Rezan, la via giudiziaria contro l’autodeterminazione
Il neo sindaco di Lice (nel Kurdistan turco) Rezan Zuğurli è stata condannata dall’Alta Corte Criminale a 4 anni e due mesi di prigione “per aver commesso crimini per la guerriglia kurda”. In prima battuta, e dopo un arresto di tredici mesi iniziato a scontare nel 2012, il verdetto prevedeva 35 anni di reclusione poi ridotti a 5. Il tutto si riferisce a un fermo avvenuto nell’ottobre 2012 per una manifestazione di protesta a sostegno di detenuti per incidenti accaduti nel Duemila. Di quegli scontri s’erano resi protagonisti militanti della sinistra rivoluzionaria, non il Pkk. L’avvocato della neo sindaco sostiene che la sua cliente non partecipava alla protesta del 2012 per conto del Pkk. L’intreccio giudiziario tende a contrastare il fortissimo radicamento nel territorio del Partito della Pace e della Democrazia che ha ottenuto un ottimo risultato nel corso delle recenti consultazioni. A Lice Zuğurli è stata eletta col 91% dei voti. Il Bdp-Hdp amministra 3 città metropolitane (Diyarbakır, Van, Mardin), 34 distretti metropolitani, 8 città più 25 distretti e 33 circoscrizioni e riscontra un 6.2% nazionale.
Spesso le guida con donne coraggiose e determinate qual è Rezan, una dei 124 candidati su 224 del Bdp che col suo 55,35% di presenza femminile nelle liste surclassa tutti gli altri schieramenti. Nell’ultima tornata elettorale il kemalismo repubblicano (Chp) registrava solo il 4,32% di donne (51 su 1.180 candidati), per non parlare del kemalismo di estrema destra (Mhp) col 2,52% e fanalino di coda il coriaceo Akp erdoğaniano con appena 16 donne su 1.394 candidati (1,15%). Queste amministratrici infastidiscono il potere maschile che tanto piace al premier, nonostante i diffusi proclami su una società rispettosa di tutti i generi. Lo infastidiscono per l’impegno concreto con cui Rezan e le altre incarnano un ruolo pubblico che ricoprono a favore della comunità, reclamandone i bisogni. Nel marzo scorso, durante un’intervista, Zuğurli ha parlato di Lice abbandonata dal governo di Ankara, dello sforzo suo e del partito filo kurdo per dotarla di scuole e strade degne di questo nome, di rilanciarne il lavoro agricolo, di riconvertirne una mega caserma in struttura di servizio per la popolazione.
Progetti che evidentemente importunano il potere statale che tenta d’incastrarla con accuse che riguardano fatti non appartenenti al suo operato. Certo nei dintorni di Lice sono tuttora presenti militanti del Pkk, che difendono se stessi e un territorio di cui Rezan non nasconde l’essenza quando afferma ”il cuore di Amed (Diyarbakır) è Lice perché su queste montagne è nato il Pkk”, ed è evidente che il suo cuore e quello di milioni di donne e uomini del Kurdistan turco sono rivolti ai comuni obiettivi di libertà e autodeterminazione. Il teorema con cui le si vogliono imputare vicende dalle quali è estranea appartiene a quella sfera di cui si serve solo l’orientamento repressivo più bieco: i reati d’opinione. Il territorio amministrato dalla neo sindaco è fra i più martoriati dall’esercito turco, lì vennero distrutti decine di villaggi kurdi, gli abitanti deportati, i militanti uccisi o arrestati. Tragedie che non si dimenticano e che invece l’establishment politico turco vuole cancellare dalla memoria collettiva.
In base alla valutazione: o democratizzazione o caos e corruzione, i partiti filo kurdi Bdp e Hdp, recentemente unificati non solo in funzione elettorale, pensano che l’occasione dei dialoghi fra il premier che punta alla presidenza e il leader incarcerato Öcalan siano un’occasione per tutti. L’analisi post voto offerta da un documento del Congresso Nazionale del Kurdistan (Knk) afferma che: “A lungo i kurdi sono stati presentati come separatisti, ora la gente inizia a ricredersi. I recenti problemi di corruzione vissuti dall’Akp conducono tanti suoi elettori a metterne in discussione l’integrità. Determinate fazioni della società ripetono “Erdoğan ruba, ma almeno ne divide un po’ con noi”. Di contro la gente che è sempre stata repressa dallo Stato: kurdi, aleviti, giovani, donne, lavoratori, militanti di sinistra e liberali cominciano a sostenere che la misura è colma. Rifiutano d’essere governati com’è stato finora, né il sistema può preservare se stesso nella forma attuale. Anche l’“affidabile” istituzione militare non è più tale e dopo la rottura col movimento Gülen il modello di Islam moderato appare disastrato. Quanto è venuto alla luce in Kurdistan e a Gezi, ci dice è che nulla può restare com’era”.
Voci ottimistiche su cui la stampa turca sparge il sale della divisione: una recente comunicazione della deputata del Bdp Pervin Buldan su quanto affermava Öcalan in merito all’autonomia regionale è stata smentita dal partito della Democrazia del Popolo (Hdp). E varie voci ricamano sulle due linee presenti nel partito: chi vorrebbe aprire a un arco di forze di altre etnìe e chi prosegue a tenere alta solo la bandiera kurda. Ma ogni ipotesi deve fare i conti con lo spettro della repressione; come sta vedendo Rezan.
di Enrico Campofreda