosa di molto diverso dal senso di disperazione incontrato tra i profughi del campo di Domiz, visitato nei giorni scorsi presso Duhok. C’è una scuola fatta dal governo italiano e una chiesa costruita dai francesi.
I responsabili del campo ci dicono che solo i cristiani sono ammessi nel campo di Ankawa, che ha una lista di attesa di oltre 1.000 persone.Questi profughi sono fuggiti da Mosul il 6 agosto 2014, piana di Ninive, con l’arrivo dei Daesh, si sono riparati in due villaggi della zona prima di arrivare qui, in città, nel quartiere cristiano di Ankawa.
Sono gli stessi cristiani che la nostra delegazione aveva incontrato lo scorso anno, riparati in qualche modo ad Ankawa Mall, un centro commerciale in costruzione.In tutto il Kurdistan del Sud, sono rimaste 15.000 famiglie di tradizione cristiana, seppur divisi dalle diverse confessioni, mentre altre 6.000 hanno preferito lasciare e sono riparate in Giordania, Libano, Turchia e in Europa.
Dall’incontro con i responsabili del campo, emerge un forte pregiudizio sulla convivenza, il che ci fa capire come quel mosaico di popoli, etnie, religioni che fino a ieri in Kurdistan hanno pacificamente convissuto, stia andando in frantumi e si stia affermando un pericoloso concetto di separazione, di divisione, preludio di periodi sicuramente più oscuri.
La delegazione in Kurdistan del Sud e in Rojava