Turchia: Erdoğan vince con la strategia della tensione. Cos’è il meno peggio per l’Occidente?
Il Partito della Giustizia e dello sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi –AKP) del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ha sovvertito i sondaggi ed ha vinto, con il 49,3% dei voti e 316 deputati su 550, la sua scommessa, ma era una scommessa truccata e giocata ad un tavolo macchiato di sangue, dal quale aveva sbarazzato via gli avversari con il terrore e l’intimidazione e il ricatto.
A urne chiuse, mentre esercito e polizia si scontrano con i kurdi nelle città in fiamme nel sud-est del Paese, emerge con forza la svolta antidemocratica dell’islamo-conservatore Erdoğan, che ha riottenuto il governo al suo solo partito dicendo più o meno «O me o il caos», solo che era ed è lui stesso il demiurgo del caos, del terrore e della guerra che promette di far cessare- E’ l’AKP, al potere dal 2002, ad aver portato la Turchia sull’orlo dell’abisso, è Erdoğan ad aver dichiarato guerra ad una parte del suo popolo, ad aver stracciato la tregua ed i negoziati con i Kurdi e il PKK, ad aver chiuso giornali e televisioni, ad aver arrestato giornalisti, attivisti, oppositori, ad aver beneficiato delle stragi e degli attentati contro la sinistra filo-kurda del Partito democratico dei popoli (Halkların Demokratik Partisi – HDP) e della guerra contro la popolazione kurda che ha fatto almeno 400 morti.
L’islamismo moderato di Erdoğan si è trasformato in una democrazia autoritaria che vuole diventare una Repubblica Presidenziale confessionale e ancora più autoritaria, in altri tempi sarebbe bastato molto meno a scatenare un golpe dell’esercito kemalista e guardiano della laicità della Turchia, oggi quello stesso esercito – corrotto e potente come e più di prima – è il più fedele alleato degli islamisti e lo è nel nome di un ipernazionalismo guerrafondaio ed antidemocratico che ha permesso ad Erdoğan di riportare al voto quella parte del suo elettorato che aveva disertato le urne alle ultime elezioni e di succhiare buona parte dei voti ai fascisti del Partito del Movimento Nazionalista (Milliyetçi Hareket Partisi – MHP), la copertura politica dei famigerati Lupi Grigi, che per tutta la campagna elettorale hanno dato la caccia ai militanti di sinistra e kurdi.
In passato sarebbe bastato molto meno per spingere l’Unione europea a realizzare un cordone di riprovazione democratica verso un Presidente e un governo di un Paese che hanno trasformato le elezioni in una farsa e la Turchia in un regime oppressivo, invece Angela Merkel è volata ad Ankara alla vigilia delle elezioni per trattare con un riottoso Erdoğan un improbabile accordo sui migranti siriani, dando così all’elettorato turco la dimostrazione di chi conta, di chi è l’interlocutore dell’Europa e degli USA, visto che non è mancato l’appoggio nemmeno di Barak Obama e che certamente non c’è stata nessuna riprovazione della svolta autoritaria di Ankara da parte degli USA.
Ancora una volta l’Occidente ha mostrato il suo doppio standard e dimostrato che l’autoritarismo viene combattuto solo quando “sbaglia” alleanze e viene tollerato, finanziato e armato quando sceglie l’alleato “giusto” e soprattutto se l’avversario, chi chiede più democrazia, è un po’ troppo di sinistra come l’HDP. Un atteggiamento pericoloso per noi europei e la qualità della nostra stessa democrazia, visto che è lo stesso che porta a tollerare ogni eccesso della destra xenofoba e confessionale in Paesi come l’Ungheria e la Polonia ma ad intervenire prima pesantemente per evitare la vittoria do Siryza in Grecia e poi a non intervenire affatto per la violazione del voto democratico in Portogallo, dove un presidente della Repubblica conservatore ha ridato l’incarico al premier di centro-destra uscente che ha clamorosamente perso le elezioni, per evitare la nascita di un governo maggioritario tra Partito Socialista, Blocco di Sinistra e Partito Comunista/Verdi che insieme hanno preso il 62% dei voti.
Da queste elezioni insanguinate e nelle quali sono state fatte a pezzi la libertà di informazione e la possibilità delle forze politiche di esprimersi liberamente in condizioni di parità, esce un AKP con la maggioranza assoluta in Parlamento ma senza la maggioranza qualificata dei due terzi per poter cambiare la Costituzione ed incoronare Erdoğan sultano del Paese, ma l’AKP ha nei Lupi Grigi alleati e squadristi fedelissimi che sognano una nuova svolta autoritaria e di sbarazzarsi una volta per tutta dei “comunisti” e dei kurdi. Se non bastasse – o se un’alleanza alla luce del sole con i fascisti fosse troppo sconveniente persino per le comprensive cancellerie europee – l’AKP potrebbe sempre blandire i “socialdemocratici del Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi – CHP), per il quale ha votato la grossa minoranza sciita/alevita, e che, nonostante abbiano ottenuto il 25,4% dei voti, sembrano ormai essere l’opposizione laica di sua maestà e che potrebbero essere tentati da una grosse koalition (che piacerebbe molto agli ambienti economici turchi) per mitigare lo strapotere del sunnita Erdoğan e “tranquillizzare” quella parte di estabilishment europeo che pensa ancora che una democrazia dovrebbe almeno salvare le forme.
Ma la strategia della tensione, le stragi e gli omicidi strada per strada e casa per casa avevano di mira quella che sembra l’unica vera opposizione ed alternativa in Turchia: quella dell’HDP, un partito che si voleva annientare, al quale è stato impedito di fare campagna elettorale, davanti al quale si volevano sbarrare nuovamente le porte del Parlamento di Ankara impedendogli di superare la soglia del 10%.
Erdoğan, i Lupi Grigi, l’esercito, la polizia e i kamikaze impuniti dello Stato Islamico/Daesh ci sono quasi riusciti, ma non ce l’hanno fatta: l’HDP ha resistito conquistando la maggioranza assoluta nelle sue roccaforti kurde e con buoni risultati in alcuni quartieri progressisti delle grandi città e, con il 10,4% dei voti resta in Palamento a rappresentare le minoranze e le differenze che fanno tanto paura a fascisti e islamisti ed all’elettorato conservatore e religioso che si è confermato sociologicamente maggioritario in Turchia.
Come ha detto a Libération Menderes Cinar, professore di scienze politiche all’università Baskent di Ankara, «Erdoğan e l’AKP, durante i loro 13 anni al potere, hanno occupato lo Stato ma non l’hanno democratizzato. I loro sostenitori temono che, se perdono il potere, tutto ritorni come prima». Erdoğan ha vinto puntando tutto sulla paura e ora si ritrova tra le mani un Paese impaurito e diviso, mentre il suo regime è visto come i minore dei mali dall’Unione europea: una situazione che riporta a quella che in molti definiscono la sirianizzazione della Turchia e nella quale il Paese è stato spinto dal delirio di onnipotenza e dall’ambizione sfrenata del sultano di Ankara, l’ex modernizzatore che tanto piaceva a Silvio Berlusconi.
Ma l’odio e la paura seminati da Erdoğan e dalle squadracce al suo servizio sono una miscela esplosiva che ha già preso fuoco stanotte nelle barricate erette nel Kurdistan poche ore dopo che sono stati resi noti i risultati elettorali o che covano sotto la cenere della paura e del silenzio che ricopre i quartieri kurdi e di sinistra di Istanbul e Ankara. Kadri Gürsel, ex editorialista di politica estera del Milliyet, licenziato in tronco tre mesi fa per aver criticato Erdoğan in un tweet, ha detto a Le Monde: «Il dato è completamente cambiato, la questione kurda si è ancora più regionalizzata ed è impensabile che il PKK ritorni direttamente o indirettamente al tavolo dei negoziati nelle stesse condizioni di prima».
Ha ragione il co-presidente dell’HDP, Selahattin Demirtas, quando dice che si è trattato di «Elezioni né democratiche né giuste», monopolizzate in televisione dall’AKP che ha lasciato all’HDP 18 minuti di spot sulla televisione nazionale contro 60 ore di Erdoğan e del suo Partito che le hanno utilizzate per presentate l’HPD come una succursale del PKK e richiamare alle urne un elettorato spaventato a morte da una martellante propaganda nazionalista a senso unico.
Per questo, è un miracolo che il Partito Democratico dei Popoli sia riuscito ad uscire vivo dalla strage di Ankara, dagli attentati, dalle persecuzioni, dagli omicidi e dagli arresti dei suoi militanti. La strategia della tensione e del terrore di Erdoğan, dei Lupi Grigi, dei servizi segreti e dell’esercito ha funzionato, ma non è riuscita a soffocare l’unico vero seme di speranza di una Turchia democratica ed in pace con sé stessa e con i suoi popoli.
di Umberto Mazzantini
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