Prospettive di Abdullah Öcalan per il 12° Congresso del PKK

Pubblichiamo integralmente le prospettive di Abdullah Öcalan, inviate al 12° Congresso del PKK e pubblicate dal mensile curdo Serxwebûn.

Introduzione

Questa nostra sessione appare come una conferenza preliminare. A questo nostro lavoro darei un titolo del genere: La fine di un’epoca per l’esistenza curda e le sue sfide: l’alba di una nuova era.

Si tratta di un lavoro difficile e di portata storica. Dal momento che ci avviamo verso una ricostruzione, è necessario affrontare la questione sotto vari aspetti. Ognuno di essi richiede analisi approfondite. Ciò esigerà il suo tempo. Non avrebbe senso affrettare le cose. Ad ogni modo, l’Introduzione trasmette lo spirito del testo principale1. Essa è sufficiente per fornire una comprensione dei temi principali. Questo sarà il format dell’Introduzione. Gli amici potranno affrontare il processo congressuale anche sulla base di questa bozza. Terminare l’intero lavoro potrebbe richiedermi un mese, e ciò potrebbe ritardare il processo e causare alcune difficoltà2.

Vorrei cominciare con il tema della coscienza e della consapevolezza sull’esistenza del popolo curdo. Avete presente la famosa domanda “Ma esiste o no un popolo curdo?” E se sì, fino a che punto è davvero riuscito a esistere? O, cosa ancora più importante, quanto sono intrecciate la sua esistenza e la sua libertà, e in che modo l’una rende possibile l’altra? Il PKK è un movimento nato per affermare l’esistenza del popolo curdo e per aprire le porte alla libertà. Ma a questo punto ci siamo bloccati. La fase successiva agli anni ’90 è in parte espressione di questa realtà. Per questo, vediamo di fare qualche cenno alla storia recente. Per esempio, in che modo dobbiamo interpretare le ultime parole pronunciate sul patibolo da Şeyh Said e da Seyit Rıza, i leader simbolo delle due ultime rivolte dell’identità curda tradizionale? Mi spiego meglio. Le loro parole indicano che l’identità curda tradizionale è stata distrutta. Questo vogliono dire. E identità curda tradizionale significa esistenza curda tradizionale. Gli ultimi due leader di quella forma di esistenza curda ne hanno sancito la morte sul patibolo, lasciando dietro di loro un’eredità e una memoria. Quali furono le parole di Şeyh Said? “Signor procuratore! Dove è finita la festa che mi avevi promesso? Cosa è successo all’agnello e a tutto il resto?” Qui si parla di un inganno religioso, perché lui è uno sceicco naqshbandi3 devoto. In realtà è l’espressione di un tragico abbaglio, che mette in luce quanto fosse sbagliata l’ideologia in cui lui riponeva fiducia, e che glielo sbatte in faccia. Le parole di Seyit Rıza sono simili: “Io non sono riuscito a cavarmela con voi, e che questo mi serva di lezione. Ma non mi sono inginocchiato di fronte a voi, e che questo vi sia di castigo!” Queste sono parole più significative. Esprimono da un lato l’inganno ricevuto, ma anche la richiesta che gli fanno all’ultimo momento: “Arrenditi e avrai salva la vita.” E lui risponde: “No. Non avrete la mia resa; e che possa questo perseguitarvi!” Ed è vero che lui lascia in eredità la città di Dersim come grande fonte di problemi… ecco ciò che esprimono le sue parole. In fin dei conti, sia la tradizione naqshbandi che quella alevita, o sunnita-alevita, sono in realtà entrambe posticce. Con lo sviluppo ideologico della modernità capitalista in forma di statalismo nazionalista, queste due concezioni hanno fornito la base per la negazione del popolo curdo. Questo alevismo posticcio viene elaborato tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. L’esistenza tradizionale del popolo curdo è stata distrutta nei fatti grazie a queste due illusioni. Questa è l’essenza, ma le sue tracce sono ancora oggi molto evidenti. Lo si vede sia a Çewlik (Bingöl) che a Dersim (Tunceli). E questi leader lo esprimono molto chiaramente. Il fatto che ciò avvenga sul patibolo è particolarmente emblematico. Rappresenta una realtà morta. Non malata, non ferita, ma morta.

A questo è poi seguita una fase di transizione rappresentata da Qazi Muhammad, Mustafa Barzani, Abdul Rahman Ghassemlou e Jalal Talabani. Che tipo di realtà esprime questa fase? Sì, esprime una realtà specifica, che conosciamo come tradizionale e che chiamiamo feudale; parliamo di una fase di transizione con le sue personalità semi-aristocratiche e semi-borghesi che sono giunte fino a noi. Con fase borghese intendiamo il periodo dal secondo dopoguerra ad oggi. Essenzialmente l’imborghesimento e la trasformazione in senso capitalista dell’Islam. Ma è mai possibile una cosa del genere? Può davvero esistere? Sì, è successo. Esistono un capitalismo di questo tipo, un’entità nazionalista e una coscienza su queste basi di nazionalismo. I suoi rappresentanti lo mostrano chiaramente. In Qazi Muhammad è già presente la tradizione del volersi fare stato. Barzani continua a tentare di formare uno stato, e a ciò partecipa anche Talabani. Eppure ancora non esiste uno stato-nazione curdo che abbia lasciato la sua impronta su questa fase, o per lo meno rimane molto dubbio nonostante tutti gli sforzi. E anche nella forma in cui esiste, si tratta di un fenomeno del tutto locale e parecchio controverso. Cosa ancora più importante, quest’ultimo stato federale curdo è un fatto imposto contro di noi. È stato sviluppato con il sostegno diretto e fondamentale della Repubblica di Turchia, e si tratta essenzialmente di un suo adattamento. A partire dal 1992 è stato promosso come strumento per liquidare il movimento rivoluzionario: prima con il Parlamento federale, e poi con i suoi altri organismi. Ecco perché con il loro aiuto le forze armate lanciano quei comunicati affinché ci arrendiamo. Si tratta di fatti davvero incredibili. Il nazionalismo curdo e il capitale curdo rappresentano un periodo di transizione. Per quanto in alcuni casi possa essere più sviluppata, ad Amed (Diyarbakır), Hewlêr (Erbil), Silêmanî (Sulaymaniyya), o persino a Mehabad, per noi resta una borghesia compradora primitiva. Io credo che non sia altro che la formazione di strumenti imposti come mezzo per la liquidazione; si tratta di elementi controrivoluzionari davvero effimeri e artificiosi. Parlo sia del loro contenuto ideologico che della loro prassi effettiva.

Poi c’è quello che possiamo chiamare “periodo di intermezzo”, un sotto-periodo della fase di transizione, che è l’epoca che arriva fino a noi. I suoi rappresentanti e portavoce includono figure come Saît Elçî, Saît Kirmizitoprak, i fratelli Silêman Maûnî e io ci metto persino Siraç Bilgîn. In letteratura troviamo Cigerxwîn, e nella musica Aram Tigran. Come li dovremmo considerare? Li definiamo dei welatparez4, e alcuni anche dei socialisti. Si tratta di tutte persone moderne e oneste, cioè nessuno di loro è mai stato un collaborazionista. Non hanno incarnato la volontà di forze nemiche, non sono stati un loro strumento né la loro voce. Ma sono rimasti su un livello molto individuale, e molti di loro sono stati annientati proprio da quegli stessi collaborazionisti. Hanno faticato per trovare un senso a ciò che erano e per sopravvivere, e sono caduti vittime di complotti. Soprattutto, sono morti in esilio. In effetti incarnano la realtà dell’esilio. Tuttavia hanno avuto una certa influenza su di noi. Voglio dire che da qualsiasi punto di vista li guardiamo essi sono il nostro prototipo. Parlo anche a titolo personale: mi appaiono come una realtà proto-apoista. Questo è il senso che attribuisco a questo periodo intermedio della fase di transizione.

Nella parte finale dell’Introduzione, quella che riguarda noi, parlo della mia realtà che ha segnato la fine del XX secolo e il primo quarto del XXI. È evidente che esiste una realtà di Apo5; questa non può essere negata, ma non va nemmeno esagerata. Ecco, com’è che va interpretata la realtà o la verità di Apo? Cosa esprime in termini di visione e di realtà?

L’era di Apo

In termini di leadership, questa fase è stata davvero poco compresa. Proprio non viene capita. Voi la definite la realtà della leadership, ma non capite cosa sia questa realtà. Il popolo è disperso, paralizzato, incapace di comprendere; i quadri sono impreparati. Da cinquant’anni il messianismo e la confusione del popolo curdo sono legati a questa realtà. La realizzazione della leadership nel PKK è un punto di svolta nella storia curda. È importante almeno quanto il risveglio curdo. Apo non è un messia venuto dal cielo, ma una leadership che ha costruito sé stessa attraverso uno sforzo e una pratica sociali. È questa la costruzione della leadership socialista nella storia del Kurdistan e del popolo curdo. Apo è la creazione di una leadership, non di un culto della personalità; è la creazione di una leadership collettiva.

Nel processo di emersione di questa leadership, l’identità curda si era disgregata, le leadership tradizionali erano crollate e il popolo curdo era stato bandito dal pensiero stesso. Si può capire come lo sviluppo dell’identità curda in un tale contesto abbia assunti significati miracolosi. Ma adesso basta! Sono cinquant’anni che aspetto di venire capito davvero. Ho cercato di spiegarlo e spiegarlo e spiegarlo. Non capire la realtà della leadership nel PKK significa non capire né il PKK, né cosa sia un curdo libero, e nemmeno un Kurdistan libero. Significa insistere nell’arretratezza. Ecco perché non riuscite a progredire e a essere avanguardia. Sono cinquant’anni che lotto senza sosta per rendervi parte della realtà della leadership.

Senza comprendere correttamente la realtà della leadership, senza compromettervi con la realtà, non siete nemmeno in grado di camminare da soli, figuriamoci guidare la società. In effetti non riuscite nemmeno a reggervi in piedi. Io ottengo un incredibile potere nel discorso e nell’azione. Ve li offro, cerco di spingerli in voi, ma voi continuate a rifiutarli. Insistete a pensarvi come un problema senza soluzione. Perché? Si tratta di una questione fondamentale. La discussione è molto seria. In questo momento la realtà di Apo ha lasciato il segno nella storia, sia come situazione in divenire che come momento storico, e in questo modo sta progredendo. E arriviamo così all’impasse nel PKK e alla ricerca di una soluzione, cioè alla questione dello scioglimento. Questa è la situazione che sto vivendo in questo momento. Ci troviamo nella ripetizione di un momento, senza molta creatività, ed è quindi necessario compiere un balzo. Occorre superare una qualche soglia.

Ironicamente, ad aprire questa nuova fase non siamo stati noi ma Devlet Bahçeli, un turco che proprio con me è stato particolarmente spietato e ha fatto sempre di tutto per ottenere la mia condanna a morte. Devlet Bahçeli, la più autorevole voce e mano della coscienza turca dei giorni nostri, e del proto-partito dello stato. Quindi, Bahçeli, un comandante della guerra senza quartiere contro di noi, ha personalmente detto alla delegazione del partito DEM: “Ho dedicato tutta la vita a questo, ma ora voglio aprire una nuova era.” Io credo che questo sia una chiara richiesta di una soluzione per la pace e la società democratica. È sia un appello di pace che di solidarietà. Una chiamata alla pace con un contenuto democratico. Gli sviluppi in parte lo dimostrano. L’unica conclusione che se ne può trarre è che “solo chi è in guerra può fare la pace”. Vale a dire che solo chi porta la responsabilità della guerra può assumersi la responsabilità della pace, e non forze che stiano in secondo o terzo piano. E questo perché la pace è un affare serio almeno quanto la guerra. La responsabilità di un atto così serio può essere assunta solo dai suoi principali protagonisti. Quindi nei fatti dallo stato che conduce questa guerra. Credo sia necessario trasformarla in un nuovo inizio, in un tentativo di pace. Questo è quanto è stato espresso negli ultimi sei mesi. Abbiamo risposto immediatamente perché ritenevamo che non dovessimo lasciar penzolare questa mano tesa, e che non si sarebbe dovuto mostrare indifferenza verso questa voce. In quanto parte in causa di questa guerra, abbiamo sentito la responsabilità di rispondere senza indugio. Di questo l’opinione pubblica è stata messa a conoscenza. È questo ciò che significa: solo le forze combattenti possono realizzare la pace. Nessun altro interlocutore ha questo potere. Sono attori secondari e ausiliari. L’iniziativa principale spetta alle avanguardie di questo processo. Ci siamo incamminati su questa strada, e a mio avviso questo è un approccio sano. Su queste basi abbiamo esteso il processo e ne stiamo preparando il programma con questo incontro, sotto la supervisione dello stato. Stiamo compiendo un grande sforzo per costruire una società democratica. Vogliamo superare questa soglia. Cosa vuol dire? Vogliamo passare da una fase di guerra e di conflitto separatista, alla pace e all’integrazione democratica con la Repubblica di Turchia in particolare. Con gli altri stati di Iraq, Iran e Siria saranno avviati processi simili. Che si tratti di un’iniziativa della Turchia mi appare sia una necessità logica che espressione delle condizioni oggettive. Così dovrebbe essere, e così è. Per questo un tale passo va trattato con grande serietà. Per quanto stia incontrando alcune difficoltà, sembra andare nella giusta direzione. Sapremo oltrepassare questa soglia? Solo gli sforzi della nostra creatività lo renderanno possibile. A partire da queste basi cercherò di presentare questa nuova era in sette punti principali. Perché e in che modo li ho scelti? Lo vedremo.

  1. Natura e significato

Volevo iniziare a partire da Natura e significato, oppure da La dialettica della natura, che raramente viene in mente. Cosa si deve intendere con questa? Permettetemi di approfondire un poco. Il significato si riferisce alla relazionalità e alla mutualità. È tipicamente un concetto collettivista e sociale. Il significato è prima di tutto il significato di qualcosa. Non si può parlare di un significato indipendente dall’esistenza. Come nasce il significato? Gli esseri umani sviluppano il potere del significato ascoltando la natura. Ecco perché la prima forma di apprendimento è la mimesi. L’umanità trasforma la natura ascoltando la natura.

Nel corso della storia sociale, il metodo di apprendimento attraverso l’osservazione della natura si è progressivamente indebolito. Con lo sviluppo del linguaggio simbolico e dell’intelligenza analitica, l’essere umano ha definito la natura con i propri concetti, cominciando ad alienarsi da essa. Questa alienazione ha raggiunto il suo apice nella fase della modernità capitalista. Il pensiero dominante di un’epoca diventa la verità di quell’epoca. Vale a dire che se in un periodo esiste un pensiero che domina sugli altri, allora questo viene accettato come vero. Esiste una realtà ed esiste una sua espressione; questa comunica un pensiero o una fantasia. Per esempio, l’epoca in cui il pensiero mitico era dominante la definiamo epoca mitica. Si tratta di un periodo che si esprime interamente attraverso l’immaginazione. È il periodo più lungo vissuto dall’umanità, ed è durato migliaia di anni. Piuttosto predominante è addirittura l’aspetto mimetico, intrinsecamente legato alle intuizioni imitative degli animali… Queste migliaia di anni le definiamo periodo mimetico. Sulla scia del pensiero mimetico si è sviluppato il pensiero mitico. Questa è in larga parte la realtà del Neolitico, del Neolitico superiore e del Mesolitico. La sua controparte sociale è la società tribale e di clan. La cosiddetta domesticazione di piante e animali è in realtà espressione di un periodo in cui si sperimentano per la prima volta una nuova cultura e un nuovo modo di vivere. Il pensiero mitico è un pensiero che trascende le intuizioni mimetiche, cioè propriamente animali. Si esprime interamente attraverso l’immaginazione. L’essere umano sviluppa il pensiero simbolico. In termini di pensiero, esiste una distinzione tra umano e animale; il pensiero simbolico è tipico dell’essere umano. L’umano si separa dall’animale con il pensiero simbolico. Nel pensiero mimetico non c’è simbolismo ma imitazione. Se l’imitazione sia una forma di pensiero è questione discutibile. L’animale può avere una mente, ma non si tratta di una condizione del pensiero. È in questo senso che il pensiero del periodo mitico è simbolico. L’universo di pensiero del periodo mitico è il mondo delle fiabe; un po’ più in là si trova il pensiero religioso dei monoteismi e simili. Il periodo del pensiero religioso e dell’interpretazione religiosa arriva fino ai giorni nostri. Entrambi hanno origine in Medio Oriente, in quell’Alta Mesopotamia che chiamiamo la culla della civiltà. La culla delle idee mitiche e religiose è la valle del Tigri e dell’Eufrate.

I miti sono schemi di significato richiesti dalla socializzazione. Svolgono un ruolo nella costruzione della società nei termini di immaginario che soddisfa i bisogni materiali e spirituali della vita sociale. In questo senso, la forza intellettuale della socializzazione del clan dà forma alla verità. Una grande era ecologica si conclude circa quindicimila anni fa; da quel momento inizia un nuovo periodo climatico. Questo permette al Neolitico di dare il via a una nuova epoca. Qui in primo luogo l’essere umano inventa il linguaggio, adottando il pensiero simbolico. Qui si compie il salto verso la civiltà e lo stato.

Il pensiero di questa epoca è espressione della natura? Attribuisce significato alla natura? Sembra proprio di sì. Se prendiamo ad esempio l’Islam, esso presenta una concezione di Allah a cui tutto risulta collegato. Allah è definito come l’entità che comprende l’universo, che governa e crea ogni cosa di momento in momento. Persino la sua indefinibilità trova espressione. Viene presentato come una fede che non può essere espressa. Questo è ciò che significa la parola Islam. In effetti si tratta di una fase della storia dell’umanità, e di una fase davvero suggestiva. Questa è la ragione per cui l’Islam è così influente. L’Islam si colloca a metà tra filosofia e pensiero mitologico. Il pensiero islamico non è né del tutto filosofico, né del tutto mitico. Si oppone fortemente a entrambi, come si evince chiaramente dalle parole di al-Ghazālī6. Se volessimo parlare di scuole di pensiero, quella di al-Ghazālī è la scuola dominante; da un lato essa chiude le porte a quella filosofia che ha aperto la strada al trionfo della scienza europea, dall’altro dà vita al Kalām7. Ma il Kalām non va confuso con la filosofia. Per di più essa pone fine all’epoca mitologica. Si apre così una nuova fase per l’Islam. Parecchio determinante. Lascerà il segno su tutta quell’epoca. Farà indietreggiare sia il cristianesimo, l’ebraismo e le religioni indiane e cinesi, ritagliandosi uno spazio tutto per sé. Perché? Perché si tratta di una fase importante. Il periodo che separa filosofia e mitologia è un periodo assolutamente essenziale, e richiede la presenza di un profeta. Questo è ciò che esprime il profeta Maometto. Sapete come si dice, che Allah abbia novantanove attributi. I novantanove attributi sono tutto ciò che acquista significato come alterità. L’universo è in realtà filosofia. Si tratta di uno stadio preliminare a ciò. I novantanove attributi sono una filosofia. Sono un programma; la premessa filosofica della modernità e della scienza. Ecco perché l’Islam è così influente, e il cristianesimo gli è secondo. Ma al suo interno contiene anche un vicolo cieco, perché proprio al suo interno ha chiuso la porta al passaggio alla filosofia moderna. È ben noto il celebre conflitto tra ibn Rušd8 e al-Ghazālī. Condannando al-Ghazālī, il pensiero occidentale si sviluppa a partire dalle basi poste da ibn Rušd. Realizza così la rivoluzione filosofica e scientifica che conosciamo, mentre l’Islam resta completamente isolato da essa. Da qui vengono la supremazia occidentale e l’ascesa dell’Occidente. L’Islam esprime la verità molto più di quanto non facciano il pensiero mitico o addirittura la religione della Torah, l’ebraismo. Ma le nuove aperture nel cristianesimo e l’approccio rigido alla fede nella mitologia creano una doppia pressione su di esso rendendolo così irremovibile. La sua chiusura trasforma l’Islam in una grande forza conservatrice. Il XV e il XVI secolo sono gli anni in cui il conservatorismo raggiunge il suo apice. Gli anni a cavallo tra IX e X secolo furono invece un periodo di rinascita nell’Islam; una rinascita che influenzò il mondo intero. Ciononostante, i secoli XV e XVI furono un’epoca di enorme conservatorismo, e nei fatti l’Islam terminò lì. L’espressione concreta di questo fenomeno è l’enorme conservatorismo che si apre con i Safavidi, con l’India Moghul, e con l’Impero ottomano concentrato intorno a Istambul, e che si esaurisce già un secolo dopo tra il XVII e il XVIII secolo. Secondo me l’Islam è finito nel XVIII secolo. Dopodiché ha perso la sua vitalità e ha iniziato ad essere sfruttato da altri. Gli inglesi sfruttarono l’Islam e ottennero la dominazione globale che conosciamo; arrivarono all’egemonia mondiale partendo da una piccola isola. Questo è legato al conservatorismo dell’Islam. Perché dico ciò? Ho anche parlato del cristianesimo, perché è con il cristianesimo che inizia la supremazia occidentale. La Riforma che ha avuto luogo all’interno del cristianesimo non c’è stata nell’Islam.

Lo sciismo9 è stato un tentativo in questo senso ma ha fallito. In Occidente si è passati dalla Riforma all’Illuminismo. Anche il Rinascimento ha a che fare con ciò: Riforma, Rinascimento e Illuminismo hanno reso possibile e determinato la realizzazione della supremazia intellettuale dell’Occidente. La Rivoluzione francese del XVIII secolo, la Rivoluzione industriale inglese e la rivoluzione politica francese hanno raggiunto piena realizzazione nell’800, con l’era globale che conosciamo. Nel XX secolo ha mantenuto questa posizione e ora ci troviamo in una fase completamente nuova. Perché lo rimarco? Perché se non siamo in grado di interpretare correttamente il passato, se non riusciamo a comprendere bene il passato e la tradizione, non possiamo dare un senso al presente, e senza dare senso al presente non possiamo comprendere il futuro. Per quanto l’Islam e il kemalismo siano gli strumenti usati per imporre il dominio del pensiero positivista, il pensiero conservatore cerca oggi di stabilire una supremazia dell’Islam10. Mentre il positivismo viene superato in Occidente, in Turchia ha dato vita a un duro conservatorismo. All’Islam non si dà nessuna rilevanza. Di fronte a Israele, con i suoi cinque milioni di abitanti, l’Islam arabo e i suoi trecento milioni di persone non riescono nemmeno a respirare. L’Islam è ovviamente responsabile di questo. Se nonostante tutto ciò continuiamo a sostenere l’islamismo, significa che c’è qualcosa che non va. Lo rimarco per far capire bene il concetto. Ci si chiede persino se sia dominante il cristianesimo o l’Islam. Il cristianesimo è dominante al 99%. Bisogna dire queste cose con franchezza, il resto sono pie illusioni. Quelli che sostengono l’Islam contro l’Occidente, usando concetti occidentali, non attuano una difesa dell’Islam. L’Occidente è straordinariamente superiore nel campo della filosofia, della scienza, della tecnica, e voi volete approfittare dei suoi resti, degli scarti? E lo fate pure supplicando. L’ultima crisi di Gaza dimostra che questo modo non ha molte possibilità di successo. State attaccando Israele? Ma Israele rappresenta la potenza egemonica mondiale! E poi chiedete aiuto all’ONU, alla UE, alla commissione per i diritti umani e a non so chi altri. Le istituzioni a cui chiedete aiuto portano il marchio a fuoco di Israele! Se aveste davvero dichiarato Israele vostro nemico, non dovreste mendicare da quelle istituzioni. Se sei coerente e non vuoi ingannare il tuo popolo non ti comporti in questo modo. Si tratta del potere egemonico! O ci si sottomette a lui, oppure si conduce una guerra per davvero. Dal momento che questo in Turchia non si sta facendo, le opinioni sono confuse e ancora una volta il capitale sta accrescendosi accumulando profitti e rafforzando la propria egemonia grazie a questo conflitto. Ho aperto questa sezione per richiamare l’attenzione su questo punto. Capire ciò è chiaramente legato a una corretta comprensione della nostra epoca. Quanto ho detto getta sufficiente luce sull’argomento; non occorre approfondire ulteriormente.

  1. Natura sociale e problematicità

Quindi: natura e significato. C’è chi potrebbe voler approfondire un po’ le idee filosofiche. Questa curiosità è giustificata, dal momento che la scienza nasce proprio dalla curiosità. Per soddisfare e aprire la strada a questa curiosità, io credo che sia indispensabile dotarsi di un pensiero filosofico sulla dialettica della natura e l’alterità. Ecco, per ottenere dei risultati ho ritenuto di filtrare tutto quanto la scienza ci ha fornito, tutto ciò che riguarda la fisica, la chimica, la biologia, così come tutte le idee che vanno sotto il nome della filosofia e persino della mitologia. Si tratta di pensiero speculativo; non sto quindi dicendo che sia assolutamente vero, ma la realtà al di là della natura merita di essere compresa. Possiamo anche chiamarla universo. Esistono ancora aspetti che non sono stati compresi. Si parla di Big Bang. E che cos’è questo Big Bang? Cosa c’era prima? Si dice che l’universo si sia sviluppato per tredici miliardi di anni a causa di questa enorme esplosione. La mente non è granché disposta ad accettarlo. Gradualmente sulla base della fisica si sta sviluppando l’idea di una cosiddetta radiazione di fondo. È naturale che venga da chiedersi: durante e prima dell’esplosione, c’era o non c’era un universo? Questa esplosione è partita da un’entità miliardi di volte più piccola di una punta di spillo, e ha originato tutto l’attuale universo.

Ora la nostra galassia, la Via Lattea, ha tra i duecento e i trecento miliardi di stelle. Con decine di pianeti intorno a ognuna di esse. Esistono miliardi di galassie. Che tutto ciò provenga da una punta di spillo richiede una spiegazione. La scienza sta cercando una risposta sulla base della fisica quantistica. Ecco il principio di indeterminazione, la logica della sovrapposizione. Insieme a tutto questo, c’è tutto quello. Abbiamo attraversato un periodo di rozzo materialismo. Per fortuna quel materialismo è stato superato. L’universo non è mai così come si dice che sia. Ecco: la teoria dell’universo eliocentrico, poi la Via Lattea, oggi abbiamo anche la materia oscura che circonda i buchi neri, l’energia oscura… ora questi concetti si moltiplicheranno sempre di più. Si pensava che l’atomo fosse la più piccola particella, poi si è scoperto che l’atomo stesso è composto da molte particelle, cioè elettroni, protoni e neutroni. Ora anche questi sono fatti di particelle. È comparsa anche una particella di Dio. Insomma, è così che vanno le cose.

Perché parlo di questo? Perché ciò dimostra che sia da un punto di vista materialista, che da un punto di vista idealista, scarseggiano le verità assolute. Questo non è vero al cento per cento, e non lo è nemmeno quello. È evidente che all’interno della mente umana avviene uno sviluppo, un’esplosione. La ricerca della verità continua. E questo è positivo, una mente umana aperta alla ricerca della verità dà almeno speranza. Dà speranza alla libertà e alla vita. Una vita libera… penso che sia giusto coltivare una vita libera. Anzi, insistere in un modo di pensare di questo tipo ci porta a una spiegazione della natura sociale. Ecco, questo è ciò di cui voglio parlare in questo secondo punto.

In generale, questa è la mia valutazione sulla natura e il significato. Anche Hegel si è occupato parecchio di questo. Hegel trova il significato nella natura stessa. Lo spirito universale che chiama geist è davvero una realtà al di là del cervello. Anche l’esistenza è una realtà. Il significato risiede nell’esistenza. Non è il prodotto del cervello umano. Questo viene visto come un tipo di idealismo. Idealismo hegeliano. Ma c’è un fondo di verità in esso. Marx esprime esattamente l’opposto. Esprime il pensiero come riflesso. Il tempo sarebbe qualcosa che avviene nel cervello umano. Riflettendosi sull’esterno diventa pensiero. È un po’ l’opposto. Il significato in quanto tale si trova nella natura. Si tratta di un dibattito filosofico. È positivo che discussioni del genere proseguano. Non va bene congelarle nel materialismo e nell’idealismo. Una dicotomia del genere porta all’errore; ci sta portando a sbagliare. Invece il pensiero dialettico impedisce che ciò si irrigidisca nel dogma.

Il vantaggio del pensiero dialettico è evidente dal nome stesso: implica una dualità. Deriva dalle lingue indoeuropee. Nella dialettica, il significato dell’uno dipende dal due. Il due suggerisce alla mente l’uno. Quando applichiamo questa concezione al pensiero, il pensiero necessita della materia: soggetto e oggetto sono entrambi necessari. E così via all’infinito. Restano sia qualcosa di utile che una porta aperta. L’antitesi del pensiero dialettico è la metafisica. La metafisica è una forma del pensiero, ma non è efficace quanto la dialettica. La dialettica è più efficace. Ma deve essere sviluppata, e oggi la si sta sviluppando. La spiegazione sulla natura che abbiamo appena menzionato è stata resa possibile grazie al pensiero dialettico.

Passo ora immediatamente al tema della natura sociale e della problematizzazione. Sì, anche la società è una natura. Ma la si chiama seconda natura. E questo è corretto. Io credo che esista una grande differenza nella natura sociale. La sua caratteristica fondamentale è la flessibilità di pensiero. Non sto mettendo in discussione l’intelletto della natura, ma la natura sociale è una natura modellata dal pensiero, le cui basi l’umano ha posto con tutte le sue forme di pensiero, prima simboliche, poi scientifiche, filosofiche e religiose. La natura sociale non è una pietra, non è una pianta e non è un animale. Si fonda sul pensiero. La natura sociale ha questa peculiarità. Quando si parla di società viene subito in mente il pensiero.

La filosofia ateniese si è sviluppata con la società. L’Occidente si è sviluppato con il pensiero scientifico. Prendiamo la dicotomia Londra-Amsterdam o quella Atene-Sparta: esse hanno aperto la strada alla filosofia. Il pensiero musulmano è progredito come pensiero religioso più produttivo. Tutte queste sono fasi diverse della società. Ecco, la società sumera è al culmine della mitologia; la società sumera è la culla di una società basata sullo stato. È un pensiero mitico concepito nell’Alta Mesopotamia sui suoli fertili del Tigri e dell’Eufrate, e lì ha raggiunto il suo apice. Il mondo degli dei e delle dee è molto suggestivo e le concezioni che ne sono state tratte hanno poi dato forma al Corano. La maggior parte delle idee del Corano vengono da qui. Anche buona parte del pensiero filosofico ateniese viene da qui. A nord, l’Europa viveva allora in uno stato selvaggio. Atene prende la filosofia zoroastriana dai Medi e il pensiero religioso dagli Egizi. All’epoca non c’era intellettuale che non avesse visitato Babilonia. Tutti avevano visitato l’Egitto, Babilonia, la Media e persino Persepoli. Fanno una sintesi di tutto ciò che hanno visto. Anche l’idea di democrazia in realtà viene da qui. È su queste basi che avviene il passo verso la civiltà che chiamiamo greca ed ellenica; vale a dire, sulla base della socialità di quella che indichiamo come la prima fase della società, e che il marxismo chiama fase della barbarie o periodo primitivo, e a cui fa seguire lo sviluppo dell’istituzione della schiavitù. Ora, prima di passare a questo abbiamo dato una definizione generale di socialità. Ma come si è sviluppata? Sapete come viene spiegato lo sviluppo sociale nella mitologia sumera? In tutte e tre le religioni monoteistiche è scritto chiaramente come l’avvio sia stato dato dal padre Adamo e dalla madre Eva. Parlano addirittura di cinquemila anni. Danno anche una data secondo il loro punto di vista. È del tutto legato al credo religioso. L’approccio scientifico, anzi, il pensiero ateniese, ha fatto un salto in avanti. Ha così dato vita a una nuova società e l’ha portata al successo. Il capitalismo è nel pieno della sua ascesa. Il pensiero occidentale è un pensiero che si è fatto egemonia e materialità. È diventato un potere materiale. Ma un punto rimane oscuro. Che cos’è? Come si è formata questa natura sociale? E chi l’ha creata? La società non è semplicemente una formazione composta da un insieme di persone riunite. La società è un sistema di valori prodotto da persone che si riuniscono insieme, e che realizzano sé stesse attraverso la collettività e attorno a un divenire comune. L’elemento fondante, che sostiene e sviluppa tutte le formazioni e strutture sociali è il significato. La società non ha altro soggetto all’infuori di sé. Il soggetto e l’oggetto della formazione della società è ancora una volta la società stessa. E questa formazione ha un carattere aperto. In altre parole, la società è un atto di costruzione, distruzione e ricostruzione.

In definitiva sono gli esseri umani a creare questa natura sociale. La natura sociale è una realtà che si forma attorno alla specie umana. Gli animali vivono in comunità. È una cosa differente. Abbiamo detto che hanno una mentalità mimetica. È una cosa che si forma a partire dall’istinto e dall’imitazione. Sì, anche gli esseri umani hanno istinti. Si tratta di un retaggio del loro essere animali. La parte inferiore del cervello è comune a tutti gli animali. Quello che possiamo chiamare piccolo cervello [ipotalamo] è responsabile del pensiero istintivo. Ma il pensiero mitico trascende il pensiero mimetico. La sua sede cerebrale si trova in quella parte che chiamiamo cervello medio [sistema limbico]. Sotto la sua responsabilità l’umano diventa umano. L’essere umano che sviluppa il pensiero mitico è in effetti l’umano creato dal cervello medio. È naturale che questi siano tutti interconnessi tra loro. Non si sale di livello operando tagli con un coltello. È tutto intrecciato. È un universo straordinario. Ma chi nella specie umana ne detiene la responsabilità?

È qui che entra in gioco la donna. La cosa ancora più straordinaria è come si siano formati il maschile e il femminile. È naturale che questo sia un po’ confuso. Non ho approfondito moltissimo l’argomento, ma per quanto ne so i primi organismi erano unicellulari, e ogni cellula si scindeva semplicemente, avete presente la divisione mitotica. Uno diventa due. Conosciamo questo tipo di riproduzione. Non esiste ancora una divisione tra maschio e femmina. Questa forma dura per milioni di anni. Per quanto possiamo saperne, la separazione degli esseri viventi in maschio e femmina risale a trecento milioni di anni fa. Ne stiamo parlando da una prospettiva filosofica. Per quale ragione si è verificata una tale divisione tra maschile e femminile? Abbiamo detto che è la dialettica della natura. La dialettica è responsabile di ciò. Tutto è dicotomico. Come è stato che la materia è sorta dall’energia? Come si sono differenziate le particelle? Sì, anche nell’atomo si trovano particelle, senza di esse l’atomo non esisterebbe. Come si trasforma la materia in energia? La materia, cioè le cose visibili, le stelle, è energia materializzata. La formula di Einstein E=mc2 è la formula della trasformazione dell’energia in materia. L’importanza di questa formula sta nel fatto che rende comprensibile l’argomento. La questione del maschile e del femminile è un’estensione di ciò. Non è qualcosa di contrario allo sviluppo dell’universo. In quanto sua estensione, è esistito un tempo in cui si è passati gradualmente dal dualismo dell’unicità dell’essere, alla fusione di due entità distinte. Emerge l’entità maschile ed emerge l’entità femminile; l’uno si divide in due, e poi da due ritorna l’unità… si sviluppano una entità maschile e una entità femminile che progressivamente si fanno sempre più nette. Questo avvenne trecento milioni di anni fa. Sviluppi del genere avvengono sia nel regno animale che in quello vegetale. Alcuni animali possono essere femmine o maschi in funzione del calore. Vuol dire che non si tratta di nulla di rigido, ma di una realtà mutevole e dialettica. Sapete che quello dell’LGBT è un argomento molto dibattuto. Ci sono molte persone ermafrodite che possiedono caratteristiche sia maschili che femminili. Diventano maschi o femmine attraverso un intervento chirurgico. Tali interventi sono piuttosto comuni. L’aspetto che colpisce è che non esiste un divario incolmabile tra il femminile e il maschile. Ovviamente il lato filosofico della questione è molto diverso dal suo lato sociologico. Esiste una sua dimensione morale che si manifesta nella società. Questa può essere superata con il pensiero dialettico.

Qui non intendo addentrarmi nel ruolo della donna. La distinzione tra maschile e femminile non è nulla di miracoloso, ma una semplice conseguenza della dialettica della natura. Non garantisce nessuna superiorità. Essere femmine non dà nessun primato, come essere maschi non concede alcuna sacralità. Non si tratta di un fatto da cui trarre chissà quali conclusioni particolari. Queste cose accadono e accadranno sempre come necessità della dialettica della natura. In effetti è ciò a cui diamo il nome di differenziazione, e senza differenziazione non c’è vita. Il significato della vita è legato alla differenziazione. Ecco, come può una singola persona essere sia maschile che femminile? È evidente che al giorno d’oggi non può vivere. Come è che un uomo ermafrodita è sia maschile che femminile? La morale tradizionale condanna queste persone. Ma io credo che questo sia davvero un problema. Attraverso un’operazione chirurgica si può portare in primo piano il lato maschile, o si può preferire quello femminile; io dico che entrambi sono preziosi. Se la natura ti divide in due ti accorgerai che questa separazione è un’opportunità di libertà, come una differenza; quella differenza ha significato. Anche il femminile ha il suo significato, così come il maschile. E questo si è manifestato nella società. Ciò che conta è non metterli in contrapposizione. La loro opposizione è proprio la fonte del problema.

Ora la problematicità sociale comincia così. Chi dice che il maschile è dominante, e chi dice che è dominante il femminile… queste sono problematicità interne alla natura sociale. Col tempo emergerà sì la superiorità del femminile; ma questo possiamo approfondirlo dopo. L’altra parte sostiene l’opposto, cioè la superiorità del maschile. E in questo modo sono emerse filosofie terribili, e questo è diventato un problema enorme. Ho detto in passato che la problematicità sociale ha inizio con lo stato in seguito alla civiltà. Ora pare che ciò non avvenga con lo stato, ma molto prima, trentamila anni fa. Alla fine il maschile è diventato un bizzarro costrutto del tutto distinto dalla donna, e il femminile si è sviluppato come un tipo di personalità diversa dal maschio come il giorno lo è dalla notte. Se ci fate caso, esiste una piccolissima differenza tra i cromosomi maschili e quelli femminili. È davvero una differenza microscopica. Dopo tutto, quello che chiamiamo pensiero è una cosa propria dell’essere umano, e non esistono un maschile e un femminile del pensiero. Il pensiero è una qualità che trascende completamente queste dicotomie, anzi, nella sfera politica, una specifica sfera politica maschile e una specificamente femminile sono un’assurdità. La sfera politica è un carattere dell’essere umano. Possiamo estendere la cosa ad altri ambiti. Nell’economia, nell’arte e persino nella religione sono state fatte distinzioni del tipo di una religione per le donne e una per gli uomini, ma non si può davvero dire che si tratti di realtà fondanti. Un pensiero specificamente maschile e uno femminile sono chiaramente espressione di problematicità. Non si tratta nemmeno soltanto di problemi, ma di rimanere incastrati nella problematicità stessa. Si tratta della negazione stessa del pensiero dialettico. Quando il femminismo diventa un pensiero riferito specificamente alle donne, e la mascolinità specificamente agli uomini, entrambi si irrigidiscono in due ambiti opposti e dogmatici di pensiero. Una tale rigidità non esiste in natura, la dialettica della natura si riflette sulla società, e la dialettica della società rende possibile la vita, una vita diversa; la vita è differenziata! La differenza esprime la vita. La vita si arricchisce nella differenziazione. Una dicotomia cristallizzata nell’opposizione diventa un baratro. E in questo baratro regnano le violenze, e la realtà che sta dietro ai delitti familiari. Dal punto di vista di chi la uccide, la donna è congelata in una donna assoluta, e l’uomo in un maschio assoluto. Ma siamo in presenza di un flusso di pensiero dialettico, quindi è certo che l’uno tradirà l’altra. L’uno colpisce l’altra e viceversa. Qui ha origine la radice del problema. Come ho già detto, questo implica una straordinaria problematicità. È necessario superarla.

Credo di aver inquadrato correttamente la problematicità sotto questo punto principale. Una volta parlavamo della divisione tra città e villaggio nel contesto dello stato, e la credevamo fondata sulla divisione di classe. Questo non è sufficiente… ci sono certo anche delle problematicità che hanno un’origine di classe, e ci sono problematicità tra lo stato e la comune; affronterò dopo questi temi perché sono molto seri. Ma la vera problematicità nella società comincia con il conflitto tra gli elementi maschile e femminile. Man mano che i pensieri maschile e femminile si irrigidiscono, si offusca la vista sulla realtà fondamentale… questo lo vediamo prima di tutto nella donna. L’era della dea… in effetti questa si mostra in parte nelle ricerche archeologiche sul periodo. Le figurine della dea degli ultimi trentamila anni mostrano che è stata vissuta un’epoca del genere. È accertato che un periodo di questo tipo è stato vissuto dall’Eurasia fino all’Europa occidentale, e dal Medio Oriente all’Africa. Ma che significato ha questa divinità femminile? Che la donna partorisca non necessita di ulteriori spiegazioni… la nascita avviene nel corpo della donna. Punto. È necessario però comprendere bene che il cambiamento che avviene nella donna è tipico della specie umana. Tutte le ricerche mostrano come la riproduzione delle piante sia facile, come avvenga facilmente anche la divisione nella prima cellula, e sapete come avviene il parto negli animali: il cucciolo a ventiquattro ore dalla nascita si regge sulle sue zampe. Questo è vero per tutti gli animali. Alcune durano di più e altre di meno, ma la loro nascita è facile, e anche il loro sviluppo; gli animali si prendono cura dei cuccioli per sei mesi, al ché li lasciano e quelli sono in grado di sopravvivere. Ma quando si parla degli esseri umani si presenta una situazione interessante: non solo hanno una nascita complicata, ma non possono vivere senza il sostegno materno per almeno cinque o sei anni. Quindi, mentre per gli animali sono ventiquattr’ore, per il genere umano possono essere fino a sette anni. E questo di cosa necessita? Di un contesto sociale attorno alla madre. Perché non è chiaro quale sia l’uomo. Non esiste alcun fenomeno che leghi il cucciolo al maschio. Come si sono incontrati all’inizio l’uomo e la donna? Sia negli esseri umani che negli animali esiste un impulso sessuale. L’impulso della sessualità è una delle pulsioni fondamentali proprio come quello della fame. Le pulsioni sono coscienza, sono segno di vitalità. Senza sensazione della fame non c’è la sua soddisfazione, quindi non c’è la vita. Senza pulsione sessuale non c’è riproduzione, e senza riproduzione non è possibile la vita. Questo si capisce facilmente. Chi è il padre? In effetti prima il padre non c’era. E nemmeno c’era una consapevolezza riguardo a con chi si fosse stabilità una relazione sessuale; esisteva solo un impulso.

La cultura è una forma di coscienza che emerge nella specie umana. Ciò ha dapprima inizio nella donna, perché è la donna che dà alla luce il bambino. Più tardi, con le religioni monoteiste, Eva verrà creata dalla costola di Adamo. Anche nella mitologia sumera questo episodio è raccontato in modo dettagliato. Gli Ebrei lo inserirono nella Torah, e dalla Torah è passato al Corano.

La donna che partorisce deve crescere il bambino. Deve nutrirlo, e pertanto deve raccogliere cibo. Anche questo richiede un enorme lavoro e un grande sforzo. Parliamo di una storia lunga circa due milioni di anni. Tutto ha inizio nella Rift Valley in Africa, per poi concentrarsi in Medio Oriente. La vera fase di acculturazione avviene nelle valli dei monti Tauro e Zagros. È qui che l’umano diventa davvero umano, e la donna diventa donna. Approfondiamo un po’ questo aspetto. La donna cresce il bambino perché sa che è nato da lei. Probabilmente, così come i bambini e le bambine che crescono insieme si riconoscono, anche la donna conosce qualche zio e zia, e altri suoi parenti, come fratelli e sorelle. E con questo inizia la cultura, con gruppi di sette, dieci o quindici persone. Il numero non va mai oltre i venti individui. Questi insieme formano un clan. Il clan è la prima forma di organizzazione nella storia della socializzazione. Il clan è una cultura che si forma attorno alla madre.

Ecco, quando la struttura della laringe lo favorisce, circa tre milioni di anni fa, inizia a emergere anche il fenomeno che chiamiamo linguaggio. Si passa dal linguaggio gestuale a quello dei suoni. Infine il pensiero mitico e il linguaggio simbolico fanno la loro comparsa in quella regione che chiamiamo Mezzaluna Fertile. In una straordinaria esplosione culturale si evolve in ciò che chiamiamo civiltà. Con essa si sviluppano il villaggio-città e lo stato-classe. Ciò che è significativo è che questa natura sociale si sia sviluppata attorno alla donna. Questa struttura sociale incentrata sulla donna è rimasta la cultura dominante fino all’epoca della società sumera, o più precisamente fino al 2000 a.e.v. circa. La concezione della madre conquista l’egemonia culturale. Ciò si riflette nelle statuette e nei resti dei templi ancora oggi esistenti. Se ne trovano descrizioni molto chiare in epopee mitologiche come quelle di Gilgamesh, Babilonia, e nell’Enuma Eliš. Quindi, la conclusione a cui arriviamo è che un tempo esisteva una forma di vita sociale incentrata sulle donne. Troviamo anche la problematicità fondata sull’irrigidimento degli elementi femminili e maschili. Qui vennero stabilite in modo forte anche le basi per questo. Tutte le prove archeologiche indicano che anche l’addomesticamento di animali e piante ebbe inizio in questa regione. Ai tempi di Marx queste prove non esistevano. Gli studi sulla società sumera non erano ancora stati pubblicati, e pertanto questo non glielo si può imputare.

Marx fa iniziare la storia con le classi. Ma l’inizio della problematicità non si ha con le classi, bensì intorno alla socialità delle donne. Per quanto ne sappiamo, questa problematicità conduce alla civiltà, e alla società civilizzata. Porta alla nascita della città, e anche qui vediamo l’impronta della donna. Uruk è la prima città, il primo stato, e di fatto la prima classe. L’Epopea di Gilgamesh fornisce ogni indizio al riguardo. È entrata a far parte dell’epica perché è stata una grande guerra; è la prima epopea scritta dall’umanità, e in questo primato si trovano centinaia di prime volte. La creazione delle classi, la creazione dello stato, la creazione del potere; si tratta di primi passi eccezionali. La dea fondatrice della città di Uruk è Inanna. È anche possibile che la parola ninna11 derivi da qui. Quindi una concezione di divinità costruita attorno alla donna esprime questa ascesa. Esprime quel culto, il culto della dea. La sua sacralità è così sviluppata che anche uno come Gilgamesh trema come una foglia. Nelle cerimonie di fertilità è presente un chiaro rito sessuale. L’autore del mito descrive questi matrimoni sacri come cerimonie straordinarie. E l’uomo forte che consuma quel matrimonio viene ucciso il giorno dopo. Tradizioni simili si incontrano in molte culture. Anche tra gli Aztechi, tutti i giovani uomini catturati venivano sacrificati. Fino al XVI secolo questa cultura era praticata in moli luoghi. Dopo aver passato un breve periodo di tempo insieme a una vergine, un mese o un anno, veniva ucciso e il suo fegato mangiato. Gli Aztechi avevano questa tradizione terribile. Quando gli Spagnoli conquistarono la regione, migliaia di giovani venivano ancora sacrificati ogni anno nei templi. E questo accadeva anche altrove.

Tutto questo deriva dal culto della dea. È la dea che fa uccidere colui che ha celebrato il matrimonio sacro con lei. La spiegazione sociologica per questo fenomeno è che la dea non vuole cedere il proprio posto al dio. Lo posso affermare con chiarezza: è questa la mia tesi. I libri affermano che si tratta solo di un requisito del matrimonio sacro, ma in realtà è la donna che non vuole cedere il suo posto a una divinità maschile. Dumuzi è l’amante di Inanna, per quanto lei lo ami, lo uccide e lo manda negli inferi. Questa è la regola. Perché? Perché la donna sa cosa le succederebbe se cedesse il suo posto a un dio. E infatti questo è ciò che accade in epoca babilonese. Quando Inanna deteneva un potere assoluto sulla città di Uruk nel 4000 a.e.v., regnando come divinità assoluta e celebrando il matrimonio sacro in tutto il suo splendore, persino Gilgamesh stesso cercava di fuggire e nascondersi. La sua ricerca dell’immortalità è legata a questo. Mi sorprende che se è stata in grado di riconoscerlo una persona priva di mezzi come me, così tanti scienziati non sono stati capaci di accorgersene. Ebbene sì, il significato della ricerca dell’immortalità è che l’uomo vuole salvare la propria vita. In accordo al culto di Uruk, la dea possiede molti sacerdoti maschi. C’è una donna, la dea, che detiene il potere, nel tempio si trovano sacerdoti a lei fedeli, lei prende quello che vuole, celebra il matrimonio sacro con lui e il giorno dopo lo uccide. Sapendo che verrà ucciso, Gilgamesh fugge dicendo: “Non scegliere me!” Ha un primo piano di fuga, poi un secondo, ma ogni volta viene catturato e riportato indietro. Ma credo che si verifichi qualcosa di straordinario quando la sua vita viene risparmiata. Non so come gli venga risparmiata, non ho fatto ricerche in merito. Ma dal momento che il fatto che gli venga risparmiata la vita è un evento straordinario, ecco che nasce l’Epopea di Gilgamesh. La peculiarità di Gilgamesh è proprio che si tratta di un uomo che non viene più ucciso. Una volta che lui non è tra gli uomini sacrificati questa epopea prende forma. Viene scolpita sulla pietra, incisa su mattoni dando il via a una nuova era di mascolinità che dura fino ai giorni nostri. Tra il 4000 e il 2000 a.e.v., fino all’epoca babilonese, il potere passa gradualmente agli uomini. Ora è l’uomo che prende il posto della donna nel tempio. Gilgamesh manda una prostituta da Enkidu, che probabilmente è un proto-kurdo delle montagne. È una leggenda, ma esiste anche una cultura che consiste nel conquistare l’uomo attraverso una prostituta. Cosa fanno? La adornano e la truccano. Lo sapete, il tempio esiste già e vi si trovano le donne più ricercate.

Nella città di Uruk c’è un tempio dedicato alle donne, che possiamo paragonare al bordello di oggi. Si tratta della trasformazione del tempio in bordello. Musakkaddim; sì, ha anche un nome. È una forma di socializzazione basata sull’uomo. E non è ancora oggi così? È davvero sorprendente: sono avvenute infiltrazioni anche tra le nostre fila. Per dividere e frammentare il PKK sono state inviate delle escort. È davvero incredibile. Anche noi abbiamo vissuto queste cose. Forse io stesso le ho sperimentate personalmente. Questa è la realtà. E oggi è molto diffusa. Ecco, infiltrarsi alla testa dell’organizzazione, o persino portarla all’auto-scioglimento, si può fare in questo modo. Nelle nostre terre ciò ha sicuramente una base storica. È in questo modo che Enkidu viene condotto giù dai monti Zagros; lui che viene descritto come un uomo forte e magnifico, potente almeno quanto Gilgamesh stesso. Senza Enkidu Gilgamesh non può vivere. È l’uomo che protegge la città egemonica. È parte dell’epopea, gli vengono tributati grandi onori. Quando muore, Gilgamesh si sente come se fosse morto anche lui. Dice: “Come sono morto? Come mi è capitata questa disgrazia?” È un’epopea tragica, ma il succo è questo: mediante la donna si può controllare l’uomo delle montagne. Il tempio della donna viene trasformato in Musakkaddim e Gilgamesh ottiene la monarchia diventando dio e re. Proprio come i soldati vengono reclutati tra i giovani curdi in particolare mediante il bordello, lui conduce l’uomo delle montagne a unirsi alla prostituta nel tempio per crearsi un esercito di uomini fedeli. Nel giro di due o tre giorni questo crolla devastato. Dice che non tornerà mai più sulle montagne. Perché ha scoperto la prostituzione.

Quel giorno sono state gettate le fondamenta di questa istituzione che corrode la società, prostituisce le donne e degrada gli uomini al loro stato peggiore. Questa è l’essenza dell’Epopea di Gilgamesh. Perché parlo di questo? Abbiamo parlato di problematicità; della donna e della problematicità. Questa realtà la si può analizzare sotto questo macro-argomento. Lo si può forse negare? I suoi effetti si fanno parecchio sentire ancora oggi. Ho spiegato come l’uomo si è fatto maschio. Sto cercando di chiarire in che modo il culto della dea si è trasformato in una religione maschile. In Gilgamesh, Enkidu è il terribile proto-curdo che sta scomparendo. Ne sto dando una descrizione approssimativa e generica; chiunque voglia può approfondire, ma per me l’essenza è questa: una socialità incentrata sulla donna, una rivalità tra uomo e donna per questa socialità, la donna-dea e il dio-maschio… tutto ciò trova posto nella Torah, nella Bibbia, tra i preti e le suore, e nell’Islam. Raggiunge il suo apice con l’istituzione dell’harem nell’Impero ottomano, o con Muʿāwiya12, o con il cristianesimo. Anche nell’ebraismo, la radice dell’istituzione della casa e della famiglia si trova nella Torah. Provate ad aprire la Torah e vedrete come le donne sono state confinate in casa. Ovviamente Zaratustra ha gettato le basi per questo confinamento in casa. Gli Ebrei lo imparano dallo zoroastrismo durante il loro periodo babilonese. È così che sono state gettate le basi di questa potente istituzione che è la famiglia. Reclusione nella casa e matrimonio… voglio dire che sposarsi significa venire rinchiuse in casa. La sposa viene agghindata e segregata in casa.

La donna raccoglie piante, l’uomo caccia e uccide esseri viventi. La guerra è l’uccisione di un essere vivente. Uccidere un animale è un assassinio. La donna che crea una socialità attorno ai semi delle piante rappresenta un fenomeno del tutto diverso dall’uomo che si rafforza attraverso l’uccisione. Approfondirò meglio questi due fenomeni. Uno si trasforma nella attuale società fondata sul massacro, l’altro sta ancora cercando di tenere insieme la società. Quindi, la cultura che mantiene viva la società si fonda su una sociologia che si sviluppa intorno alla donna. La società fondata sulla guerra, cioè sul saccheggio, è una società dominata dal maschile. La sua unica preoccupazione è il plusvalore. Marx lo collega alla formazione delle classi, ma non ce n’è bisogno. Una volta che intorno alla donna si crea una società basata sulle piante e un aumento degli alimenti, emerge l’opportunità del plusvalore e il maschio mette gli occhi su di esso. Caccia sì gli animali, ma poi si appropria anche del cibo raccolto dalla donna. Si appropria del cibo e si appropria della donna. Ecco come comincia la faccenda. L’uomo prende due piccioni con una fava.

Sì, la donna ha sviluppato una società e ha fondato una casa. La donna nutre i suoi figli in un clan di donne, in una società di donne. Diventa una dea e governa l’umanità per trentamila anni. Ma ecco che il maschio cacciatore dà forma a delle unità speciali, a una sorta di club della fratellanza maschile. Il club della fratellanza maschile è anche un piccolo gruppo di compari. Dapprima il gruppo di cacciatori uccide gli animali, se ha successo organizza un banchetto. Poi vede che la donna semina grano, orzo, lenticchie e fondando villaggi sviluppa la società che definiamo neolitica. Lei costruisce una casa, perché ha dei cuccioli da nutrire e proteggere, ha sorelle come zie e fratelli come zii. Ha dei bambini, e questo è un clan. Ma lei produce e inventa. Inanna dice a Enki: “Mi hai rubato centinaia di Me – ciò significa che ci sono centinaia di arti creative e di istituzioni13 – io li ho creati e tu ora ne rivendichi la proprietà.” Nell’epopea dice a Enki: “Dici di averli creati tu, ma stai mentendo! Li ho creati io e tu ora te ne appropri!” Esprimendomi in modo mitologico, ho detto qualcosa in modo personale e l’ho ulteriormente approfondito. Ecco come ho analizzato l’Epopea di Gilgamesh. Per quanto riguarda la problematicità, l’uomo aggredisce questa socialità femminile grazie a questo club di cacciatori. È davvero così che cominciano i problemi? Sì. Lo vediamo a partire da Urfa; è molto diffuso. L’uomo forte uccide ogni giorno mediante l’istituzione del matrimonio.

È strano, io non amo parlare dei miei ricordi, ma me ne viene in mente uno. Ho ancora vivido il ricordo dell’asino che avevamo da fratelli. Lo caricavamo di fieno e di pesi. Ricordo ancora anche il campo. Una volta mia sorella Eyne commise un errore e io la picchiai. Quello che mi disse mi è rimasto impresso nella mente: “La tua forza basta solo contro di me”. Probabilmente ero un po’ più forte di lei. Ricordo che le alzai le mani perché non stava facendo il lavoro il modo corretto o accurato. È strano che Eyne non abbia mai sentito l’esigenza di venire a farmi visita. Fatma, la mia altra sorella, è ancora viva. Ma questo non c’entra. È legata a una sua religione? Quali sono le sue idee? Ha vissuto come una donna quasi pazza. È davvero particolare, può avere avuto una vita molto dolorosa, ma non ha mai pensato a me come a un fratello. Non si è mai sviluppato un amore granché profondo. Può avere a che fare con quella volta che l’ho picchiata? Forse ha iniziato a pensarci. Un giorno cercherò di scoprirlo.

La situazione è ancora questa: quando un uomo si irrita uccide una donna. Oggi non fa più differenza tra città e villaggio. Non c’è più alcuna differenza tra Urfa e Istanbul. Può essere che succeda più spesso a Istanbul. Oggi il problema della famiglia è gigantesco. Io credo che derivi dal matrimonio stesso, dalla forma di matrimonio. Dalla favoletta della sacralità della famiglia. Non esiste nessuna famiglia sacra. Con il matrimonio si rinchiude la donna nella casa, la si sottopone a un regime di schiavitù brutale, che non può tollerare. Lei crolla, esplode, e l’uomo reagisce con violenza. I giornali sono pieni di notizie del genere. Magari una donna su mille può commettere violenza, ma novecentonovantanove uomini su mille picchiano le donne. Come si fa a negarlo? È evidente. Non c’è bisogno di alcuna ipocrisia, in ultima istanza il problema viene da qui, non dalle classi sociali. Deriva dal rapporto uomo-donna. È un problema? Sì, ed è uno dei problemi fondamentali. Ecco perché siamo andati a cercare indizi nell’Epopea di Gilgamesh. Abbiamo cercato le sue radici nella società sumera. Qui più tardi lo stato, la città e la divisione in classi raggiunsero il loro apice. Lo si può vedere nella Torah, e anche il Corano è ricco di esempi in merito. Il ricoprimento di Göbekli Tepe14 potrebbe essere stato un atto dei maschi, forse una ulteriore mossa del dominio patriarcale. Ma non posso dirlo con certezza, e non intendo fare speculazioni in merito. Göbekli Tepe è un rappresentante di una cultura piuttosto diffusa. Esistono più di duecento siti tra il Tigri e l’Eufrate. A Karahan Tepe il dominio maschile si riflette in modo palese nella preminenza di rappresentazioni di genitali maschili. Queste statue maschili vennero trasportate in India e in Egitto. Assistiamo al passaggio alla dominazione maschile. Ma questa transizione avvenne solo dopo trentamila anni di sviluppo di una società incentrata sulla donna, e dopo un’esplosione della produzione. L’Alta Mesopotamia possiede flora e fauna molto ricche. Basta allungare la mano per trovare una grande varietà di piante. E così è nei dintorni di Karacadağ dove vengono coltivati per la prima volta il grano e l’orzo. Qui vengono addomesticate pecore e capre. È una regione nutrita dalle piogge. Qui suolo e pioggia sono in perfetta armonia, una condizione rara in altre parti del mondo. Si sviluppa così un’esplosione di piante e animali. Gli esseri umani che arrivavano dall’Africa si concentrarono qui. C’era spazio per essere sia cacciatori che raccoglitori. Una cosa si realizza intorno alla donna, l’altra intorno all’uomo. E che succede poi? Succede che questi si scontrano. L’uomo è un cacciatore e ha le armi. Il conflitto viene combattuto con le ossidiane e con le selci. I dintorni di Göbekli Tepe sono ancora pieni di resti di armi. Con l’ossidiana si commerciava: era il commercio più redditizio. Ma l’ossidiana è in realtà un’arma, una lama affilata. E questa lama affilata è uno strumento di caccia nelle mani del maschio che con esso uccide di tutto. Di fronte a questo vantaggio la donna viene sconfitta. Il maschio ha una piccola cerchia di compari, una decina. Ha in mano una lama di ossidiana e uccide ovunque vada. Nella società matrilineare, il fratello della madre detiene il potere sul clan. Io stesso amo profondamente il fratello di mia madre, mi è molto caro; non conosco le sorelle di mio padre mentre conosco bene le sorelle di mia madre. Si tratta quindi di una rimanenza di questa caratteristica della società matrilineare. In questa controrivoluzione la società matrilineare subisce un duro colpo.

Da un lato le vengono sottratti i suoi valori fondamentali, e dall’altro è costretta a lavorare come una schiava insieme ai suoi figli. A sua volta, la donna uccide il maschio durante il rituale sacro del matrimonio. Proprio come nell’Epopea di Gilgamesh in cui l’uomo viene ucciso. Le radici di questa pratica risalgono a lì. È terribile. L’atto di sacralizzazione spinge la donna a uccidere, anche se si tratta del suo innamorato. E perché lo fa? Perché sa a che cosa va incontro. Per evitare che questa catastrofe si verifichi deve ucciderlo. Questo è il succo. Si tratta di materialismo storico. Questa è l’idea più utile che possiamo trarre dal marxismo. Questo è il modo in cui ce lo spiega il materialismo dialettico. Alla fine l’uomo porrà fine alla sovranità della donna con la società sumera. La società sumera è una transizione verso una società patriarcale; essa si completa con la schiavitù della donna. Dopo di che troviamo le mitologie babilonesi come l’Enuma Eliš. Leggetela; la troverete suggestiva. Il contenuto di queste epopee venne poi trasformato in religione dal popolo ebraico.

La società ebraica ha tratto la Torah dal poema dell’Enuma Eliš. La Torah è la reinterpretazione dell’Enuma Eliš che è passata per una trasformazione spirituale e materiale all’interno della tribù ebraica. Torah è il nome di questa trasformazione, l’espressione di ciò che significa. Dalla Torah deriva la Bibbia, da cui deriva il Corano. Questo non lo può negare nessuno. Il risultato finale è la prigionia domestica della donna. È possibile che anche Zaratustra abbia dato un suo non piccolo contributo in merito, sacralizzando persino i genitali maschili. Si entra in un regime di fallocrazia. Il maschio eleva i suoi organi sessuali al rango di divinità; egli dichiara: “Non soltanto io sono il tuo dio, ma lo sono anche i miei genitali, e tu li adorerai.” In effetti questo si trova nelle Scritture. La Torah lo esprime chiaramente. Ciò che qui ci interessa è la maniera in cui tutto ciò viene concettualizzato. Questa è la parte importante: la trasformazione in religione per mezzo della concettualizzazione. Oggi vale lo stesso. Metteremo in evidenza anche queste malattie moderne dell’Occidente. La fase successiva è quella della proprietà. Non dimentichiamo che la reclusione domestica rappresenta un’ideologia pericolosa. Come ho già detto, è un enorme problema, è da qui che cominciano i problemi della società. È questo il vero problema della società. Questo genera le classi e lo stato. Ed è il maschio a orchestrare tutto ciò. Il maschio fa la rivoluzione aristocratica e la rivoluzione borghese, ma tutte ruotano intorno alla schiavitù delle donne. Il maschio si fa stato, e una volta stato non esiste più alcun potere in grado di limitarlo. Lo stato esprime il potere illimitato di impronta maschile.

Abbiamo gettato le basi per la liberazione delle donne. E come la si sviluppa? Dal canto mio, per rispetto verso le donne ho sostenuto che la libertà debba iniziare prima di tutto nel pensiero. Vi ho detto: vivete pure come vi pare; sempre che ne abbiate la capacità, ovviamente. Sento dire: “Lasciate che donne e uomini facciano l’amore! Lasciate che siano amanti!” Se ne siete capaci fate pure. Io non ho mai posto alcun limite a ciò. Ma allora non potrò essere ritenuto responsabile di quello che vi accadrà, giusto? L’unica cosa che io posso fare è aprirvi una finestra verso la libertà. Ma vedete che tutt’intorno ogni strada è sbarrata. Qualunque uomo scegliate, se vi avviate sulla strada della relazione di coppia il senso di proprietà sarà incredibile. Significa che siamo ancora troppo lontani dall’uguaglianza. Presto o tardi arriveranno le botte. Se anche vi separate, come potrete vivere da sole? È impressionante: la donna che ha inventato l’economia, non è forse oggi dipendente dal marito? Non dipende forse dalla sua mano? Se l’uomo non lavora, la donna soffre la fame. Eppure è la donna che crea l’economia. Come sapete economia è un termine che deriva dal greco e significa gestione della casa. È la scienza del mantenimento della casa. Questo è il lavoro delle donne. Ma al giorno d’oggi il rapporto della donna con l’economia è stato azzerato. Attualmente la donna ha in mano qualche aspetto della sfera economica? No. Oggi l’economia è sotto il dominio assoluto delle corporation e degli uomini. Quando dico questa cosa restano tutti stupiti. Addirittura Jean Jacques Rousseau l’aveva notato. Questo è interessante. Persino Adam Smith. E la gente rimane stupita. Il passaggio all’economia di dominio maschile ha origine occidentale ed è avvenuto in modo brutale.

Nelle epoche precedenti, nel Medioevo e nell’Antichità, le donne conservavano un discreto potere economico. Con l’avvento del capitalismo, questo potere è scomparso del tutto. È passato nelle mani delle imprese. Denaro e società finanziarie sono monopolio del maschio. Le donne non hanno alcuna influenza sul denaro e sull’economia; dipendono interamente dagli uomini. Denaro, tecnologia e scienza centralizzata sono tutte nelle mani dell’uomo. E le donne che fine fanno? Io le definisco “usignoli in gabbia”, oppure “ornamenti domestici del maschio”. Oggi non è più soltanto il corpo della donna oggetto di proprietà. Dai capelli alle gambe, dall’anima alla voce, la sua intera esistenza è oggetto di proprietà al servizio del capitalismo. La pubblicità non si basa forse sul corpo delle donne? È terrificante. Riprenderete possesso del vostro corpo. Questo corpo che è sotto il completo controllo dell’uomo è il vostro corpo. Ma come fare? I tuoi confini sono stabiliti da lui, è lui che detta il tuo tempo. Se non ti dà i soldi tu soffri la fame. Non voglio dipingere un quadro troppo cupo, ma tutto ciò è già parte della realtà. Ad esempio, ho detto che il socialismo passa per la liberazione della donna. Ciò che mi sorprende è che persino Marx dovette vendere il proprio cappotto per poter vivere con sua moglie. Proprio lui, che ha scritto la più grande critica al capitalismo non riesce a sbarcare il lunario e deve vendere la sua giacca per mantenere la moglie e le figlie. “Scriverò questo libro per fare qualche soldo e salvare il mio matrimonio.” Se questo è ciò che afferma il fondatore della sociologia siamo proprio nei guai! È questo il marxismo? Purtroppo è andata così, e noi lo abbiamo venerato come un profeta. Stiamo cercando di andare oltre a ciò, ma la situazione è grave. La donna è stata eliminata; è sparita. È lo stesso con Lenin, Mao e Stalin. Le donne vivono nella paura. Non biasimo Lenin; lui ha fatto uno sforzo sincero in questo senso. Stalin invece ha reso la donna una proprietà, l’ha rinchiusa in casa. Anche se non la uccide, ha reso la sua vita peggiore della morte. È questo che voglio dire. L’unica cosa sensata è uccidere questo maschio. Anche io avevo queste propensioni. L’ho detto poco fa. Ho come minimo esperienze personali al riguardo. La mia amica, la mia amica più cara voleva decisamente che io la uccidessi. Ero molto guardingo con lei. Ho lottato con lei per dieci anni, ma ero guardingo. Sarà quel che sarà, ho raccontato la sua storia. È quando se ne è andata, per me è stata una liberazione incredibile. È questo modo di restare saldo che mi fa essere me stesso. Mentre tutti biasimano la donna dicendo “la moglie di quest’uomo se n’è andata”, mentre loro si rattristano o la uccidono, io ho detto: “Mi sono liberato!” Questo è l’opposto di ciò che fanno gli uomini. La mia liberazione inizia con la fine di questa relazione. Se lo avessi detto, tutti avrebbero riso di me. Ma ora lo dico apertamente: mi sono liberato! Mi sono davvero liberato da quella tradizione e dalla problematicità della donna.

Se avessi eliminato la donna cosa sarei diventato? Un assassino. E un assassino non può essere un socialista. Stalin ha probabilmente agito così, ma io penso che sia sbagliato. Questo è ciò che voglio dire. Ecco, io credo che una donna che come voi non ha relazioni rappresenti un problema enorme. Ma quale è il vantaggio del nostro approccio? Almeno noi abbiamo dato alla donna la possibilità di pensare liberamente come persona. Io credo che la caratteristica fondamentale che rende tale un essere umano, e che si trova anche in Socrate, è il pensiero della libertà. In lui è vincolato dalla coppia, ma è questo che mi fa andare avanti. In una certa misura fa andare avanti anche voi. Se perderete il pensiero della libertà, soccomberete inevitabilmente. Questa nostra nuova via d’uscita – il nuovo socialismo, la nuova identità curda, la nuova libertà curda – si sviluppa del tutto su questa base. La critica alla civiltà, alla modernità e alla schiavitù delle donne si sta sviluppando molto in noi. Possiamo superare il problema a livello individuale e possiamo fare progressi anche a livello collettivo. Io credo che questo sia il nostro contributo più importante al socialismo. Dico queste cose come introduzione al tema della socialità e problematicità della donna.

  1. La contraddizione tra lo Stato e la Comune nella società storica

Il materialismo storico dovrebbe sostituire la concezione di lotta di classe con quella di comune. Non solo si tratta di un approccio più realista, ma la libertà di pensiero e di azione non è forse per la sociologia anche la via più sana di giungere al socialismo? Piuttosto che sulla lotta di classe, la definizione di materialismo storico e socialismo dovrebbe fondarsi sulla contraddizione tra stato e comune. Penso che sia il caso di rivedere il marxismo e metterlo in pratica attraverso questo concetto. In altre parole, la storia non è una storia di lotta di classi, ma un conflitto tra stato e comune. La teoria marxista del conflitto basata su questa distinzione di classe è la causa principale del crollo del socialismo reale. Non c’è nemmeno bisogno di criticarla. La causa principale sta nel tentativo di edificare una sociologia basata su questa divisione di classe. Quindi, cosa significa sostituirla con la contraddizione tra stato e comune? Si tratta di una valutazione preziosa. Magari anche ben nota ma che va sistematizzata. Vorrei farne qui un’analisi sistematica. Voglio analizzare qui il materialismo storico in questo quadro concettuale. E in più mi propongo di fondare il socialismo odierno non su un comunismo della dittatura di classe, ma su un insieme di concetti che regolino le relazioni tra stato e comunalità. Ho la forte sensazione che ciò potrà portare a risultati molto costruttivi e sorprendenti.

Mi baso sul fatto che la società è fondamentalmente un fatto comunitario. Prima ho dato una definizione di cosa è un clan. Ecco, questa è la socialità. E socialità significa comune. La comune ancestrale è il clan. In particolare, in base alle nostre conoscenze, per quanto riguarda il termine comune è necessario analizzare le basi su cui è cominciato il balzo culturale in Mesopotamia e le origini della società sumera, cioè lo stato, la città, la proprietà e la classe. Concentrarsi sullo stato è corretto, ma anche sulla comune. E dove sta la socialità? La società è alla base del lavoro. Perché fino al 4000 a.e.v. circa, la forma di sviluppo sociale era il clan. La possiamo anche chiamare tribù, o aşiret15, dove però questo è in realtà un’unione di comuni. La tribù è invece una comune. La famiglia non si era ancora formata. Famiglia e tribù avevano in realtà lo stesso significato ed esprimevano lo stesso fenomeno. La famiglia non era molto differenziata dalla tribù, e la tribù dalla famiglia. Con il Neolitico lo sviluppo che si verifica è sorprendente. La tribù è prevalentemente legata al Neolitico. Prima del Neolitico c’era il clan. Anche dalla nostra lingua possiamo apprendere il nostro legame con la comune, che è entrata nel curdo con il termine kom16. Kom indica la comune, l’incontrarsi e il riunirsi. È una parola utilizzata ancora oggi, il che indica che la lingua indoeuropea ha avuto origine qui e che ha almeno diecimila anni di storia. È chiaro che anche il ceppo linguistico indoeuropeo si è sviluppato intorno a questa comune. Lo attestano la parola curda kom e i termini che ne derivano. Come ad esempio il nome del Regno di Commagene17.

Il capo tribù fonda lo stato, i membri della tribù che da ciò vedono lesi i loro interessi si costituiscono nella comune. Ecco come stanno le cose. È piuttosto semplice. Non ho certo fatto una grande scoperta. Marx la chiamerebbe una scoperta scientifica, ma sono tutte storie. La nascita e lo sviluppo della classe operaia non hanno fatto chissà che meraviglie o scoperte scientifiche; si tratta di cose semplici. Il maschio dominante nella tribù assume forma di stato, lui o il patriarca dell’aşiret o chi per loro; i membri comuni vanno avanti come aggregazione e infine come famiglia. Quelli al vertice diventano la dinastia statale; chi sta sotto forma la tribù continuamente vessata. Dove c’è uno stato c’è anche una tribù oppressa. Ecco dove comincia la divisione. Mi sembra un po’ forzato che il marxismo affermi che così è come è nato il proletariato, che è così che si è sviluppato. Certo, c’è stato un processo di operaizzazione e imborghesimento dovuto alla rivoluzione industriale, ma questo è stato il risultato di uno sviluppo di migliaia di anni, di cinquemila anni. Imborghesimento e proletarizzazione esistevano da prima, a Babilonia, a Sumer e ad Assur. Esistevano ad Atene ed esistevano a Roma. Solo più tardi sono arrivate in Europa occidentale. Non è qualcosa che l’Europa ha inventato, ne ha solo ampliato la portata e le ha rese egemoniche. Compare una forma di sfruttamento chiamata capitalismo e la sua egemonia. Questa egemonia si afferma in tutto il mondo. Ma le sue radici risalgono alla società sumera. Questo è il racconto di formazione dello stato: lo stato schiavista, lo stato feudale, lo stato capitalista. Ma in effetti non va interpretata in questo modo. La vera domanda è: dov’è la comune?

Verso la fine della sua vita, Marx si concentrò sulla Comune di Parigi, dove morirono molte persone che aveva conosciuto. Si parla di circa diciassettemila comunardi uccisi. In loro memoria Marx scrive una valutazione della Comune di Parigi18. Smette di scrivere Il capitale perché le sue previsioni avevano subìto un duro colpo. Io credo che abbia vissuto una frattura interiore e si sia rivolto all’idea di comune. Non usa più tanto il concetto di classe, ma quello di comune. C’è un momento in cui Kropotkin critica a Lenin la distruzione dei soviet. Soviet non significa altro che comune, ma con il sistema della NEP19 a questa Lenin preferisce lo stato, e Stalin spinge le cose fino alle estreme conseguenze. Alla fine della sua vita Marx non vuole più usare il concetto di dittatura e si rivolge piuttosto a quello di comune. Elabora anche una distinzione tra stato e comune, ma non riesce a svilupparla a fondo. In definitiva, io credo che questa sia la distinzione corretta da un punto di vista storico. Il materialismo storico non è lotta di classa, anzi, non la definirei nemmeno una lotta, ma si manifesta sotto la forma della contraddizione tra comune e stato. Questo è ciò che la storia è. Soprattutto la storia scritta. Le sue fondamenta sono state gettate a Sumer, e oggi ne stiamo vedendo l’acme con l’Occidente.

Sì, comune indica il municipio, ma svuotato di senso. Oggi i nostri comuni vengono commissariati dal governo e nessuno vi si oppone. Questo dimostra quanto sia stato svuotato di senso. In verità, la comune è una grande forma di socialità, è un clan; addirittura una famiglia è una comune, ma è stata molto indebolita e svuotata. Le municipalità sono state svuotate, rimangono i resti di aşiret e tribù svuotati anch’essi. I fatti di Tavşantepe20 che ci hanno profondamente turbato riguardano una tribù. È per mezzo di questa tribù che quell’elemento terribile di violenza intestina ha trovato sfogo in un massacro senza eguali contro una piccola bimba. Per quanto simbolico, il significato di questo evento è molto forte. È l’espressione di una cultura. Questa famiglia Güran discende dalla famiglia di mullah del Molla Gürâni21 che ha partecipato alla conquista di Istanbul. La triste condizione della famiglia del Molla è evidente. Allora questa nostra rinascita comunitaria sarà espressione del socialismo della libertà di questa nuova era. Ora discuteremo un po’ più nel concreto questa nuova era.

Il concetto di società morale e politica rappresenta un altro modo di designare la comune; è l’espressione dell’antagonismo della comune verso lo stato. Anche il linguaggio della nuova era di pace sarà politico. Difenderemo la libertà della comune. Già nel nome, stiamo abbandonando il linguaggio dello statalismo nazionalista e i concetti ad esso legati, e stiamo adottando come fondamentali i concetti etici e politici basati sulla comune. Abbiamo parlato di società morale e politica, ma questo è il nome della comune nella sua fase di liberazione. È una questione etica e politica, non giuridica. Il diritto esiste, ecco, si svilupperà come codice municipale. Vogliamo che trovi espressione nella legge. Sarà per noi una condizione e un principio. L’espressione più scientifica per questo è libertà comunale. Da ora in poi noi saremo comunalisti. Sostituire il concetto di classe con quello di comune è molto più efficace, molto più scientifico. I comuni restano tuttora delle comuni. Anche noi abbiamo una kom, una comunità. Non ci sono più etica e morale? Ma certo che ci sono! La comune sarà un soggetto che funzionerà più sulla base dell’etica che della legge. La comune è anche una democrazia. Il politico si esprime attraverso la politica democratica. Comune è un sostantivo, etica e politica sono aggettivi. La comune è etica e politica: uno è un sostantivo, gli altri aggettivi. Questo è ciò che indichiamo come la più profonda revisione del marxismo: sostituiamo il concetto di classe con quello di comune. La critica di Kropotkin a Lenin è corretta. Anche quella di Bakunin a Marx, è incompleta ma corretta. Il marxismo deve essere assolutamente sottoposto a critica su questo punto. Se Marx avesse capito Bakunin, e Lenin avesse capito Kropotkin, il destino del socialismo sarebbe stato sicuramente molto diverso. Il socialismo reale è l’esito del fatto che loro non sono stati in grado di realizzare questa sintesi.

  1. Modernità

In Europa la nuova era è detta modernità. Noi definiamo la modernità attraverso i Tre cavalieri dell’Apocalisse: capitalismo, stato-nazione e industrialismo. La modernità esprime la realtà di questa epoca. Non va identificata con il solo capitalismo. La modernità si costituisce della triade di capitalismo, stato-nazione e industrialismo. Si tratta di una struttura che ha preso forma a partire dal XVI secolo. Anche il socialismo reale è un prodotto di questa modernità.

Il socialismo avrebbe dovuto emergere come alternativa alla triade della modernità. Eppure sono state messe in agenda solo un’analisi e una lotta socialiste contro il capitalismo. E anche queste non sono state sviluppate a fondo. In effetti non poteva svilupparsi in questo modo perché si limitava a un manifesto d’intenti: il Manifesto del partito comunista. L’industrialismo venne accettato così com’era, persino esaltato. Questa mancanza strategica è stato un grave errore. In più Marx non offrì una degna analisi dello stato-nazione, lasciando un enorme vuoto ideologico. A onore del vero, Marx si rese poi conto di questo buco nella sua analisi. Nel processo di stesura de Il capitale, il terzo volume avrebbe dovuto riguardare lo stato, ma non fece in tempo a completarlo. Se anche lo avesse finito sarebbe stato difficile farlo in modo corretto, perché a Marx mancava una prospettiva di analisi dello stato-nazione. In Marx non c’è nemmeno un’analisi o una critica dell’industrialismo. Il suo socialismo si limita a un’analisi attraverso le lenti dell’anticapitalismo. Presenta molte lacune e non è mai stato sviluppato del tutto. La capacità di questa teoria socialista di essere punto di riferimento per l’analisi della modernità è piuttosto ridotta. Anzi, è parte integrante di questa modernità e resta confinata in essa.

Il problema della nostra epoca è che la modernità sta trascinando l’umanità verso il giorno del giudizio, guidata da questi Tre cavalieri dell’Apocalisse. L’attuale livello di sfruttamento raggiunto dal capitalismo è al limite della barbarie. Si è diffuso per il pianeta come un cancro. Lo stato-nazione rappresenta la sua forza d’urto. Nel sistema dello stato-nazione, la nazione diventa una società-milizia. Alla base di questo sistema ci sono violenza e guerra. Lo stato-nazione è il sistema della società di guerra. E in queste guerre ogni volta vengono uccisi milioni di esseri umani. L’industrialismo avanza consumando le risorse della vita, sottoterra e in superficie; prima tra tutte l’ambiente. Oggi l’umanità è sul punto di venir divorata dal mostro che lei stessa ha creato. L’industrialismo è sfuggito a lungo alla critica; è stato ignorato. La prima cosa da affermare qui è che l’industrialismo non è affatto innocuo come può sembrare. L’industrialismo non ha soltanto modificato il tessuto sociale, ma anche il rapporto stesso tra umano e natura. È sbagliato considerare l’industrialismo solo come un fenomeno pacifico fondato sull’economia. Fin da subito l’industrialismo è stato strettamente legato alla tecnologia bellica. È questo che ha reso possibile lo stato-nazione. In altre parole, la combinazione di industria, tecnologia e guerra è una delle caratteristiche fondanti dell’industrialismo. Non è un caso che gli stati-nazione avanzati dispongano di tecnologie belliche avanzate.

In sintesi, un antagonismo che considera lo sviluppo industriale come una sfera neutrale, e lo ignora nella lotta contro la modernità, non ha, né può avere, alcuna possibilità di successo. La modernità è inarrestabile, e se continuiamo così al pianeta restano altri cinquanta anni di vita. Non parlo di uno scenario distopico, ma di una vera e propria apocalisse. Marx intuì questo pericolo e vi oppose la sua antitesi, ma senza riuscire a svilupparla. Avrebbe dovuto scrivere sei libri; scrisse solo il primo di questi e in modo incompleto. Ha limitato la sua analisi alla struttura, alla sovrastruttura e alla classe. Parlando di testa e di piedi, è sceso addirittura al di sotto di Hegel22. Engels ha cercato di colmare alcuni buchi, concentrandosi su L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, su La dialettica della natura e su Il ruolo della violenza nella storia23.

Abbiamo sviluppato una nuova alternativa analitica alla teoria socialista per superare la modernità e il socialismo reale che la sostiene. L’abbiamo chiamata Modernità democratica. Abbiamo sviluppato un’analisi che pone la nazione democratica al posto dello stato-nazione, la comunalità della comune al posto del capitalismo, l’economia ecologica al posto dell’industrialismo, dove questi sono i pilastri della modernità. Abbiamo definito come Modernità democratica il nostro sistema libertario di società che abbiamo creato sulla base dell’analisi della relazionalità di queste tre aree; l’abbiamo messo per iscritto e abbiamo visto che ha trovato un significativo riscontro sociale. Ovviamente ciascuna di queste tre aree ha delle sottocategorie. Ad esempio, una parte importante della comunalità è la libertà della donna. Poi si possono elencare il politico, l’etica e così via… affronteremo e approfondiremo in modo esaustivo ognuno di questi aspetti. Mi pare adeguato definire Modernità democratica l’integralità di questo sistema.

Le descrizioni del giorno del giudizio nelle religioni non valgono solo per l’aldilà, ma anche per questo mondo. Deve essere questo il pericolo di cui parlano i testi sacri: l’apocalisse che la modernità capitalista sta facendo vivere all’umanità. Il socialismo che dovrebbe prevenire tutto ciò, non solo è diventato inefficace, ma si è reso la bestia da soma e l’esca per il mostro della modernità. I sovietici e i cinesi ne sono l’esempio più lampante. Quello cinese è un popolo interessante: hanno cercato di applicare contemporaneamente socialismo e capitalismo. Chissà, forse ci si può pensare. Ma la Cina ha nella pratica messo il socialismo al servizio del capitalismo. Il risultato? Ha fatto un favore al capitalismo e ne ha prolungato l’esistenza. Oggi il capitalismo cinese è in guerra con gli Stati Uniti per l’egemonia. Gli Stati Uniti potrebbero rispondere con la forza. Ciò significherebbe una guerra nucleare. Eccola qui l’apocalisse. È come disse Einstein: “Se una terza guerra mondiale fosse combattuta con armi nucleari, e se qualcuno sopravvivesse a ciò, la quarta guerra mondiale verrebbe combattuta con pietre e bastoni”. Aveva ragione. Per questa sezione è sufficiente chiarire questi punti.

  1. La realtà del popolo curdo e del Kurdistan

Il carattere di un fenomeno è plasmato dalla dialettica della sua esistenza e della sua permanenza. Come si è verificato e come si è preservato? Le risposte a queste domande forniscono elementi sull’esistenza o meno del fenomeno. Da questo punto di vista, la realtà curda ha cessato di esistere con la modernità. Sia come concetto che come realtà, il popolo curdo e il Kurdistan sono stati cancellati e repressi con la nascita della Repubblica di Turchia. Questo sterminio lo hanno anche rivendicato con frasi come “Qui giace morto il Kurdistan immaginario”. Nelle altre parti del Kurdistan la situazione non era diversa. Non c’era più alcuna realtà dietro alle parole curdo e Kurdistan. Il successo più importante del PKK come movimento moderno è stato quello di riportare in vita questa realtà. Il PKK ha dimostrato l’esistenza della realtà curda e del Kurdistan e l’ha resa indistruttibile. Gli altri movimenti curdi non hanno questa forza. I movimenti tradizionali come il KDP e quelli piccolo-borghesi come lo YNK non sono nemmeno riusciti a convincere nessuno della loro stessa esistenza. Se non fosse stato per la nascita del PKK, tutti loro sarebbero scomparsi trent’anni fa.

La grande resistenza del PKK ha reso l’esistenza del popolo curdo e del Kurdistan una questione permanente. Ha sviluppato una forte consapevolezza sull’esistenza dei curdi. Per rendersi conto di questo risultato occorre condurre indagini storiche e sociologiche. Ho aperto questa via cinquantadue anni, un mese e quattro giorni fa affermando: “Il Kurdistan è una colonia”. Dopo averlo detto sono quasi svenuto. È stata una scoperta difficile per me, avevo paura persino di pronunciarle, quelle parole. Quando lo dissi a un paio di amici quasi ebbi un mancamento. Da quel giorno siamo arrivati a oggi. Non sottovalutate mai il potere della parola. Quando essa si incontra con la verità può essere un propellente molto efficace e creativo. Queste parole non solo hanno indicato la via per la resistenza pratica, ma si sono trasformate in una grande analisi storica, a cui ha fatto seguito un’interpretazione del periodo neolitico, dell’ideologia della libertà delle donne, dalle riflessioni sul socialismo, … Tutto questo aveva il fine di svelare la realtà curda e promuovere la rinascita del popolo curdo. Ce l’abbiamo fatta. Questa grande epopea storica, l’analisi sociologica e la lotta politica hanno dimostrato la realtà del popolo curdo e del Kurdistan, facendola accettare agli amici e ai nemici. Questo è un grande successo. PKK è il nome di questo successo.

Abbiamo risolto il problema della libertà? No. L’esistenza curda è stata provata, ha maturato una coscienza ideologico-organizzativa, ma il cammino del processo di liberazione si è arrestato. E dietro a questa interruzione si celano l’ideologia del socialismo reale e i suoi effetti. Nel ‘900 il socialismo ha conquistato il potere in molti stati del mondo, arrivando a controllare un terzo del globo. Ma non è riuscito a sopravvivere e alla fine è crollato. Questo ha avuto ripercussioni anche su di noi in termini di crisi. Il socialismo reale è crollato, noi siamo sopravvissuti, ma abbiamo vissuto una crisi enorme. Il socialismo reale è crollato perché non ha saputo superare i suoi limiti teorici e sviluppare un socialismo orientato alla libertà. Sfuggire alle crisi ideologiche è molto difficile. Crolla l’orizzonte ideologico sul quale facevi affidamento. Su quale quadro concettuale, su quale analisi sociologica potrai basarti ora? Quando il socialismo reale crollò, non rimase granché. Mentre con tentativi ed errori lottavo per conservare la fede nel socialismo, feci questa considerazione: insistere sul socialismo è insistere sull’essere umano. Ho conservato la mia fede e la mia lealtà verso il socialismo e ho intrapreso una lotta per trasformarle in una forma di consapevolezza. Sono stati anni difficili e di crisi. Verso gli anni 2000 abbiamo aperto un nuovo processo di intensificazione e di analisi. La nazione democratica è uno dei risultati strategici di queste analisi che abbiamo sviluppato sul socialismo, e ha dato una boccata d’aria fresca alla prospettiva socialista. Si tratta di una trasformazione strategica sia per il socialismo che per il PKK. Solo da oggi questa trasformazione riceverà un nome e acquisirà ufficialità. Sono vent’anni che cerchiamo di portare a termine questa trasformazione. La soluzione della nazione democratica sarà il fondamento del processo che ci attende. La prospettiva di soluzione della Modernità democratica è la nazione democratica. Nel testo dell’appello abbiamo parlato di pace e di società democratica. Entrambe hanno lo stesso significato.

Il PKK è un movimento che si propone di svelare la realtà del Kurdistan e rendere la sua esistenza indistruttibile. Il passo successivo è realizzare la libertà. Una società libera realizzerà la sua esistenza e la sua forma sulla base della comunalità in una direzione politico-etica. Non appare realistico realizzare questo passo attraverso il PKK. Senza il PKK cosa ne sarebbe oggi del popolo curdo e del Kurdistan? Sarebbero una cultura consegnata alla storia come gli Incas e gli Aztechi in America Latina o i nativi del Nord America. In realtà, la situazione non è ancora stata completamente risolta. I curdi nelle regioni di Dersim, Bingöl e Zagros rappresentato un relitto culturale. Tribù disgregate, una lingua disfunzionale, reliquie di sette religiose, conflitti familiari tribali… Il motivo per cui questa situazione non è stata superata a un livello accettabile, nonostante la presenza del PKK, è la profondità della frammentazione storica e sociale. A un certo punto, non ho più ritenuto sufficiente definirla una colonia. Si tratta di una situazione che va oltre la colonia. È una sorta di discarica. Una società discarica, un cimitero. A Dersim ci sono ancora ossa nelle valli, nelle grotte, nei torrenti. Non si sa nemmeno dove siano le tombe degli ultimi rappresentanti della tradizione. Şeyh Said, Said-i Kurdi e Seyit Rıza compresi. E si tratta dei più forti leader tradizionali del popolo curdo.

Nel genocidio degli ebrei hanno avuto un ruolo gli Judenrat, definiti Consigli ebraici. Si trattava di gruppi o famiglie di ebrei che cooperavano con i fascisti. In cambio della loro collaborazione nel mandare altri ebrei nelle camere a gas, ottenevano di prolungare la propria vita o quella dei propri familiari di 24 ore. Il sistema del genocidio aveva bisogno di questi comitati per poter funzionare. Ingannavano gli ebrei dicendo loro “Vi portiamo a fare la doccia” e li conducevano nelle camere a gas. Questi consigli preparavano le liste di persone da mandare nelle camere a gas in base al numero richiesto. Erano consigli istituiti dai fascisti stessi. Riflettendo su queste cose, mi sono reso conto che la realtà curda è la realtà dello Judenrat. Questa è la realtà curda che definisco come aldilà del colonialismo. Ecco, quelle tra le famiglie che si definiscono “più curde di tutti”, i Barzani, i Bedirxani, persino alcuni dei nipoti rimasti di Şeyh Said, e alcuni dei nipoti di Seyit Rıza, si sono trasformati in Judenrat. Per salvare le loro famiglie, stanno portando l’identità curda alla distruzione. Non hanno scritto nemmeno un libro; non sono nemmeno in grado di onorare la memoria dei loro antenati. Sono ostili al popolo curdo liberato. Di recente, un seggio parlamentare a Bitlis e la carica di sindaco di un comune commissariato a Şırnak sono stati assegnati ai Bedirxani. Si tratta di incarichi da Judenrat. Ho sviluppato questa tesi di recente e credo fermamente nella sua veridicità. Penso che in questi termini si spieghi meglio questa realtà drammatica, rispetto al semplice “curdo coloniale” e “Kurdistan colonia”. Costituisce una nuova dimensione del mio lavoro teorico, che può offrire un’espressione più vivida e realistica di ciò che sta accadendo in Kurdistan e all’interno del popolo curdo.

Allo stesso tempo, tra i curdi esiste una enorme tendenza alla fuga dalla realtà. Non dimentichiamoci che state ancora vivendo questa fuga. Dalla vostra identità curda state ancora scappando. Possiedo un certo stile di leadership nei confronti del popolo curdo. Mi sono sforzato e mi sforzo ancora di insegnare loro il significato di queste fughe, e di fermarle. Insegno e faccio pagare loro il prezzo di questa fuga. Questo è il mio stile di leadership: non potete sfuggire all’identità curda. L’identità curda non è qualcosa da cui potete scappare. Provate trucchi incredibili, fate innumerevoli capriole, cercate di ingannarmi. Ho detto la stessa cosa anche allo stato: non potete ingannarmi! Potete provare quello che vi apre, non troverete un Apo disposto a lasciarsi ingannare. Lo dico al PKK, ve lo dico da cinquant’anni. Potete santificarmi o demonizzarmi quanto volete, ma non riuscirete sfuggire. Da cinquant’anni questo è ciò che è la leadership.

Perché lo stato ha istituito questo tavolo di negoziazione? E come siamo riusciti a riunirvi a questo tavolo? Questo è un incontro serio, un incontro curdo, e veniamo da un processo in cui lo stato puniva severamente anche la semplice pronuncia della parola “curdo”. Contiene significati molto diversi; stiamo valutando come realizzarlo nella pratica. Io sono quello che sa meglio come si è arrivati a questo punto e come si è svolta la lotta per arrivarci. Anche i nostri quadri migliori sono ancora lontani dal comprenderlo. Ecco perché non riescono a essere creativi. Non riescono a dimostrare leadership. Non temono di dare la propria vita o di morire, ma non vogliono affrontare la verità. Dietro a questo, c’è il fatto che la realtà curda non ha nemmeno carattere di colonia; deriva dal suo carattere di discarica. L’Africa è stata colonizzata. Ma ora sono tutti stati-nazione. Lo stesso vale per l’America Latina. Ma questo non è il caso della realtà curda. Cosa significhi essere curdi rimane poco chiaro. È qualcosa di tradizionale o di moderno? È diventata una sorta di tragica realtà. Questo non è il risultato dell’oppressione esterna, come si potrebbe pensare, ma deriva piuttosto da cause interne. Le strategie e le tattiche che ho sviluppato hanno giocato un ruolo decisivo nel decifrare questa cosa.

La geografia del Kurdistan è stata descritta per la prima volta dai Sumeri con termini come CurdiHurritiUri. Questo è il modo in cui viene data la prima definizione spaziale. In un’epoca in cui non esistevano definizioni di nazioni in nessuna parte del mondo, per la prima volta i Sumeri diedero una definizione di quest’area. Più avanti compare nella storiografia greca con il nome di Kurdia. Quasi metà de Le storie di Erodoto è dedicata alla realtà del Kurdistan. La società greca aspirava ad essere come i Medi. Infatti li emulavano. Persino le loro democrazie le hanno tratte dalla sensibilità di quaggiù. Nel Medioevo, con la rivoluzione araba islamica, il concetto di curdo si affermò definitivamente. I Selgiuchidi furono i primi a trasformare l’idea del Kurdistan in un’entità politica. Il sultano Sanjar stabilì il suo centro a Hamadan (Ecbatana), e si riferì al territorio circostante come al Kurdistan. Sotto il sultano Sanjar, il termine Kurdistan venne usato per la prima volta per indicare un’unità amministrativa. Vale a dire che un khan turco stava edificando il Kurdistan. Da ciò ci si potrebbe chiedere: il sultano Sanjar era in realtà un sultano curdo? Il suo centro era Ecbatana, ordinò al suo visir Nizam al-Mulk: “Vai, proteggi la mia famiglia”. Anche quando la sconfitta era imminente; dice addirittura “Se sarò sconfitto, ci ritireremo a Hemedan”. Anche la battaglia di Manzicerta fu condotta da Hamadan. Quindi Alp Arslan combatté in veste di emiro curdo. Questo è un indizio della nuova concezione della storia. Alp Arslan è più un emiro curdo che un emiro turco. La sua famiglia risiedeva a Hamadan e il suo visir aveva sede lì. Alla luce di queste informazioni, come dovremmo considerare i Selgiuchidi? Si trattava di un emirato turco o curdo? Occorre approfondire e discutere ulteriormente la questione. Si sta affermando l’idea che si trattasse essenzialmente di una leadership curda.

Attualmente, metà della popolazione di Hemedan è turkmena. Ora si sono praticamente curdizzati. Tra gli emirati, spiccano i Marwanidi e gli Shaddadidi. I Marwanidi rappresentano la curdizzazione della regione tra il Tigri e l’Eufrate, un processo che si è sviluppato in parallelo all’Islam. La stessa situazione si riscontra con i Selgiuchidi. Alp Arslan, portandosi dietro l’esercito dell’emirato marwanide, combatte a Manzicerta contro i Bizantini con una forza armata congiunta. Alp Arslan era un comandante militare circondato da curdi. Anche Xelat (Ahlat) era un emirato a quel tempo, se i curdi si fossero schierati con Bisanzio all’epoca, Alp Arslan non avrebbe potuto vincere. Fu una guerra vinta soltanto grazie all’alleanza coi curdi. Tra il 1050 e il 1060 circa, gli Shaddadidi stabilirono una chiara alleanza con i Selgiuchidi nel Caucaso meridionale. Né gli uni né gli altri da soli avrebbero potuto opporsi ai Bizantini. I due stipularono quindi un’alleanza storica. Il primo risultato di questa alleanza fu la campagna militare del 1064 contro il Regno armeno sotto il dominio bizantino, e la conquista di Ani e Kars. In seguito Ani venne concessa a Manučehr e Kers a Toghrul24. A testimonianza di ciò, ancora oggi ad Ani si trova la moschea di Manučehr.

È molto importante l’alleanza tra Yavuz Sultan Selim e İdris-i Bitlisi. Le battaglie di al-Raydaniyya, Marj Dābiq e Çaldıran, che hanno contribuito a trasformare l’Impero ottomano in un impero mediorientale, sono il risultato dell’alleanza tra curdi e ottomani. I curdi sono uno dei principali elementi fondatori dell’impero. Dopo che suo padre fu fatto prigioniero, Çelebi Mehmet fuggì, e Beyazıt Pascià di Amasya se lo caricò sulle spalle. Anche lui era un pascià curdo. Questo evento ha forse valore simbolico. All’epoca, i Kutlushah, un ramo degli Shaddadidi, erano la famiglia regnante ad Amasya. Çelebi Mehmed è il sultano che pose fine all’interregno ottomano. Anche le figure che incoraggiarono la conquista di Istanbul, come Molla Gürâni e Akshamsaddin, erano curde.

Della Guerra d’indipendenza non c’è nemmeno bisogno di parlare. Mustafa Kemal la cominciò non da Smirne o dalla Tracia, ma da zone curde come Erzurum e Silvan. È una verità indiscutibile che la Guerra d’indipendenza fu vinta grazie all’alleanza tra curdi e turchi. Il risultato di questa alleanza è la Turchia che conosciamo oggi. Eppure ai curdi, popolo fondatore della Repubblica, un anno dopo la sua proclamazione fu negata l’esistenza, e l’identità curda fu proibita. In questo modo i curdi, la cui presenza è documentata fin dall’epoca sumera, sotto la Repubblica vennero ufficialmente cancellati. Il PKK ha sfidato questa negazione con la sua grande resistenza; ha rivelato la realtà storica e sociale dell’identità curda e ha costretto sia gli amici che i nemici a riconoscerla. Ma le conseguenze di questa negazione non sono state ancora superate del tutto. State ancora fuggendo dalla vostra realtà. Vedo questo pericolo nell’identità e nella personalità di tutti voi. Non vedo in voi una personalità e un’identità sane e salde, non riesco proprio a vederle.

Questo non si raggiunge solo con la resistenza. Una cultura rivoluzionaria, la formazione di istituzioni democratiche, delle istituzioni nazionali democratiche, degli istituti di ricerca e di studio, degli istituti linguistici, avranno tutti un ruolo decisivo nella costruzione del nuovo. Queste cose non sono possibili con il capitalismo. La società curda deve essere anticapitalista. I curdi si libereranno attraverso la nazione democratica, l’eco-economia e la comunalità, costruendo e consolidando permanentemente un loro stile di vita. Ovviamente questo sarà possibile grazie alla lotta per la propria ricostruzione e per l’autodeterminazione. Anche la resistenza verso l’esterno, contro l’oppressione esterna, è stata vinta. Una delle ragioni per cui il PKK ha esaurito il suo compito è proprio il fatto di aver vinto la resistenza contro l’esterno. D’ora in poi la resistenza e la lotta dovranno rivolgersi verso l’interno. Il prossimo periodo sarà un periodo di costruzione. Ciò richiede la pace e una società democratica. Ci troviamo ora a un punto di svolta.

  1. Il PKK e la sua dissoluzione

Con il crollo del socialismo reale all’inizio degli anni ‘90, il PKK perse le sue fondamenta ideologiche. Questo perché il PKK era organizzato secondo la prospettiva di lotta del socialismo reale. Il suo programma, la sua strategia, la sua tattica… erano stati definiti sulla base dei princìpi del socialismo reale. In questo senso, con l’avvento degli anni ‘90 il PKK entrò in una crisi ideologica. Tuttavia, nonostante questa crisi, è riuscito a sopravvivere grazie al suo carattere di liberazione nazionale di tendenza socialista. Il fatto che il nostro movimento fosse ancora giovane, e l’urgente necessità e motivazione per la liberazione nazionale lo hanno mantenuto in piedi. Abbiamo continuato su questa strada e lo abbiamo mantenuto vivo.

Eravamo consapevoli che il socialismo reale era stato superato, ma non sapevamo ancora cosa avrebbe dovuto sostituirlo. Di conseguenza, gli anni ‘90 per noi sono stati un periodo di profonda depressione dal punto di vista ideologico. Nel 1998 dichiarai: “Mi dimetto da un partito come questo”. Il motivo era che non eravamo riusciti a superare la crisi ideologica all’interno del partito. Con il processo di Imralı siamo entrati in una fase di riflessione globale che ha affrontato tutte queste questioni. Questo periodo di intenso impegno teorico ha portato alla realizzazione di un’opera in cinque volumi25. Ad esempio, abbiamo ridefinito la strategia della lotta socialista. Abbiamo scritto una raccolta importante per la riorganizzazione ideologica e strategica del movimento. Criticheremo a fondo il PKK dall’interno e svilupperemo le nostre autocritiche. Sia gli aspetti positivi che quelli negativi di cinquant’anni di lotta verranno sottoposti a profonda critica e autocritica. Lo stallo interno al socialismo è generale ed esistono vari sforzi per affrontarlo. Eppure la crisi continua. Le analisi sul socialismo che abbiamo sviluppato stanno suscitando interesse anche al di fuori del Paese, in alcuni ambienti socialisti e intellettuali, e vengono considerate illuminanti.

La questione della dissoluzione non è nuova per quanto ci riguarda. Quando ho visto emergere una richiesta in tal senso da parte dello stato, ho risposto di conseguenza. Ho affermato di avere la preparazione ideologico-politica e le capacità pratiche necessarie per risolvere il problema. Infatti, negli ultimi sei mesi ci siamo confrontati con tali questioni, e abbiamo portato il processo a dove si trova oggi. Non occorre approfondire oltre l’argomento. È necessario che l’autocritica interna si rinnovi e che sia radicale, soprattutto se si dovrà affrontare il processo di un congresso di scioglimento. Questo congresso potrebbe richiedere molto tempo. Il problema non riguarda solo lo scioglimento. Bisogna che se ne discuta per mesi, che si discuta delle sue dimensioni positive e negative. Non c’è alcuna necessità immediata di sostituirlo con qualcosa di nuovo, né tantomeno di parlare di ristrutturazione. Perché non stiamo solo parlando di una struttura. Stiamo parlando di una profonda trasformazione della personalità e della mentalità. La ricostruzione è veramente possibile solo su questa base, e per questo serviranno probabilmente alcuni mesi.

Per garantire che il processo si svolga in modo sano e giunga a una conclusione significativa, non si deve avere fretta. Il governo o lo stato vorrebbero presentarlo immediatamente come un disarmo, ma questa impostazione non è corretta. Saremo noi a definirne i termini. Una nuova era è sia la nostra promessa che la nostra richiesta. Ma non sarà solo come vogliono loro. Le nostre posizioni teoriche e politiche su questo tema sono piuttosto mature e abbiamo accumulato esperienza. Non si deve pensare che noi non siamo in grado di valutare la questione dello scioglimento del PKK, di risolvere le sue contraddizioni o persino di tenere un congresso a tale scopo. Come ho detto, questo processo di trasformazione è già in atto da parecchio tempo.

  1. Prospettive per la nuova era

Il PKK è nato e si è sviluppato come movimento organizzato sulla base dell’ideologia del socialismo reale e del principio secondo cui i popoli hanno diritto a determinare il proprio destino; e ha organizzato di conseguenza la sua strategia e la sua tattica di lotta. Suo obiettivo fondamentale era un Kurdistan unito e indipendente. Avevamo accettato questo obiettivo come un credo del socialismo. Ma analizzando il crollo del socialismo reale e la realtà con cui si confrontarono gli stati-nazione sviluppatisi secondo la sua prospettiva, abbiamo capito che questo modello non aveva nulla a che fare né con il socialismo né con la liberazione nazionale. Al contrario, sebbene fosse stato costruito secondo una prospettiva socialista, aveva finito per servire il capitalismo degli stati-nazione. Quel modello era un modello capitalista.

Questa è la ragione per cui ci siamo concentrati sull’ideologia socialista e abbiamo cercato di democratizzarla. In verità, parlare di socialismo democratico è in qualche senso ridondante perché il socialismo dovrebbe essere di per sé democratico. Ma il socialismo reale è orientato alla conquista del potere statale e alla proletarizzazione dello stato, cioè alla dittatura del proletariato, e quindi la sua essenza democratica è piuttosto debole. Per questo motivo abbiamo dovuto usare l’espressione socialismo democratico.

Caratteristica dello stato nazionale è di essere autoritario. Il fatto che il potere sia nelle mani del proletariato o della borghesia può fare la differenza dal punto di vista politico, ma non nei termini della cultura del dominio che produce. Anche la lotta classe contro classe è equivoca; essa non fa altro che approfondire la divisione sociale basata sulle classi. Abbiamo sostituito la lotta di una classe contro l’altra con il conflitto della comune contro lo stato. Lo stato-nazione si oppone al socialismo e lo corrompe. Per questi motivi abbiamo messo a testa in giù lo stato-nazione, sia come idea che come obiettivo. Al suo posto abbiamo affermato la nazione democratica. La nostra prospettiva per la nuova era è la ricostruzione della società sulla base della nazione democratica, dell’eco-economia e del comunalismo. Davanti a noi abbiamo ora la responsabilità di sviluppare il quadro concettuale e teorico richiesto dalle basi filosofiche di questa ricostruzione, dalle sue dimensioni ideologiche e dalla sua realizzazione in una struttura sociale articolata. Nel seguito di questo lavoro affronteremo tutti questi argomenti in titoli e sezioni mirate. Qui vogliamo definire il quadro programmatico e quello strategico-tattico.

Il nostro ultimo appello è stato un “Appello alla pace e alla società democratica”. Il fatto che questo annuncio sia stato fatto con la conoscenza, se non con il permesso formale, della Repubblica di Turchia è curioso e significativo al tempo stesso. Perché la pace la puoi fare solo con lo stato contro cui combatti, e una società democratica si può costruire solo attraverso il dialogo con quello stato. Questo è ciò che chiamiamo riconciliazione democratica. E anche questa era contenuta nel nostro appello.

Non c’è dubbio che le intenzioni delle parti possono essere differenti. Ma il passo compiuto e l’appello lanciato sono sostanzialmente corretti. Le posizioni delle parti stesse dimostrano che si tratta della mossa giusta. Dal mio punto di vista, il congresso può concludersi qui; ma i nostri quadri lo formalizzeranno e lo metteranno in agenda. Non credo che ci saranno problemi. La cosa più importante è che stiamo sviluppando le basi ideologiche, il programma pratico e le dimensioni strategico-tattiche di questo futuro. La società democratica è il programma politico di questa fase. Non ha come obiettivo lo stato. La politica della società democratica è la politica democratica. La comune stessa è una comune democratica. Queste non possono venir separate l’una dall’altra. La società comunale è democratica. Occorre nominare la società d’oggi come società democratica. Anche socialismo democratico significa societismo democratico. La comune ha una sua storia esattamente come lo stato. Il tema della comune mi interessa molto. Data la sua importanza, penso che dovremo dedicargli un’analisi approfondita. La vita libera dei popoli è possibile grazie alla comune. Se lo stato-nazione è l’arma del capitalismo, il principio fondante e l’arma dei popoli è la comune. Anche mediante i comuni è possibile organizzare questa società comunale. È possibile sia dal punto di vista teorico che pratico. Ma è possibile solo con un’attenta e vera lotta anticapitalista. Se i quadri fondatori sono confusi o privi di volontà, non avrà successo.

Prima di tutto, crediamo sia importante raggiungere questo obiettivo con la Repubblica di Turchia. I negoziati in corso hanno portato la situazione a questo punto. Si tratta di una tappa significativa. Forse questi incontri rappresentano già metà della soluzione. Da qui in poi sarà necessario uno sforzo concreto e significativo. Ho grande speranza e fiducia nel successo. Il raggiungimento di questo obiettivo porterà a importanti risultati non solo per il popolo curdo e per il Kurdistan, ma per l’intera regione. Un successo in questo senso avrà ripercussioni sulla Siria, l’Iran e l’Iraq. Per la Repubblica di Turchia, questo rappresenterebbe l’occasione di rinnovarsi, di conquistare la democrazia e di assumere un ruolo di leadership nella regione.

Francamente, coloro che si oppongono a questo processo non valgono granché. Verranno sconfitti. Ma superare questi ostacoli impone delle responsabilità alle parti. Questo processo avrà implicazioni non solo a livello regionale, ma anche internazionale. Il confederalismo regionale emerge come una assoluta necessità. Il conflitto israelo-palestinese, i conflitti settari, le contraddizioni dello stato-nazione, trovano tutti soluzione nel confederalismo democratico. Questa soluzione richiede anche una nuova Internazionale. Sarebbe un giusto passo dal valore storico avviare senza indugio uno sforzo internazionalista con i nostri amici.

Abdullah Öcalan

25 aprile 2025

 

1 Il 12° Congresso del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) si è tenuto dal 5 al 7 maggio 2025. Nel periodo precedente al congresso, Abdullah Öcalan ha avuto l’opportunità di inviare questo testo al PKK. Si tratta di una sorta di introduzione a un testo più lungo o a un libro a cui Öcalan sta attualmente lavorando nell’isola-prigione turca di Imralı. La sua struttura e il suo contenuto forniscono una prima visione delle riflessioni che sta attualmente elaborando sulla base del suo paradigma di modernità democratica. Questa traduzione è da intendersi come provvisoria. Non appena il testo completo sarà disponibile, sarà possibile rendere accessibili le sue idee nella loro interezza alle forze democratiche del mondo e al più ampio pubblico internazionale. Chi sia interessato a comprendere meglio l’analisi e le proposte di Abdullah Öcalan può consultare i volumi del Manifesto della civiltà democratica già disponibili in italiano.

2 È chiaro che questo testo è molto probabilmente una trascrizione di riflessioni espresse oralmente da Abdullah Öcalan. Nella traduzione si è cercato di mantenere lo stile linguistico dell’originale.

3 La Naqshbandīya, Nakshibendi o Nakshinbandi, è un ordine sufi dell’Islam nato in Asia centrale nel XIV secolo. Il suo fondatore è Baha-ud-Din Naqshband (1318-1389) di Bukhara nell’attuale Uzbekistan. Molte figure di spicco dello Stato turco e del Governo regionale del Kurdistan in Iraq sono anch’esse seguaci della Naqshbandīya.

4 Termine curdo dal significato simile a patriota, ma senza il riferimento alla terra dei padri; può essere tradotto letteralmente come difensore della terra, dove però il termine terra include anche la cultura, la storia, il popolo…

5 Apo è l’usuale diminutivo del nome Abdullah; riferirsi ad Abdullah Öcalan come a Rêber Apo, significa chiamarlo leader o avanguardia Apo. Nel Movimento curdo per la libertà, capita che ci si riferisca a Öcalan come a sêrokatî, la leadership; a questo fanno riferimento i passaggi successivi.

6 Abū Ḥāmid Muḥammad Ibn Muḥammad al-Tūsī al-Ghazālī (1058-1111) è stato un influente teologo islamico sunnita. Viene generalmente riconosciuto come il responsabile del declino della filosofia nel mondo islamico orientale, in contrasto con la tradizione dell’Islam iberico.

7 Il termine arabo كلام‎ kalām significa letteralmente parola o conversazione. In ambito islamico esso indica l’esegesi del testo sacro.

8 Abū al-Walīd Muḥammad ibn ʾAḥmad ibn Rušd (1126-1198), noto nell’Europa medievale con il nome di Averroè, è stato un influente filosofo musulmano che ha difeso la filosofia aristotelica e insistito sulla compatibilità tra fede e ragione. In questo senso entrò in conflitto con la scuola di al-Ghazālī che sosteneva la preminenza della prima sulla seconda.

9 Principale ramo minoritario dell’Islam che risale al partito di Ali durante il conflitto sulla successione di Maometto. Dal punto di vista dottrinario, si può dire che questa corrente sia più aperta del sunnismo ad influenze esterne. Infatti molte sono le sette sciite di tipo sincretico.

10 Si riferisce alle politiche dei due attuali partiti di governo in Turchia, l’AKP islamista di Erdoğan e il nazionalista MHP di Bahçeli. Il termine kemalismo si riferisce all’ideologia nazionalista sulle cui basi Mustafa Kemal Atatürk ha fondato la Repubblica di Turchia.

11 In turco ninna significa come in italiano ninna nanna; la stessa parola, con più o meno variazioni, si trova in greco, russo, cinese, e in quasi tutte le lingue romanze, con l’accezione alle volte di bambina, alle volte di sacra, graziosa, ecc…

12 Muʿāwiya ibn Abī Sufyān (603-680), fu il primo califfo omayyade a regnare su Damasco.

13 Nella mitologia sumera, i centoquattro me sono le tecniche, i principi, le conoscenze e gli strumenti che rendono la società ciò che è, come ad esempio la verità, il mestiere di muratore, la calunnia, o i rapporti sessuali.

14 Il sofisticato sito archeologico di Göbekli Tepe nel Kurdistan turco, datato al X millennio a.e.v. testimonia il livello di avanzamento tecnologico e culturale dei clan matricentrici di cacciatori-raccoglitori. Intorno all’8000 a.e.v. il sito venne abbandonato e ricoperto di terra; non è chiaro se ciò avvenne deliberatamente per mano umana o se in seguito a eventi naturali.

15 Con il termine aşiret Öcalan si riferisce a una federazione di varie comunità tribali. L’italiano non possiede un termine esatto per questa e si sceglie usualmente di mantenere l’originale turco; resta però inteso che il fenomeno delle federazioni tribali non è rimasto confinato alla Mesopotamia, ma anzi ha largamente influenzato la storia italiana ed europea fin dall’antichità.

16 La parola curda kom può essere tradotta con gruppo o collettività, ed è spesso utilizzata per descrivere un insieme di persone accomunate da una identità. Condivide la stessa radice proto-indoeuropea della parola latina cum passata all’italiano in con, e alla base di termini come comunità, comune, condivisione, …

17 Regno ellenistico nell’odierna Armenia, durato dal 163 a.e.v. fino al 72 e.v. quando venne conquistato da Roma.

18 La guerra civile in Francia, Karl Marx, Editori Riuniti, 1974.

19 La Novaja Ekonomiceskaja Politika (Nuova politica economica) fu il sistema misto di economia di mercato ed economica socialista introdotto da Lenin nel 1921 dopo la fase di comunismo di guerra.

20 Il caso di Narin Güran, una bambina di otto anni scomparsa il 21 agosto 2024 a Çûlî (Tavşantepe), quartiere-villaggio alla periferia di Amed (Diyarbakır) nel Kurdistan turco, e ritrovata 19 giorni dopo in un sacco in un piccolo fiume vicino alla sua casa, ha sconvolto l’intera Turchia. L’autopsia ha rivelato che era morta per soffocamento il giorno della sua scomparsa, e le indagini hanno messo in rilievo le relazioni familiari e di villaggio dietro all’omicidio e all’occultamento del cadavere. Per il suo omicidio sono state arrestate la madre, il fratello e lo zio, nonché capo villaggio.

21 Molla Gürâni, esegeta coranico di ascendenza curda fu un amministratore ottomano del XV secolo. Nominato giudice supremo dell’Impero sotto Mehmed II, fece parte del suo consiglio durante la conquista di Costantinopoli. Dal 1480 alla sua morte nel 1488 divenne muftì di Istanbul.

22 Il riferimento è all’idea più volte espressa da Marx ed Engels, di aver “rimesso in piedi la dialettica che camminava sulla testa”, cioè di aver rifondato la dialettica sulla materialità dell’umano, laddove in Hegel si fondava sull’idea. Cfr. per esempio Il capitale, Editori Riuniti, 1980, p. 45.

23 I primi due titoli si trovano editi da Editori Riuniti nel 2019 e nel 1971, rispettivamente; il terzo è il titolo di un opuscolo che Engels aveva progettato di pubblicare a partire dalle idee raccolte nei tre capitoli su La teoria della violenza contenuti nell’Antiduhring, Editori Riuniti, 1950. La bozza è stata tradotta in alcune lingue ma non in italiano.

24 Toghrul Beg (990 ca-1063) fu il primo sultano della dinastia selgiuchide.

25 Si riferisce al Manifesto della civiltà democratica. I primi tre volumi sono editi in italiano da Punto Rosso. Una nuova edizione con traduzione rivista sarà presto disponibile.