Turchia, cresce la repressione contro ogni voce di dissenso
Contro la censura di fatto imposta ai media locali non allineati diventa indispensabile il supporto degli organi di informazione internazionale.
28 novembre 2015: è stato ucciso TAHIR ELCI, avvocato per i diritti umani di Diyarbakir E PRESIDENTE DEL Consiglio dell’Ordine degli avvocati;
26 novembre 2015: arrestati due giornalisti del giornaleCuhmuriyet, accusati di alto tradimento: CAN DUNDAR e il caporedattore ERDEM GUL;
22 novembre 2015: attentato alla vita di Selahattin Demirtas, copresidente dell’Hdp, partito democratico dei popoli.
Siamo stati in Turchia, nei giorni a cavallo delle elezioni politiche dell’1 novembre scorso, come parti di una delegazione di osservatori internazionali insieme ad altri colleghi giornalisti e avvocati dell’Associazione Giuristi Democratici e del Legalteam Italia, per monitorare lo svolgimento pacifico e regolare del voto. Ci siamo andati in risposta all’appello dell’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) in seguito alle gravi violenze sui civili perpetrate dalle forze armate turche con l’avallo del Governo nazionale dopo la sconfitta del partito di maggioranza, l’Akp alle precedenti elezioni del 7 giugno.
I media di tutto il mondo hanno documentato centinaia di morti nelle strade, da Ankara a Suruc, a Diyarbakir. In particolare nelle regioni curde, nel sud est della Turchia sono state usate violenze spropositate nei confronti dei civili, così nelle città di Bitils, Cizre, Mardin, Nusaubin, Lice, Hakkari,Dersim, e altre, segnate da lunghi coprifuochi e bombardamenti indiscriminati che hanno stremato la popolazione e distrutto case, negozi, luoghi di culto, cimiteri.
Durante le operazioni di voto, abbiamo constatato numerose violazioni delle regole elettorali, in particolare mezzi blindati e agenti della polizia e dell’esercito, armati, sostavano presso i seggi in spregio al divieto di sostare nel raggio di 25 metri, con chiaro intento intimidatorio. Alcuni seggi sono stati trasferiti in quartieri e villaggi laddove sarebbe stato più facile il controllo delle forze di polizia.
Abusi e violenze sono stati perpetrati sotto gli occhi di numerosi osservatori internazionali, la nostra non era certo l’unica delegazione presente in quei giorni in Turchia. Gli organi di informazione internazionale, almeno durante i giorni a cavallo delle elezioni erano lì a documentare i fatti.
Spente le telecamere, riposti i taccuini, dal 2 novembre 2015 in Turchia continua la repressione governativa contro ogni voce d’opposizione. E si fa anzi selettiva e spietata puntando ad abbattere i simboli del dissenso che danno voce alle minoranze.
Tahir Elci, presidente dell’associazione degli avvocati diDiyarbakir, nel sud est a maggioranza curda della Turchia, da sempre in prima fila nella difesa dei diritti umani, è stato ucciso durante un incontro pubblico vicino ad una moschea nello storico distretto di Sur, il 28 novembre 2015, mentre denunciava i danni ad alcuni luoghi simbolo di Sur durante gli scontri degli ultimi giorni tra manifestanti filocurdi e la polizia turca.
I video diffusi dalla rete mostrano la scena, si sente il colpo di un’arma da fuoco per le strade della città, l’avvocato per i diritti umani, impaurito, che si guarda intorno, altri colpi, incrociati, anche a difesa di Elci che, pochi secondi dopo, giace per terra morto.
Durante la conferenza stampa Elci aveva detto: “Chiediamo che le armi, gli scontri, le operazioni militari restino fuori da quest’area”.
Tahir Elci era fondatore e membro di diverse organizzazioni umanitarie (Human Righs Foundation, Human RightsAssociation, Human Rights Agenda Association). Il 20 ottobre scorso era stato arrestato dalla polizia turca con l’imputazione di propaganda terroristica per aver affermato nel corso di una trasmissione sulla Cnn turca, che il Pkk, il partito dei lavoratori del kurdistan, non è un’organizzazione terroristica, ma un movimento politico armato che porta avanti importanti istanze politiche e gode di un ampio sostegno. Arrestato per aver espresso un’opinione. Elci aveva immediatamente ricevuto la solidarietà di organizzazioni umanitarie e di associazioni di giuristi internazionali. Rilasciato, era in attesa di giudizio. Dopo l’assassinio, il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha detto: “Questo incidente mostra quanto sia nel giusto la Turchia nella sua lotta determinata contro il terrorismo”.
Appena due giorni prima, giovedì 26 novembre, Can Dundar, direttore del quotidiano Cuhmuriyet, e con lui, il capo della redazione di Ankara, Erdem Gul, erano stati arrestati dalla polizia turca con l’accusa di alto tradimento per aver rivelato un passaggio di armi dall’intelligence turca ai ribelli dell’Is in Siria, sulla base di documentazione foto e video proveniente dall’esercito turco. Era stato proprio Erdogan, all’indomani della pubblicazione dell’inchiesta nel giugno scorso, a chiedere alla magistratura l’arresto dei due giornalisti e la loro condanna all’ergastolo aggravato, cioè l’ergastolo più ulteriori 42 anni, per alto tradimento, affermando peraltro in diretta televisiva “Chi ha scritto questa notizia dovrà pagare pesantemente”.
Questo è l’ultimo degli atti di intimidazione del governo e della magistratura turchi contro gli organi d’informazione non omologati.
Solo nel 2014 in Turchia sono stati arrestati oltre 20 giornalisti accusati di associazione terroristica. Le intimidazioni governative contro redazioni e giornalisti si sono inasprite dopo le elezioni del 7 giugno scorso, quando l’Akp, il partito governativo, ha perso la maggioranza assoluta.
Fra le aggressioni: gli attacchi alla sede del quotidiano «Hurriyet», sostenitori dell’Akp, in uno degli attacchi ha preso parte anche un parlamentare in carica; l’editorialista dello stesso quotidiano, Ahmet Hakan Coskun, è stato aggredito e picchiato davanti alla sua abitazione di Istanbul, dopo ripetute minacce sugli organi di informazione filogovernativi; pietre e bottiglie sono state lanciate contro la sede del giornale Sabah e della televisione privata ATV; il gruppo Ipek Media che conta 21 testate è stato preso d’assalto dalla polizia, chiusi i canali Bugun Tv e Cnalturk, sospesa la pubblicazione dei quotidiani Bugun e Millet; tre giornalisti di Vice News sono stati arrestati a Diyarbakir mentre riprendevano scontri tra forze dell’ordine e Pkk; la giornalista olandese Frederike Geerdink, residente da tempo aDiyarbakiri, è stata arrestata due volte nel corso dell’anno e infine espulsa dalla Turchia con l’accusa di fiancheggiare ilPkk; la giornalista britannica Jacky Sutton, che indagava sulle donne dell’Is, è stato trovata morta nei bagni dell’aeroporto di Istanbul.
L’Associazione dei giornalisti turchi ha più volte condannato i ripetuti attacchi alla libertà di stampa che non si sono placati dopo l’esito delle elezioni dell’1 novembre quando l’Akp ha riconquistato la maggioranza assoluta, anzi si sono fatti più spregiudicati.
“Il nostro arresto, il processo che ne seguirà- ha detto CanDundar dell’Cuhmuriyet – avranno l’effetto di far parlare dell’accaduto anziché farlo dimenticare”.
Pochi giorni prima dell’arresto dei due giornalisti delCuhmuriyet, il 22 novembre scorso, Selahattin Demirtas, copresidente dell’Hdp, il partito democratico dei popoli,che nonostante la dura repressione è riuscito a confermare la presenza in Parlamento, ha subito un attentato, mentre era a bordo della vettura ufficiale, blindata, per le strade diDiyarbakir. La crepa causata dalla pallottola sul lunotto posteriore, rinvenuta dalle guardie del corpo, era all’altezza della testa.
I fatti degli ultimi giorni dimostrano come e quanto sia intenzionale la repressione in Turchia e quanto sia necessaria una continua, costante, opera d’informazione dei media internazionali, anche a supporto della censura di fatto imposta ai media locali, oltre che una presa di posizione forte e una condanna a tutti i livelli.
Valentina D’Amico, giornalista freelance
Delegazione giornalisti freelance