Una comandante scrive da Afrin: Abbiamo combattuto per la nostra democrazia, adesso la Turchia vuole distruggerla
Nujin Derik è la comandante delle Unità di Protezione delle Donne scrive da Afrin al New York Times.
Da più di una settimana la mia casa nella Siria nord-occidentale è sotto l’assalto su vasta scala dell’esercito turco e di migliaia di jihadisti islamici allineati alla Turchia.
Da molto tempo il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, minacciava l’invasione e da parecchi mesi l’esercito turco ha preso di mira con mortai ed artiglieria i nostri villaggi.
Io ed i compagni delle Unità di Protezione delle Donne e della Popolazione Curda, conosciuti come Y.P.J e Y.P.G, abbiamo combattuto duramente per anni per tenere fuori lo Stato islamico da questa regione autonoma siriana, il Rojava. Siamo riusciti a non rispondere agli sbarramenti dei turchi, anche dopo la morte di civili, così da non fornire il pretesto per invaderci.
Ciononostante il sig. Erdogan ha sguinzagliato incursioni aeree, carri armati e truppe in questa zona, un tempo isola di pace in questo Paese lacerato dalla guerra.
Si poteva pensare che la comunità internazionale, e specialmente gli Stati Uniti che erano stati più che felici di averci come partner nella lotta contro lo Stato Islamico, si sarebbe fermamente opposta a questo attacco non provocato ed eseguito in nome dell’odio razziale ( il sig. Erdogan ha dichiarato di avere intenzione di impegnarsi nella pulizia etnica della popolazione curda di Afrin o, come dice lui, di dare la regione ai suoi “veri proprietari”)in vece è stato accolto per lo più col silenzio e perciò tacitamente legittimato.
All’amministrazione Trump, adesso, non importano altro che i propri interessi tattici? Messaggi titubanti e richiami alla “cautela” non sono sufficienti. Oltre ad esercitare una vera pressione sui propri alleati turchi, gli Stati Uniti dovrebbero fare pressione per creare una zona d’interdizione al volo su Afrin ed il resto di Rojava. I leader in Gran bretagna, Francia ed altri devono prendere posizione morale e chiedere la cessazione di questa carneficina.
L’esercito turco ha addestrato i più delinquenti estremisti islamisti che si potessero trovare nel cosiddetto Esercito Siriano Libero che fa parte dell’assalto, inclusi membri delle squadre della morte fasciste, i Lupi Grigi, e affiliati di Quaeda, acquistando dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Germania armamenti high-tech. Vengono mandati nel nostro Paese spalleggiati dagli aerei F-16, dai carrarmati tedeschi Leopard e da soldati regolari turchi.
Però Erdogan chiama noi terroristi, asserendo che noi ed il Partito dei Lavoratori Curdo ,contro il quale ha combattuto in Turchia, siamo identici. L’ipocrisia di questa sottile giustificazione per la sua invasione è impressionante. Le nostre forze hanno condotto la battaglia contro il vero terrorismo rappresentato dallo Stato Islamico, anche quando la Turchia gli forniva appoggio ed il suo petrolio era venduto in Turchia.
Adesso la Turchia si allea con gli jihadisti e li spalleggia con gli armamenti della Nato per attaccarci. Il mondo vuole davvero credere che siamo noi i terroristi perchè condividiamo gli stessi obiettivi di democrazia, salvaguardia ambientale e liberazione delle donne del movimento per la libertà curdo?
Ammettiamo con orgoglio di sostenere queste idee come membri del movimento curdo in Turchia ed altrove. Le nostre forze, però, si sono focalizzate nella lotta contro lo Stato Islamico, una lotta nella quale avremmo voluto la Turchia come alleato e non come nemico.
Le potenze occidentali adesso credono forse che una dedizione troppo profonda ai loro dichiarati ideali di democrazia sia terrorismo? Il sig. Erdogan, d’altra parte, è nemico delle donne, che lui ha chiamato ” mezze persone”, e le idee dei suoi galoppini fondamentalisti sono anche peggiori.
Cosi come le combattenti furono essenziali nella difesa di Kobane e nella liberazione di Raqqa, dove l’obbiettivo principale era la liberazione delle donne yazidi che gli jihadisti avevano portato lì come schiave, noi resisteremo agli invasori, qui ad Afrin.
C’è molto per cui vale la pena di combattere. Fino all’invasione turca eravamo riusciti a mantenere Afrin come rifugio per tutti coloro che scappavano dal terrore della guerra civile. Lavoravamo per sviluppare le nostre proprie istituzioni democratiche.
Nonostante la povertà e la mancanza di aiuti esterni abbiamo condiviso ciò che abbiamo con i rifugiati fino al punto che il numero degli abitanti si è ingigantito.
Coerentemente con la nostra filosofia di un confederalismo democratico abbiamo istituito dei comitati locali cosicché tutti possano partecipare alle decisioni che riguardano il loro quartiere e le loro comunità. Teniamo elezioni monitorate in modo indipendente e ci assicuriamo che le donne e tutti i gruppi etnici siano rappresentati adeguatamente al governo. Il nostro sistema democratico è sempre di più l’opposto di quello turco, dove il presidente Erdogan schiaccia il dissenso e accentra il potere ogni giorno di più.
Abbiamo perso migliaia dei nostri fratelli e sorelle nella guerra contro lo Stato Islamico e, se questa invasione continua, sarà solo una questione di tempo prima che gli jihadisti rimasti non riprendano il controllo dei luoghi che abbiamo liberato.
E le stesse forze turche, alleate come sono a gruppi estremisti, costituiscono una seria minaccia alle nostre comunità assire, armene cristiane e yazidi. Gli aerei turchi stanno uccidendo bambini e civili e distruggono i nostri villaggi. Chi si era rifugiato qui scappa, ma non avrà più riparo.
Chiediamo alle potenze occidentali di agire secondo i loro principi. Perchè non condannate questo assalto, palese e non provocato, agli stessi uomini e donne che erano schierati spalla a spalla con voi contro l’oscurità dello Stato islamico? In questo momento un diverso demone, quello della sempre meno democratica Turchia del sig. Erdogan, mira a distruggere la nostra democrazia appena nata. E stavolta afferma di farlo a vostro nome.
di Nurin Derik
articolo originale: https://www.nytimes.com/2018/01/29/opinion/turkey-erdogan-syria-kurds.html
Traduzione di Stefania Martini – brigata traduttori