Resistenza e prospettive del popolo curdo. Intervista con Yilmaz Orkan responsabile di UIKI-ONLUS
Abbiamo incontrato Yilmaz Orkan, responsabile dell’Ufficio Informazione Kurdistan in Italia, per un chiarimento su alcuni recenti avvenimenti che hanno interessato il popolo curdo.
Intervista a cura di Gianni Sartori
Dalla vergognosa estradizione in Turchia di due militanti da parte del governo armeno, alla bollente situazione nel Rojhilat (il Kurdistan sotto amministrazione iraniana) dove con le proteste per l’uccisione di Jina Mahsa Amini (e ben due scioperi generali) la popolazione curda ha innescato una ribellione estesa poi all’intero Paese. Senza dimenticare ovviamente l’allucinante situazione in cui versa il Mandela curdo, Ocalan. Così come quella di tanti altri prigionieri politici curdi.
Partiamo da un episodio recente. L’estradizione, la consegna alla Turchia di due militanti curdi da parte dell’Armenia. Come inquadrare questo episodio vergognoso? E’ un sintomo di ulteriori collaborazioni?
Sinceramente non comprendiamo l’operato dell’attualegoverno armenoe non possiamo fare a meno di chiederci “ma per chi stanno lavorando?”. I due compagni avevano consegnato le loro armi ai soldati armeni soltanto per evitare un conflitto, convinti che in fondo si trattava di amici. I militari armeni li hanno portati in carcere dove sono rimasti per qualche mese, ma poi il tribunale li aveva rimessi in libertà. Quanto al movimento curdo fino ad allora non era intervenuto per non creare problemi con l’Armenia. Invece poi è arrivata, direttamente dai servizi segreti turchi, la notizia di una presunta azione del MIT che aveva portato alla loro cattura (circolavano in proposito due versioni, entrambe taroccate. Nella prima la cattura sarebbe avvenuta nel campo profughi di Maxmur, nell’altra direttamente in Armenia nda). In realtà i due militanti curdi sono stati sequestrati, rapiti e consegnati alla Turchia. Immediate le proteste sia di un deputato armeno che di molte associazioni armene in Europa. Tutti hanno dichiarato che una cosa del genere è impensabile, non verso due combattenti per la libertà. Da parte del governo armeno nessuna dichiarazione ufficiale. Invece i servizi segreti armeni sostengono di non essere i responsabili. Chi allora? Chi li ha consegnati al MIT? Il KCK ha condannato questa operazione come una “provocazione”, intenzionalmente protesa a spezzare i tradizionali buoni rapporti tra curdi e armeni. Ma noi rimaniamo comunque amici del popolo armeno.
Si è parlato anche recentemente dell’uso da parte della Turchia di armi chimiche proibite dalla Convenzione di Ginevra (gas tossici…) contro il popolo curdo sia nel nord dell’Iraq che in Rojava. Ci sono state inchieste condotte da qualche agenzia internazionale? Le Nazioni Unite si sono espresse in proposito?
Direi che le organizzazioni internazionali si sono mostrate per lo meno reticenti, se non addirittura latitanti. Da oltre due mesi (dal 5 agosto) Xwasnav Ata continua la sua “Veglia di giustizia” davanti alla sede dell’OPCW (Organizzazione per la proibizione dell’uso delle armi chimiche) all’Aia, in Olanda. Era lo zio di due giovani, Gülperin Ata (Binevş Agal) et Mihriban Ata, entrambe combattenti del PKK, decedute appunto a causa delle armi chimiche utilizzate da Ankara. L’agenzia avrebbe dovuto inviare una delegazione per un’inchiesta accurata, per fare ricerche, recuperare eventuali prove…ma finora non si è visto niente di tutto questo. Sembra poi che la Turchia stia utilizzando anche ordigni tattici nucleari (quelli in dotazione a tutti gli Stati aderenti alla Nato). Dove la Turchia ha maggiormente colpito, come sui monti Qandil nel nord dell’Iraq, nei loro obiettivi non ci sono solo i guerriglieri, ma anche interi villaggi e tra le vittime anche diversi civili. Recentemente in questi luoghi si era recata una delegazione indipendente che avrebbe voluto visitare uno di questi villaggi colpiti dall’esercito e dall’aviazione turchi, ma ne è stata forzatamente impedita direttamente dal PDK di Barzani. Quanto al numero delle vittime dei gas tossici, quelle accertate sono almeno una quarantina. Centinaia invece quelli che hanno dovuto sottoporsi a cure mediche per esserne venuti a contatto (oltre 500 in pochi mesi nella sola regione di Behdînan). Esistono in proposito vari video che mostrano l’uso dei gas tossici, così come confermano anche le autopsie eseguite sui cadaveri e le testimonianze dei sopravvissuti. L’anno scorso Malin Björk, eurodeputato del Partito della sinistra svedese, aveva presentato un’interrogazione scritta sulla questione a Josep Borrel (vicepresidente della Commissione europea e alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la sicurezza) che nella sua risposta ha espresso scetticismo, non perdendo l’occasione per denigrare il PKK invece della Turchia. Quanto all’OPCW, già l’anno scorso, in dicembre, una cinquantina di giovani curdi avevano protestato davanti alla sededell’Aia (anche penetrando nell’edificio) sia contro l’uso dei gas tossici da parte della Turchia, sia per la sostanziale indifferenza, il mancato intervento dell’organizzazione che in teoria avrebbe il compito istituzionale di vigilare sull’utilizzo di sostanze tossiche.
In questi giorni, in suo intervento che non credo sia eccessivo definire “profetico”, Duran Kalkan (esponente del Comitato Esecutivo del PKK) ha sostenuto con forza che “O finisce il mondo o si ferma il capitalismo”. Potresti commentare tale affermazione? Ritieni esprime la sua opinione personale o quella di tutto il movimento di liberazione?
Direi che corrisponde alla visione del movimento. Soprattutto negli ultimo tempi, tracambiamenti climatici, inondazioni, siccità, incendi, carestie…(per non parlare delle guerre) appare sempre più evidente che il capitalismo per sua stessa natura porta alla distruzione del Pianeta. Tutto il pensiero positivista, la tecnologia…hanno mostrato di servire solo al profitto. Invece dobbiamo comprendere che anche se prendiamo qualcosa alla Terra non per questo possiamo prendere tutto, distruggerla. Invece il capitalismo va oltre, non si limita. Aggiungi poi l’aumento esponenziale degli armamenti, sempre più potenti e distruttivi. Dagli USA alla Russia, alla Cina… Non possiamo prendere in continuità, solo per il profitto, petrolio e gas e minerali. Causando problemi sempre maggiori, andando verso la distruzione del Pianeta. Invece quello di cui abbiamo bisogno è un mondo ecologicamente compatibile. Vedi per esempio il petrolio. Noi in Rojava lo preleviamo, ma solo per quello che ci serve, per le necessità della popolazione. Non ci interessa creare un’altra Dubai.
Colui che è stato definito (oltre che il “Mandela curdo”) come “l’ultimo leader dell’ultimo movimento di liberazione anticoloniale del ventunesimo secolo”, Abdullah Öcalan, si trova in completo isolamento da 23 anni nel carcere dell’isola di Imrali. Qual’è al momento la sua situazione e degli altri prigionieri rinchiusi a Imrali? Da quanto tempo avvocati e familiari non riescono a incontrarli?
Praticamente i tentativi dei familiari e degli avvocati per incontrarlo si ripetono settimana dopo settimana, ma invano. Sono passati ormai altri nove mesi dall’ultima telefonata. Stessa situazione anche per gli altri tre compagni Ömer Hayri Konar, Hamili Yıldırım e Veysi Aktaş. Non possono ricevere visite, non possono telefonare, tantomeno scrivere o ricevere lettere. Per la prossima settimana è prevista una seduta del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che in precedenza aveva segnalato alla Turchia come questa situazione fosse insostenibile e andasse risolta entro settembre.* Da parte nostra faremo in modo di incontrarne il presidente per sollecitarli a prendere una qualche decisione. Nel complesso la situazione dei prigionieri politici in Turchia resta grave, sia per i politici dell’HDP (Partito Democratico dei popoli) incarcerati , sia per quelli del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). A molti di loro è stato applicato l’ergastolo aggravato, quello definitivo, senza alcuna prospettiva. Dal Consiglio Europeo era venuta la richiesta per la Turchia di dover comunque “dare una speranza”. Un richiamo al quel “diritto speranza” che è in vigore in ogni Paese europeo. Per cui dopo aver scontato una pena, per esempio, di 30 anni, il detenuto possa tornare in libertà. Invece questo in Turchia non esiste, non si applica. Non solo. Attivisti politici condannati a dieci, quindici anni, quando hanno finito di scontare la pena vengono trattenuti in carcere con ragioni pretestuose (per es. il comportamento tenuto in carcere). Poi ci sono i prigionieri gravemente ammalati che dovrebbero poter trascorrere gli ultimi anni o mesi di vita fuori dalla prigione. Un caso emblematico quello di Aysel Tuğluk. L’esponente politica del DTP e avvocatessa soffre di demenza e rimane n prigione nonostante non sia in grado di compiere da sola nemmeno le semplici azioni quotidiane.
Qual’è il ruolo del popolo curdo nell’attuale ribellione nel Rojhilat e in Iran?
Rivolte del genere sono già periodicamente scoppiate in Iran, un Paese non omogeneo in cui, oltre ai Persiani, vivono Curdi (circa 15 milioni), Beluci, Azeri… Anche in passato i Curdi si sono mostrati sicuramente i più combattivi. Soprattutto i curdi sunniti. Mentre i curdi di religione sciita sembravano subire il ricatto degli Āyatollāh, del regime che accusavano i ribelli di agire contro la religione. Stavolta comunque anche i curdi sciiti hanno partecipato attivamente, così come gli azeri, i beluci e molti persiani. Perché appare chiaro che non si tratta di una questione religiosa. Quello dell’Iran è soprattutto un problema di diritti e di democrazia. Quindi riguarda tutti: curdi, azeri, beluci…siano essi sciiti, sunniti o nusayri (alauiti). In ogni caso così non poteva continuare. La mia speranza è che l’Iran compia alcune indispensabili riforme democratiche. Altrimenti la ribellione potrebbe venir strumentalizzata (presumo Orkan si riferisca ai tentativi già in atto della destra nostalgica dello scià o alle mire di qualche superpotenza imperiale nda). L’Iran, per la sua stessa storia, è in grado di farlo, di trasformarsi. E’ un paese forte, aperto, in cui realizzare la democrazia è possibile. Invece ora, con la legge islamica che ognuno poi interpreta a modo suo (per qualcuno basterebbe un velo posato sul capo, per altri non deve sporgere nemmeno una ciocca di capelli…) si rischia di andare verso la distruzione, il baratro.
*Nota 1: Ancora nel luglio 2021 l’Associazione turca per i diritti umani (IHD) e la Fondazione per i diritti umani della Turchia (TIHV) – insieme alle associazioni degli avvocati per la libertà (OHD) e alla Fondazione per la ricerca giuridica (TOHAV) – avevanopresentato una richiesta al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una revisione della condanna all’“ergastolo aggravato” inflitta al leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan e ad altri tre prigionieri politici, Hayati Kaytan, Emin Gurban e Civan Boltan.