Report della delegazione per Basur Kurdistan, Campo di Mahmura, Qandil…
Per un ritardo aereo arriviamo a Erbil alle 9,45 di domenica 30 settembre, i compagni partiti da Roma sono già arrivati il giorno precedente.
Ci vengono a prendere compagni curdi che ci accompagnano al Campo Profughi di Mahmura. I posti di blocco vicino al campo, una volta controllati dai Peshmerga curdi iracheni sono controllati dopo il referendum del 2017 dai soldati dell’esercito di Baghdad.
Abbiamo subito un incontro con il co-presidente dell’assemblea del popolo, che ci informa che l’assemblea è composta da 131 membri e tra questi 31 formano il comitato ristretto, uno per ogni quartiere in cui è diviso il campo. Nel campo di Mahmura ci sono circa 13.000 persone, dato approssimativo in quanto non c’è un censimento recente. Ultimamente però c’è stato un incremento di persone arrivate dopo le vicende siro-irachene.
Incontriamo due rappresentanti dell’assemblea delle donne: Shilan e Bermal. L’assemblea delle donne è composta da 81 donne elette dalle donne. Funziona dal 2013, sostituendo organismi misti che funzionavano prima. Anche qui c’è un comitato ristretto di 31 donne e nove di queste hanno responsabilità di vari settori. Ogni due anni si fa un congresso per eleggere queste donne che possono al massimo fare due mandati. Uno dei compiti fondamentali è quello di superare una mentalità patriarcale. Le discussioni tra queste donne e gli uomini ha portato a una società che approva il divorzio, che accetta l’omosessualità e la contraccezione, che ha abolito per legge la consuetudine per gli uomini di sposare più donne. Interessante poi quanto ci dicono rispetto alla giustizia: si cerca di educare i colpevoli e evitare con tutti i mezzi la prigione. Per i delitti più gravi, per esempio omicidio, si riunisce il cosiddetto tribunale del popolo che è costituito da membri dell’assemblea popolare, da membri dell’assemblea dei saggi e membri della società civile.
Abbiamo un incontro con il dottor Mehmet, co-presidente del consiglio di Sanità, che ci accoglie nella nuova struttura sanitaria (ospedale), entrata in funzione da tre mesi. Oltre a questa struttura che funziona dalle 13 alle 8 del mattino seguente, c’è la vecchia struttura che funziona dalle 8 alle 13 con il controllo del’UNCHR. I due medici e gli infermieri che vi lavorano sono volontari e percepiscono un piccolo salario per le loro necessità. Nella struttura ci sono posti letto, sale ambulatoriali. L’ospedale è così efficiente che molte persone vengono anche da fuori del campo, soprattutto per il rapporto umano che stabiliscono con il personale sanitario, e anche perché le cure sono gratuite. Le malattie più comuni sono malattie legate a un consumo di acqua spessissimo inquinata, a problemi di pressione, di diabete, di cardiologia e soprattutto di anemia. Il problema più grave di questo ospedale è l’energia elettrica, disponibile solo 12 ore al giorno nel campo, motivo per cui si è dovuto comprare un generatore il cui utilizzo però è costoso e insufficiente, per cui necessita l’acquisto di un altro. Altro problema è la mancanza di ambulanze attrezzate per il trasporto di persone in pericolo di vita. La nostra coordinatrice Lucia interviene per sentire se c’è la possibilità di inviare aiuti economici: la cosa è difficoltosa perché da profughi non possono aprire un conto in banca, ma in questi giorni si studierà una soluzione.
Lunedì abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti della municipalità. Sono presenti co-sindaci. Dopo i saluti iniziali, rispetto a una nostra richiesta relativa alla sospensione della costruzione dell’ospedale, cui, come associazione “Verso il Kurdistan” abbiamo contribuito con 55.000 euro, ci dicono che i lavori di costruzione dell’ospedale sono stati fermati per l’arrivo dell’ISIS. Mancavano successivamente i soldi per completarlo per cui si è preferito momentaneamente approntare l’ospedale visitato da noi la sera precedente; c’è però l’impegno forte del comune di completarlo appena ci sarà la disponibilità economica.
La municipalità ha in cantiere vari progetti, alcuni già in corso, altri in itinere, per esempio la casa di ritrovo per anziani. C’è da dire che in questi ultimi due anni molti lavori e in modo particolare molte strade sono state pavimentate. Si applica per plastica e cartone la raccolta differenziata. È in programma la creazione di fognature. Un grosso problema è la scarsità di acqua, soprattutto quella potabile, proveniente da 4 pozzi e in parte portata dall’esterno con autobotti. Spesso è inquinata. A questo proposito la nostra delegazione propone di poter avere campioni di acqua per analizzarla e studiare appositi filtri che potrebbero eventualmente essere portati dall’Italia. È un impegno che cercheremo di perfezionare nei prossimi giorni. Nella gestione della municipalità sono impegnate 32 persone, nove fanno parte della commissione centrale e ognuna di queste ha la responsabilità di un settore specifico.
Ci si reca poi al centro giovanile, anche questo è retto da una assemblea generale di 70 membri. 25 di questi hanno la responsabilità di altrettanti 25 settori (cultura, sport, contatto con gli studenti, diffusione tra i giovani dei concetti del federalismo, difesa del campo ecc.).
Nel pomeriggio abbiamo un incontro con insegnanti della scuola superiore. La scuola è frequentata da 700 giovani da 16 ai 20. Ci sono 23 classi e 33 insegnanti. Anche qui gli insegnanti sono volontari a cui l’assemblea popolare dà un contributo per le spese necessarie. Le aule, ci dicono, sono piccole e non in buono stato, non ci sono laboratori, una serie di strutture informatiche sono state distrutte dall’ISIS nel 2014 e non più rimpiazzate per mancanza di soldi. Ci dicono che l’obbligo scolastico cessa con le scuole medie, ma si lavora molto affinché i ragazzi siano invogliati a frequentare le superiori. I ragazzi più in difficoltà vengono aiutati attraverso un rapporto più stretto alunno-insegnante. Alcuni giovani poi accedono all’Università di Erbil, dopo avere sostenuto un esame previsto dalle leggi irachene. I laureati curdi del campo però, non possono, per disposizione legislativa, accedere alle specializzazioni.
Alle 17 veniamo accompagnati sulla pietrosa montagna a ridosso del campo, dove si imbastì la resistenza contro l’ISIS nel 2014, e dove morì la giornalista Deniz Firat e comandante Avesta Harun uccisa dall’ISIS. Alla sommità ci sono ancora punti di osservazione presidiati da combattenti curdi.
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Dopo colazione andiamo a visitare il Centro per bambini down inaugurato due mesi fa. Il centro ospita 21 ragazzi tra cui almeno uno soffre d’autismo. Ci sono 8 insegnanti e i ragazzi arrivano a turni in modo che possano essere seguiti al massimo in due per volta. Ci dicono che fino a questo momento i bimbi non hanno mai frequentato la scuola perché la convivenza e il tipo di insegnamento nella scuola “normale” non erano ritenuti adatti. Gli otto insegnanti che ci sono adesso hanno frequentato un corso di specializzazione proprio per avere migliori strumenti di didattica (e non solo) per questo tipo di disabilità. Ci dicono che c’è carenza di insegnanti, di aule, di materiale didattico e anche di tipo sanitario per far fronte a malattie croniche che derivano spesso da questa patologia, come il diabete e alcune malformazioni. È l’unico centro di questo tipo in questa zona e, pur avendo aperto da poco, è provvisorio: esiste già un progetto di espansione per rendere la struttura un vero e proprio centro diurno. Il medico presente all’incontro ci informa che contemporaneamente all’apertura del centro è iniziato uno screening con amniocentesi sulle donne in gravidanza per limitare i danni. Eventualmente ora è possibile effettuare aborti terapeutici. Concludono dicendo che i pochi materiali che hanno sono donazioni.
Dopo questo incontro torniamo a visitare le scuole. Prima alle elementari e poi alle medie per fotografare gli alunni durante le lezioni. Ci dicono che ci sono 700 bambini in 24 classi con 35 insegnanti. Si fa il doppio turno. Gli insegnanti sono tutti volontari e ricevono solo un piccolo rimborso spese. I materiali didattici, comprese le divise, vengono acquistate dalle famiglie ma donate dalla comunità ai più bisognosi.
Finito l’incontro a scuola andiamo alla Cooperativa Donne di Mahmura. Ci sono 50 socie divise tra varie commissioni: scuola, cultura, lavoro etc. La commissione scuola coordina 5 asili a cui sono iscritti, per il momento, 250 bambini. Visitiamo una sartoria gestita dalla cooperativa in cui lavorano 10 donne e un laboratorio artistico dove si insegna pittura e dove sono esposte molte opere di argomento politico. Nel laboratorio, aperto dal 2004, si alternano 5 insegnanti. Gli allievi sono soprattutto bambini ma non mancano diversi adulti.
Dopo abbiamo un pranzo comunitario a casa di una famiglia che prepara per noi. Ci dicono che varie famiglie si sono offerte per ospitarci all’ora di pranzo.
Nel pomeriggio andiamo al Centro di Cultura, vicino all’anfiteatro. Tra le principali attività c’è il canto tradizionale, appreso attraverso registrazioni effettuate nella regione del Botan dove la tradizione si è mantenuta viva e priva di contaminazioni. È un’attività importante perché tutta la storia curda è tramandata attraverso i testi delle canzoni. I nostri ospiti ci tengono a sottolineare che al Centro ci si chiama sempre Compagna o Compagno, persino tra familiari. I cantanti sono divisi in tre gruppi che sono spesso in giro per effettuare delle tournée e uno dei gruppi incide anche CD che vende. I testi delle canzoni sono arrivati per tradizione orale ma adesso si trascrivono per documentazione. Due anziani si esibiscono per noi.
Il centro culturale segue anche un’assemblea dei bambini dagli 8 ai 18 anni di cui il comitato è solo portavoce, importante perché è il primo e l’unico nel suo genere in un campo profughi curdo. Ci si concentra soprattutto su bambini orfani o che hanno subìto traumi di guerra. Si fanno attività teatrali e di danza. L’incontro si chiude con la loro raccomandazione di riportare, una volta rientrati in Italia, resoconti sul loro lavoro e il loro impegno affinché possano essere un modello di riferimento.
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Cominciamo la giornata andando a fare un sopralluogo all’ospedale in costruzione per cui abbiamo contribuito: un progetto in piedi dal 2013 per cui l’ass.ne Verso il Kurdistan ha versato 55.000 euro. Lo troviamo fermo là dove lo avevamo lasciato nel 2016 con, in più, i primi segni di un degrado da abbandono. Decidiamo di chiedere spiegazioni al Comitato Popolare sulle effettive intenzioni di portare a termine il progetto.
Ci spostiamo nella sede dell’Assemblea Popolare dove incontriamo i copresidenti. Husseyin Kara ci racconta brevemente la sua storia: era maestro in Turchia nominato annualmente e non dipendente dello stato. Il suo villaggio, Hilal, così come molti altri, era un villaggio di contadini: furono obbligati a spostarsi in città perché accusati di sfamare il PKK: si sa che i guerriglieri non possono vivere senza il loro popolo e il governo sperava di indebolirli isolandoli. Dopo l’evacuazione il suo villaggio è stato distrutto. In totale sono stati rasi al suolo circa 4000 villaggi: chi ha potuto è emigrato in Europa, in Iraq o nelle città vicine. I familiari che sono rimasti in zona hanno subito molte aggressioni e moltissime persone sono scomparse.
Da quel periodo, all’inizio degli anni ’90, è rimasta la consuetudine tra le famiglie degli scomparsi di incontrarsi il giovedì (soprattutto a Istanbul, ma dovunque fosse possibile) per chiedere giustizia per i loro congiunti. Richiamando l’idea delle madri della Plaza de Mayo, queste madri hanno preso il nome di Madri della Pace. Hussein riconosce un grande lavoro da parte di giornalisti, intellettuali e scrittori che hanno cercato di scoprire cosa fosse successo: purtroppo molti di loro hanno scontato la loro ricerca con il carcere e con la vita. La paura è che con Erdogan si possa ripresentare una situazione anche peggiore: in questo momento la Turchia vive un’epoca che è la copia degli anni ’90 ma in cui la violenza, le torture e gli arresti si sono triplicati.
Interrompiamo il suo racconto per riprendere le fila del discorso relative alla nostra presenza nel campo. Torniamo a parlare dell’ospedale per sapere le loro intenzioni al riguardo. Hussein ci ricorda che sono profughi e che le criticità del campo sono moltissime: sanità, scuola, poi strade, acqua.
Senza contare le incursioni ripetute di peshmerga, Isis e milizie irachene che ritardano ulteriormente l’esecuzione dei progetti. Ci dice che è stato necessario costruire l’ospedale piccolo perché le emergenze erano tante e i soldi troppo pochi. Comunque cercheranno di preservare lo scheletro esistente dell’altro edificio in modo di limitare il degrado. I fondi che erano stati consegnati due anni fa per portare avanti il lavoro sono stati utilizzati per mettere il campo in sicurezza con l’illuminazione visto che il pericolo Isis esiste ancora. Terminiamo l’incontro consegnando un contributo di 5200 euro facendo presente che noi saremmo felici che fossero usati quantomeno per urgenze sanitarie lasciandoli comunque liberi di valutare le priorità. Lasciamo anche un piccolo contributo di 500 euro per l’ospitalità ricevuta.
Ci salutiamo con molto affetto dandoci appuntamento al prossimo anno. Recuperiamo i nostri bagagli, i contenitori dell’acqua per un’analisi dei componenti, salutiamo tutti e ripartiamo.
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In mattina ci rechiamo ai campi profughi di Arbat presso Suleymaniya e dopo alla TV gestita da donne, Jin TV, nel pomeriggio incontriamo il giornalista curdo Seyit Evran che ci illustra la situazione siriana e del medio oriente.
Il giornalista ci dice che Russia e U.S.A. hanno entrambe obbiettivi sul medio oriente, obbiettivo della Russia è rimanere in Syria, obbiettivo è il controllo del petrolio. Anche la Turchia vuole un suo ruolo e cioè vuol tornare ad essere potenza egemone della zona (sogno Ottomano). Un altro attore importante è l’Iran che vuol creare un corridoio attraverso la Syria che arrivi fino al Libano. In questo momento gli interessi della Russia, Turchia, Iran configgono con gli U.S.A.. Quando però si parla dei Kurdi e di confederalismo Russi, Turchi, Iraniani e Stati Unitensi si alleano. All’inizio il disegno U.S.A. prevedeva che il cantone di Cizre e Kobane fossero controllati dal KDP di Barzani mentre il cantone di Afrin fosse controllato da Turchi.
Il progetto è saltato perché nella scena è entrato l’ISIS ed è entrata la Russia che alleatasi con la Turchia e Iran ha portato avanti un disegno diverso: Assad rimaneva al potere in Siria mentre Jarablus e Afrin poteva essere occupata da Turchi. Assad non permette che le zone di Jarablus, Afrin, e Idlib rimangono sotto il controllo dei turchi e vuole che i russi facciano uscire i turchi e le milizie ribelli alleati dei turchi da queste zone.
La situazione è in fieri, solo il tempo potrà dire cosa accadrà anche per il repentino cambio delle alleanze. Per quel che riguarda il Rojava Assad non avrà la forza di cancellare il confederalismo ma bisognerà vedere cosa decidono russi e iraniani. Nello stesso tempo gli americani cercano di rimanere a Dar-er Zor la zona più ricca di petroli e gas e per contrastare il progetto iraniano di avvicinarsi al Libano. Altro punto strategico è la diga di Tabqa finanziata, a suo tempo, in buona parte dei russi ma ora in mano al SDF, Forze democratiche Siriane, diga che fornisce l’80% di energia elettrica alla Syria e acqua per la produzione di grano.
La Russia per avere il controllo della diga sta cercando di fare accordi con l’SDF. Penso “dice il giornalista”, che alla fine Russia e America troveranno un accordo scaricando Turchi e Iran. Ci sono anche altri fattori che giocano in questa partita: Libano, Israele, gli Sciiti Irakeni di Al Sadr rafforzatosi negli ultimi elezioni iracheni. I kurdi sono sì nella morsa ma hanno capito questi giochi e puntando sul confederalismo pensano di ribaltare a loro favore la situazione perché hanno dalla loro parte le popolazioni.
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Incontriamo esponenti del PYD e del Kongra Star (Congresso delle donne di Rojava) che ci illustrano alla situazione di Afrin e zone vicine. I Kurdi sono dovuti fuggire da Afrin e zone limitrofe perché col permesso della Russia truppe di ribelli legati alla Turchia sono entrati in città. Nella zona c’è stata quindi una pulizia etnica. I Kurdi continuano a combattere e pensano che con il tempo ritorneranno ad Afrin.
La popolazione Kurda fuggita si è intanto rifugiata in campi profughi non molto lontani dalla città con la speranza di rientrarci. Ci dicono che la Turchia è stato di fatto la creatrice dell’ISIS per avere il pretesto di attaccare e invadere il Rojava: ora non ha più bisogno dell’ISIS, ma sostiene i ribelli entrati ad Afrin. Ad una nostra domanda relativa al rapporto USA e PYD ci dicono che non hanno senso le critiche rivolte al PYD perché si è momentaneamente alleato con gli USA. È solo un accordo breve e tattico.
La ideologia del PYD è socialista, il confederalismo è contrario al capitalismo e al nazionalismo. Ci dicono che rispettando i concetti del confederalismo cercano di equilibrare le retribuzioni tra i vari lavoratori al di là delle professioni: non ci sono veri e propri stipendi dati da un datore di lavoro ma ci sono cooperative di ogni tipo (medici, contadini, operai ecc.) che danno a tutti una retribuzione equa. Anche le banche hanno caratteristiche particolari, non fanno prestiti ai singoli ma alle cooperative e non applicano interessi. Tra le varie istituzioni che ci sono in Rojava interessante la presenza di istituti per bambini orfani di genitori uccisi dall’ISIS.
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Ci spostiamo in montagna dove incontriamo guerriglieri alcuni dei quali sono feriti e hanno bisogno di convalescenza e fisioterapia. Per la maggior parte sono stati feriti durante i combattimenti contro l’esercito dell’Isis e sulle montagne di Kandil durante le offensive turche. Uno dei grandi problemi della riabilitazione è che, per via degli impedimenti del governo centrale, ci sono pochissimi medici specializzati in fisiatria e fisioterapia.
Ci chiedono come mai in Italia, dove c’è stata la Resistenza e si sa cos’è l’occupazione, rimane in silenzio nei confronti dei diritti del popolo curdo?!..Il rappresentante lamenta la totale indifferenza del mondo occidentale: le forze presenti in Siria o Iraq sono à esclusivamente per interessi legati al petrolio e anche l’Europa non si pronuncia. Persino in una occasione in cui è stata avanzata una denuncia alla Commissione Onu per le torture subite da Ocalan il rapporto è stato secretato a causa del veto dello stato turco.
I ragazzi sono molto accoglienti, come del resto tutti qua, ma preferiscono non farsi fotografare per motivi di sicurezza.
Incontriamo poi alcuni guerriglieri e guerrigliere del Partito Lavoratori del Kurdistan che sono scesi dalle loro postazioni appositamente per incontrarci. Saliamo a fari spenti e le macchine si posteggiano in formazione di difesa per proteggere il gruppo. Ci accolgono in formazione militare: rimangono con noi tre guerrigliere e tre guerriglieri di cui uno è il portavoce. Qualcun altro rimane sempre di sentinella mentre si svolge l’incontro.
Incontro con Riza Altun e Fatma Adir membri del KCK (consiglio esecutivo).
Riza Altun ci illustra la situazione politica dell’area Kurda e l’area medio orientale. La crisi del medio oriente è lo specchio della crisi mondiale. Qui di fatto c’è la terza guerra mondiale con la ridefinizione del ruolo delle grandi potenze: il sistema creato dopo la prima guerra mondiale non regge più, è cresciuto il ruolo di vari attori (Iran, Paesi Arabi, Israele, Turchia ecc.) che vogliono un loro spazio.
Gli USA vogliono mantenere un loro predominio per accaparrarsi il petrolio, la Russia vuole anch’essa giocare un ruolo importante nella zona. La Russia e l’Europa avrebbero potuto fare alleanza con i popoli di questa zona ma entrambe hanno optato per alleanze di puro interesse economico con i poteri forte statali. Seguendo questa logica la Russia ha permesso che i turchi entrassero nei territori Kurdi della Syria (Jarablus e Afrin) ma alla lunga ciò complicherà le cose. Noi Kurdi “dice Riza “ non accettiamo questa logica e lottiamo per un progetto che si basa sulla democrazia facendo perno sui popoli. Certo è lunga e difficile ma vediamo che là dove proponiamo il nostro modo di governare anche le altre popolazioni (Azidi, Arabi, Cristiani ecc.) lo accettano.
Certo in questa lotta abbiamo tutti contro: Russia, Turchia, Iran ora sono alleati dall’altra parte ci sono USA e Arabia Saudita, ma tutti sono contro di noi Kurdi. Però noi crediamo che se non passerà il nostro progetto, in medio oriente ci sarà sempre guerra. Interviene anche Fatma che ribadisce questi concetti.
Riza ci parla poi della situazione di Afrin che è particolarmente complicata. I russi hanno permesso alle forze ribelli Esercito Libero Siriano, ESL, legate alla Turchia di entrare ad Afrin ma ciò sta complicando le cose perché sia Assad che l’Iran non vogliono che i Turchi rimangono ad Afrin. I russi hanno chiesto di conseguenza ai Turchi di ritirarsi e sembra che la Turchia accetti questa richiesta, intanto però anche i ribelli dovrebbero uscire dal Idlib e spostarsi ad Afrin.
Il gioco è pesante perché si teme che la Turchia usi questi ribelli contro i Kurdi addirittura all’est del Fiume Eufrate. Cioè la zona di Kobane. A complicare le cose c’è un altro grosso problema: fra i ribelli alleati della Turchia ci sono circa tre mila Ceceni: la Russia non vuole che questi ritornino in Cecenia e sta chiedendo alla Turchia di eliminarli. L’accettazione di questa clausola complica le cose per la Turchia che a questo punto potrebbe prendere via per ora non prevedibili. Altra fondamentale questione è che gli USA non accettano che gli Iraniani diventano forze egemone e questo sia per proteggere Israele sia per il controllo del Petrolio. Sembra ma è quasi certo che gli Usa stanno pensando a una NATO del Medio Oriente tra Israele, Arabia Saudita e Egitto.
La situazione è incerta e complicata ma questa è la realtà dentro la quale i Kurdi stanno portando avanti il loro progetto di pace e convivenza tra tutti i popoli della zona senza distinzioni di religione o altro. Chiudendo Riza si lascia andare a un commento amaro: dai capitalisti USA potevo aspettarmi cosa sta succedendo ma ho avuto disillusione soprattutto dai Russi e Cinesi avendo essi abbandonato l via del socialismo.
Ci raccontano che il loro riferimento ideologico è nelle parole del Leader Apo (A.Ocalan)
“Si combatte per l’intera umanità, per la dignità di tutti. Per fare una vera rivoluzione bisogna lavorare senza un attimo di pausa per recuperare ciò che si è perso, la ricchezza che avevamo. Ma non è un’imposizione: noi qui ci sentiamo liberi, siamo felici di essere qua e di lavorare per il popolo. Il popolo è la nostra famiglia. Noi rimarremo qui finché ce lo chiedono, finché non saranno di nuovo sicuri, e poi ci sposteremo dove ce ne sarà bisogno. Non è importante da dove veniamo, l’importante è essere dove c’è bisogno. Sicuramente manchiamo ai nostri familiari, ma loro sono fieri della nostra scelta perché siamo un simbolo di resistenza. Nel mondo ci sono molte cose negative ma ci sono anche persone belle. Ci siamo noi che combattiamo con le armi ma si può combattere in molti modi: con le idee, il pensiero. Bisogna spiegare com’è il nostro attuale sistema capitalistico, capirlo per poterlo combattere e spiegare la democrazia giorno per giorno con le istanze e l’esempio. Abbiamo accettato questo e siamo pronti a morire: il nostro partito è un partito di martiri, ma se io muoio oggi domani ne arriveranno altri due”.
Rientriamo in silenzio. Scarica PDF – REPORT DELLA DELEGAZIONE ITALIANA
Delegazione Italiana, 29 settembre 9 ottobre 2018
Associazione Verso il Kurdistan