Öcalan sempre più isolato nel carcere turco. Appello al Comitato europeo per la prevenzione della tortura

Da tre anni il leader curdo non comunica direttamente con nessuno. È dal 1999 che si trova nella prigione-isola di Imrali. Dopo l’ennesimo divieto di visita indirizzato ai suoi avvocati, dall’Italia è stato inviato un appello a Alan Mitchell, presidente dell’organismo del Consiglio d’Europa, del quale fa parte anche la Turchia

La sorte del presidente Abdullah (Apo) Öcalan riguarda molto da vicino le responsabilità del nostro Paese, dove giunse in fuga dalla Turchia in quanto accusato, da leader del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), di attività separatista. Il reato, considerato terrorismo non solo in Turchia, era allora punito con la pena di morte; per tale ragione dopo essere arrivato nel novembre 1998 a Roma, il governo italiano non poteva estradarlo ma, sia per i tempi allora necessari alla magistratura che per le pressioni ricevute, non poteva concedergli asilo politico. La storia poi è nota: Öcalan venne mandato in Kenia, dove, all’aeroporto di Nairobi venne preso in consegna da ufficiali dei servizi turchi che lo riportarono al Paese di provenienza. Era il 15 febbraio 1999. Da allora è rinchiuso nell’isola carcere di Imrali. Öcalan ha passato gran parte degli anni in isolamento, ha evitato la pena capitale ma è sepolto vivo in una cella. Tutto quanto gli è accaduto finora, viola la totalità delle norme del diritto internazionale che la Turchia, in quanto Stato membro dal 1949 del Consiglio d’Europa, l’organizzazione per i diritti umani, dovrebbe rispettare. E non è bastato nemmeno il fatto che sin da prima della sua cattura, il presidente kurdo abbia lanciato proposte per una soluzione pacifica del conflitto nell’area che non si è mai interrotto, ideando la proposta di un “confederalismo democratico”, in grado di superare ogni forma di nazionalismo e di separazione etnica.

Venticinque anni dopo la sua cattura,  il 3 maggio scorso, gli avvocati di Öcalan hanno ricevuto un ulteriore divieto di accesso al loro cliente, che si trova da 38 mesi in condizioni di isolamento assoluto, in violazione del diritto umanitario internazionale. I ripetuti divieti imposti dall’amministrazione carceraria turca sono considerati arbitrari, gli appelli vengono sistematicamente respinti. Non si hanno più notizie di Öcalan da quando ha potuto avere una breve conversazione telefonica con il fratello, avvenuta il 25 marzo 2022. Nonostante le continue preoccupazioni per la sua salute, a Öcalan e ad altri tre prigionieri, Ömer Hayri Konar, Veysi Aktaş e Hamili Yıldırım, è stato imposto un ulteriore divieto di visita da parte degli avvocati per sei mesi.

Gli avvocati dello studio Asrin, che seguono da anni la vicenda, avevano presentato una ulteriore richiesta per incontrare i loro assistiti. «Il 3 maggio siamo stati informati di un nuovo divieto di visite di sei mesi per i nostri clienti. La decisione non è stata motivata». Questa la secca risposta. Un nuovo tentativo li ha portati a rivolgersi alla Corte costituzionale turca, ma le speranze di una risposta diversa sono esigue. Si tratta della tredicesima volta, negli ultimi 8 anni, che per Abdullah Öcalan giunge la stessa risposta. Dal febbraio 2018, tali divieti vengono rinnovati ogni sei mesi e riguardano anche i familiari. Nell’ottobre del 2023 è stata lanciata, a livello internazionale, una campagna per la sua liberazione evidenziando come questa sia fondamentale anche per avviare un generale processo di pace nell’area, che comprende anche Siria, Iraq e Iran, in cui sono forti le presenze curde.

In passato ci sono state numerose visite in Turchia, in particolare ad Imrali, da parte del Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt). In un rapporto pubblicato nel 2018 ma relativo al 2016, emergevano miglioramenti nella detenzione nel carcere dell’isola ma non per quanto riguardava la progionia del presidente curdo. Ancora non si hanno i risultati della visita effettuata nel 2023. Intanto anche ricordare o riprodurre l’immagine di Öcalan e delle bandiere curde o del Pkk è vietato, in tutto il mondo. Nel 2002 il Consiglio d’Europa aveva inserito tale partito e il suo leader, nella black list delle organizzazioni terroristiche, nel 2018, a seguito di esposti, la Corte di Giustizia europea aveva ritenuto di non avere motivazioni valide per tale provvedimento eppure il PKK è ancora nella black list. Le principali piattaforme social, se si inseriscono nei propri post, o profili, foto del presidente, testi in cui se ne parla, video in solidarietà con lui, portano a veder bannati temporaneamente i propri spazi.
Nelle settimane scorse, un gruppo italiano di attivisti, esponenti politici e rappresentanti di movimenti sociali, artisti ed intellettuali, ha inviato una missiva al presidente del Comitato per la prevenzione della tortura, Alan Mitchell. L’iniziativa è partita dal Comitato “Il tempo è arrivato, Libertà per Öcalan”, di cui è presidente Giovanni Russo Spena. Riportiamo a seguire il testo della lettera che ha ricevuto numerose e importanti adesioni.

Egregio Dr. Mitchell,

a nome del comitato “Il tempo è arrivato, Libertà per Öcalan”, Le scriviamo con un appello urgente che richiede la Sua immediata considerazione.
Il nostro comitato coordina le attività che si svolgono in Italia sul tema della liberazione di Abdullah Öcalan, sulla base di una raccolta di firme che ha ricevuto adesione da parte di migliaia di associazioni, movimenti, politici, organizzazioni sindacali, sindaci, intellettuali e artisti.

Il nostro impegno istituzionale si è concretizzato nella presentazione di diverse mozioni e interrogazioni presso la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica italiana. Nonché nel conferimento della cittadinanza onoraria ad Abdullah Öcalan da parte di 17 comuni italiani, iniziativa da noi promossa. Sul piano legale, giuristi e avvocati parte del comitato sostengono l’applicazione della sentenza emanata dalla seconda sezione civile del Tribunale di Roma, in cui è stato riconosciuto il diritto di Öcalan all’asilo politico in Italia in base all’articolo 10 della Costituzione.

Negli ultimi 38 mesi, il leader curdo Abdullah Öcalan, considerato da milioni di curdi come il loro legittimo rappresentante politico, è stato detenuto in una forma estrema di incommunicado dallo Stato turco sull’isola-prigione di Imrali. Durante questo isolamento illegale e disumano, Öcalan è stato fatto “sparire” e gettato nel vuoto della “non esistenza”, mentre gli è stato negato ogni contatto con il mondo esterno, compresi i suoi avvocati e la sua famiglia. In questo periodo, la Turchia ha cercato di trasformare l’isola di Imrali in una “bara galleggiante”. Öcalan, che oggi ha 75 anni, è stato sottoposto a crudeli torture attraverso l’isolamento per 25 anni e negli ultimi tre anni non sono state fornite informazioni sulla sua salute, rendendo a questo punto impossibile verificare la sua posizione e le sue condizioni fisiche, il che rappresenta una questione molto delicata per molti curdi che vedono in lui l’incarnazione della loro voce nazionale.

Per questo motivo chiediamo gentilmente a voi, il Cpt, di agire. In qualità di Cpt, avete il diritto di visitare tutti i luoghi di detenzione degli Stati che aderiscono alla Convenzione, compresa la Turchia. Questo vi consente di inviare il vostro team di esperti a Imrali, dove il governo turco deve garantirvi un accesso illimitato per visitare il luogo in cui Öcalan è tenuto prigioniero e permettervi di intervistarlo in privato in modo che possa comunicare liberamente con voi.

Vorremmo che il Cpt agisse in conformità con l’articolo 3 dello Statuto del CdE, che afferma che: “Ogni membro del Consiglio d’Europa deve accettare i principi dello stato di diritto e il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte di tutte le persone che rientrano nella sua giurisdizione”. Öcalan è cittadino di uno Stato membro del CdE che da due decenni e mezzo gli nega i diritti umani e da tre anni lo priva del diritto di incontrare i suoi avvocati e di parlare con la sua famiglia.

Vi chiediamo solo, con assoluta sincerità, di inviare immediatamente una delegazione a visitare l’isola di Imrali per parlare con il signor Öcalan e verificare il suo stato di salute. In seguito, le saremmo molto grati se potesse incoraggiare la Turchia a permettergli di ricevere la visita della sua famiglia e dei suoi avvocati, in modo da rispettare gli obblighi del CdE e del Cpt. Ciò contribuirebbe a risolvere un problema urgente di diritti umani e di preoccupazione per milioni di curdi e potrebbe anche rinnovare lo spirito di riconciliazione, necessario per trovare una soluzione pacifica alla questione curda in Turchia.

Con gratitudine per il vostro tempo e con la speranza che riceviate questo come un accorato appello,

Comitato “Il tempo è arrivato, Libertà per Öcalan”
libertaperocalan@gmail.com

 

di Stefano Gallieni

 

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