Suruç, la sfida dell’accoglienza
Incontro con la sindaca della città turca che ospita i rifugiati di Kobane
L’appuntamento con Zuhal Elenez è un classico esempio di ospitalità locale. Il co-presidente della municipalità di Soruç è una giovane donna eletta con il Dbp, il Partito democratico delle regioni. In tutte le istituzioni governate dal Partito vige il meccanismo della parità di genere nelle cariche principali. Ci dice subito che senza gli sforzi del Pkk donne come lei non avrebbero tali opportunità in una società patriarcale come quella turca. Dopo un çay e una sigaretta ci fa alcune domande per conoscerci meglio. Il ricordo di Dino Frisullo, attivista italiano incarcerato per i diritti dei curdi, le strappa un sorriso, prima di entrare nel vivo della conversazione.
“L’organizzazione dei campi per i profughi di Kobane – racconta Zuhal – ci richiede un enorme sforzo per il reperimento delle risorse necessarie. Il governo turco, ha dichiarato di aver accolto duecentomila persone, quando in realtà ha attrezzato due campi dove ospita appena 6100 rifugiati”.
La crisi di Kobane ha riacceso le mai sopite tensioni tra curdi ed Ankara. Il governo autonomo della Rojava, costituito dai curdi nel nord della Siria nei due anni di guerra civile, è visto come una diretta minaccia da Erdogan. Il governo turco, di fronte all’attacco dell’Isis su Kobane, ha eretto un muro di gomma, sigillando la frontiera e bloccando l’invio di aiuti militari e umanitari alla città. Inoltre il passaggio alla frontiera è stato possibile solo per le persone, costrette ad abbandonare I propri veicoli e animali.
“Noi curdi siamo un popolo molto solidale – chiosa la co-presidente. Dei rifugiati di Kobane, circa 20.000 vengono ospitati in case private a Soruç, 17.000 nei villaggi della provincia e ben 10.000 nei campi attrezzati dalle autorità cittadine. Per attivare le infrastrutture necessarie abbiamo collaborato con gli altri municipi governati dal Dbp, mentre la prefettura non ha fatto altro che metterci i bastoni tra le ruote. Siamo arrivati al punto che le Ong e le associazioni umanitarie si ritirano oppure chiedono di poter operare solo in via informale.”
Tra il Comune e i campi la collaborazione è orizzontale: mentre le autorità cittadine si occupano di questioni tecniche e logistiche, la vita all’interno dei campi è regolata da commissioni composte dai residenti, al fine di favorire la partecipazione dei diretti interessati. I rappresentanti di ciascuna commissione si possono rivolgere al Comune per discutere e decidere insieme sui bisogni dei campi. Un sistema che, ispirato all’autogestione, è direttamente mutuato dall’organizzazione di governo che si è data la Rojava. Da molto tempo, in tutte le municipalità guidate dal DBP le istituzioni cercano di applicare questo modello.
“L’esperimento politico che sta vivendo la Rojava – prosegue Zuhal – è profondamente ispirato ai principi della democrazia diretta. La partecipazione e il coinvolgimento di tutti nelle decisioni fondamentali della vita della comunità costituiscono un presidio contro lo sfruttamento del capitalismo. Il confederalismo democratico può essere un modello applicabile ovunque, anche in Turchia, ma per il momento l’emergenza della guerra e delle sue conseguenze rende prioritario assistere I rifugiati di Kobane”.
Staffetta Romana per Kobane- Core