Petrolio, trovati i documenti che provano legami Turchia-Isis
Documenti abbandonati da miliziani dello Stato islamico (Isis) in ritirata nel nord della Siria, e ritrovati dai combattenti curdi, uniti alle testimonianze di jihadisti catturati, mostrano le prove del legame fra Turchia e Isis nel commercio del petrolio. A denunciarlo è una inchiesta approfondita di Russia Today.
Un’inchiesta di Russia Today rivela che sono stati trovati alcuni documenti, abbandonati da miliziani dello Stato islamico (Isis) in ritirata nel nord della Siria, che proverebbero i legami fra Turchia e jihadisti nel commercio del petrolio.
A trovarli sarebbero stati i combattenti curdi. Il canale satellitare russo ha inviato una propria troupe nell’area e ha raccolto testimonianze di prima mano. Le carte sono finite nelle mani delle Unità di protezione popolare (Ypg) nell’assalto alla città di Ash Shaddadi, durante la quale sono stati catturati diversi “foreign fighters” provenienti da Turchia e Arabia Saudita, i quali hanno confermato i rapporti fra Daesh e Ankara.
Analisti ed esperti – scrive Asianews – sottolineano che, accanto a una organizzazione militare di primo livello, vi è al contempo una capacità di movimento e organizzazione impensabile senza l’appoggio logistico e finanziario dall’esterno. Fra i Paesi ritenuti in qualche modo fiancheggiatori dell’Isis – assieme ad Arabia Saudita e Qatar – vi sarebbe proprio la Turchia, che pur dichiarandosi nemica giurata dei jihadisti, nei fatti – e i documenti ne sarebbero la prova – si comporta in tutt’altro modo. Alcuni dei documenti finiti nelle mani dei combattenti curdi riportano voci dettagliate, compilate dai miliziani dell’Isis, relative ai proventi del petrolio dei pozzi e delle raffinerie, oltre che il volume totale delle estrazioni. Ciascun fascicolo contiene in cima alla pagina il simbolo dell’Isis. Ogni voce comprende il nome dell’autista, il veicolo utilizzato, peso del mezzo – vuoto e a pieno carico – oltre che il prezzo di vendita e il numero della fattura. Una di queste è datata 11 gennaio 2016 e rivela che l’Isis ha estratto circa 1.925 barili dal pozzo di Kabibah, vendendoli per 38.342 dollari.
Gli autori dell’inchiesta hanno interrogato anche alcuni civili della zona, costretti a lavorare per l’industria petrolifera dell’Isis sotto minaccia. “Il greggio estratto – racconta una fonte – veniva portato in una raffineria, per essere trasformato in gasolio e altri prodotti petroliferi”. In previsione della vendita “venivano intermediari da Raqqa e Aleppo (Siria, ndr) i quali raccoglievano il petrolio e spesso parlavano della Turchia” come meta finale. Alla voce dei residenti si aggiunge quella di un jihadista, un prigioniero turco, il quale conferma che “il petrolio estratto da Daesh viene venduto in Turchia”. E le quantità sono “tali che le autorità” di Ankara “non possono non esserne al corrente”.
Un combattente curdo ha mostrato una collezione di passaporti prelevati dai cadaveri dei jihadisti uccisi in battaglia. Nelle immagini si vedono miliziani di varie nazionalità, fra cui Bahrain, Libia, Kazakistan, Russia, Tunisia e la stessa Turchia. La maggior parte è entrata nelle aree di guerra di Siria e Iraq passando proprio attraverso i confini turchi, che il più delle volte – a raccontarlo sono gli stessi jihadisti prigionieri – non sono pattugliati e consentono un facile attraversamento. Del resto – si legge nella notizia di Asianews – è risaputo che la leadership turca del presidente Recep Tayyip Erdogan ha fornito sostengo logistico ai miliziani in lotta contro il presidente Bashar al Assad, o comunque “non ha interferito” nei movimenti trans-frontalieri dei jihadisti. Inoltre, molto del materiale che alimenta la propaganda dello Stato islamico viene prodotto e stampato in aziende sparse sul territorio turco. “La Turchia è il vicino diretto dell’Isis» e se il governo di Ankara tagliasse i rifornimenti dei miliziani, “l’organizzazione terroristica non potrebbe certo sopravvivere”.
di Raffaello Binelli, Il giornale