Torna libera Zehra Dogan dopo aver scontato oltre due anni di carcere. Ma in Turchia restano in cella 150 giornalisti
Zehra Dogan è finalmente libera. Dopo due anni, 9 mesi e 22 giorni di carcere, finita di scontare la sua pena, ha lasciato la prigione in cui era stata rinchiusa semplicemente per aver raccontato attraverso i suoi quadri e i suoi scritti il massacro di centinaia di curdi nel 2016, quando l’esercito turco inizio operazioni militari nel distretto di Nusaybin, nella provincia di Mardin. La Doğan aveva dipinto delle bandiere turche sulle macerie degli edifici distrutti.
Giornalista e artista turco-curda non ha mai chiesto sconti di pena e ha rivendicato con forza il suo diritto alla libertà di espressione. Nel marzo del 2018 il suo volto è stato ritratto in un murale del writer britannico Bansky che ha attirato sul suo caso gli occhi del mondo. Zerha, con una lunga lettera ‘clandestina’ scritta nonostante fosse soggetta a un bando delle comunicazioni con l’esterno, ha raccontato che la sua opera le aveva infuso nuova determinazione e coraggio.
In quella occasione la Dogan aveva parlato anche delle sue condizioni di detenzione, in una cella sotterranea che, ha rivelato lei stessa, “ha una storia di sanguinarie torture per tanti prigionieri”. E proprio si detenuti rimasti in carcere, e suoi amici, Zehra ha dedicato le sue prime parole chiedendo di dare voce alla loro richiesta di giustizia portata avanti con lo sciopero della fame.
E a loro, a tutti coloro che negli ultimi due anni e mezzo sono stati arrestati, tra cui 170 giornalisti, ma anche a chi ancor prima era stato ingiustamente imprigionato – dedichiamo il prosieguo di questo articolo.
Di rientro dalla Turchia dove in questi giorni sono iniziati nuovi processi, confermate condanne e avanzare richieste di ergastoli come nel caso di 15 attivisti e il filantropo Osman Kavala, ritenuto il fomentatore nonché finanziatore delle proteste di Gezi Park.
Oggi più che mai Articolo 21, insieme alla rete delle organizzazioni internazionali dell’Advocacy Turkey Group, continua a chiedere la liberazione di giornalisti, artisti e altre figure del mondo della cultura ancora in carcere in Turchia a seguito del tentativo di colpo di Stato fallito nel luglio 2016.
La reazione governativa al tentativo di golpe nei confronti dei media è stata spropositata. Sono state chiuse tre agenzie di stampa, sedici canali televisivi, quarantacinque testate di carta stampata, quindici riviste patinate.
Oltre alla Doğan molti altri giornalisti sono stati accusati di avere legami con il gruppo militante PKK, in perenne lotta per i diritti dei curdi, mentre altri di aver supportato la presunta rete golpista Fetho, guidata dall’imam in autoesilio negli USA Fethullah Gulen.
Come i redattori e i vertici editoriali di Cumhuriyet, storico quotidiano di opposizione, alcuni già condannati sia in primo e secondo grado. La scorsa settimana la 3^ Corte di appello di Istanbul ha confermato la sentenza a carico di Musa Kart, Bülent Utku, Hakan Karasinir, Kadri Gürsel, Guray Tekin Oz, Oder Celik, Emre Iper e Mustafa Kemal Güngör. Sono di nuovo tutti in carcere per scontare il resto della pena a cui lo scorso aprile erano stati condannati insieme a altri 6 tra redattori e membri del consiglio di amministrazione del giornale sui quali si dovrà esprimere un altro Tribunale.
Il processo, in cui erano imputati anche il direttore Murat Sabuncu e l’amministratore delegato Akin Atalay, oltre ad alcuni reporter ed editorialisti molto noti come Ahmet Sik, oggi parlamentare dell’Hdp, è diventato uno dei simboli delle limitazioni alla libertà di stampa nel Paese di Recep Tayyip Erdogan.
di Antonella Napoli – Articolo 21