Nel campo profughi di Suruç, Kobane-Turchia sola andata
Siria/Turchia. Viaggio nel campo profughi di Soruç. Gli aiuti internazionali restano fermi ad Ankara. Solo le municipalità dell’Hdp forniscono soccorsi
Il conflitto in Siria ha cambiato il volto anche delle città turche. Spesso nei centri urbani capita di sentire la gente parlare arabo più che turco o kurdo. I profughi siriani hanno ormai trovato la loro seconda vita tra Istanbul, Izmir e Ankara. Una immigrazione forzata di classe media che ha prodotto non poca vitalità culturale e creatività in Turchia. Tra artisti, ingegneri e intellettuali i notabili di Aleppo, Damasco e Homs hanno ormai trovato il loro posto nella borghesia urbana turca. Eppure i siriani in Turchia si rivolgono l’uno all’altro con non poco scetticismo e sospetto. Hanno sempre in mente la guerra civile che va avanti nel loro paese e l’immagine di al-Assad che continua ad avere il controlo di Damasco. Anche gli attori siriani hanno in massa lasciato il paese e ora appaiono sugli schermi turchi ed egiziani.
I mille volti della diaspora siriana
Fuggono da uno dei conflitti più crudeli della regione, manipolato a distanza da Stati uniti, Unione europea, Arabia saudita: un conflitto per procura che ha prodotto milioni di profughi. Divisa tra Turchia, Libano e Giordania, la diaspora siriana è composta sì dalla classe media siriana anti-regime. Ma anche da tanti poveri che hanno trovato posto per le strade turche e non hanno nessuna speranza per un futuro migliore nel loro nuovo paese. Sono più di un milione e otto cento mila i profughi siriani in Turchia, per l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr).
Il tema dell’immigrazione è stato usato dagli ultra-nazionalisti dell’Mhp in campagna elettorale per accrescere il loro consenso. E ci sono riusciti ottenendo il 16% dei seggi (rispetto al 12% del 2011). Sono diventati il partito a cui gli islamisti moderati del presidente Recep Tayyip Erdogan (Akp) guardano prima degli altri per formare il nuovo governo ad un passo dalle elezioni anticipate.
Il flusso di profughi siriani al confine sud-orientale di Soruç è andato aumentando come conseguenza dell’avanzata dello Stato islamico (Isis) nel cantone di Kobane. La guerriglia kurda siriana ha attirato i combattenti turchi del Pkk, gli iraniani del Pjak e in parte i peshmerga iracheni. Ma la popolazione locale ha preferito figgire dal conflitto verso la Turchia in assenza di un corridoio umanitario e di un chiaro sostegno del governo turco: una delle critiche più dure al governo Akp mosse in campagna elettorale dalla sinistra filo-kurda (Hdp) di Salahettin Demirtas che ha poi superato lo sbarrato alle parlamentari del 7 giugno scorso.
Nell’ottobre 2014, in pochi giorni, sono arrivati a Soruç 100 mila siriani senza avere nessun aiuto internazionale. Nella sola città di Gaziantep 400 mila siriani hanno trovato rifugio mescolandosi tra la popolazione locale. «Passavano la notte sui marciapiedi di Soruç: era un dormitorio a cielo aperto», ci spiega Mustafa Dogal, attivista del Partito democratico del popolo (Hdp). «Qui nessuno oserebbe chiamarli rifugiati sebbene lo siano secondo il diritto internazionale. I profughi di Kobane sono parenti o familiari dei cittadini di Soruç o almeno così vengono percepiti», ci spiega Mustafa.
Ai profughi siriani di Kobane non arrivano gli aiuti umanitari di Nazioni unite e ong di mezzo mondo che restano nelle tasche del governo turco ad Istanbul. Il più grande campo governativo che contiene 35 mila posti letto è stato costruito con una tale lentezza, sei mesi dopo l’arrivo dei profughi, che la maggioranza dei rifugiati aveva già lasciato Soruç quando le tende sono state consegnate. Ora nel campo vivono ancora 5 mila siriani. Soprattutto donne e bambini mentre i giovani cercano lavoro e fortuna in Turchia.
Ci sono almeno altri cinque piccoli campi, gestiti dalla Municipalità di Soruç, controllata da Hdp, intorno al centro urbano che conta 100 mila abitanti. Qui gli aiuti internazionali non arrivano e sono sindaci, amministratori e operatori sociali che rispondono ai principi dell’autonomia democratica teorizzata da Ocalan a portare sostegno diretto ai profughi. Ma qui la paura della repressione regna sovrana. Il guardiano di uno dei campi non vuole rivelare il suo nome perché teme di perdere il suo lavoro in un ufficio governativo. Un mese fa si è tenuto a Diyarbakir il Forum per la ricostruzione di Kobane. Erano presenti organizzazioni filo-kurde del Forum mesopotamico (Kck) con l’aggiunta di alcune ong straniere ma poco è stato fatto per favorire il ritorno dei siriani a Kobane. Le 103 municipalità kurde di Hdp hanno mandato nei campi di Soruç aiuti ogni settimana durante il conflitto e continuano a farlo.
Molti adesso raccolgono grano
Abbiamo visitato il campo di Mesgin grazie all’impegno della municipalità di Soruç che ci ha permesso di entrare. I campi di grano si interrompono per dar spazio ad un gruppo di tende grige che raccolgono i canti e giochi di un’infinità di bambini. Poco lontano da qui un altro campo ha raccolto per mesi le famiglie inconsolabili dei martiri dei combattenti kurdi di Kobane. A Mesgin vivono nelle tende ormai da otto mesi 90 famiglie: almeno 380 persone tra cui moltissimi bambini piccoli. «Alcuni sono tornati a Kobane, altri cercano lavoro a Soruç. Molti raccolgono grano in questa stagione», ci racconta Islam, anziano di un villaggio nei dintorni di Kobane che vive qui dall’inizio dei combattimenti. Quando il flusso di profughi non accennava a diminuire è stata creata qui una scuola con insegnanti qualificati inviati dalla municipalità. «Tutti i bambini venivano a studiare a Mesgin perché nei campi governativi gli insegnamenti erano solo in arabo e in turco. Non in kurdo come da noi», aggiunge Mustafa l’operatore della municipalità che ci accompagna.
«Da settimane non riceviamo le visite di un medico», ci dice Asya, giovane madre di due bambini. Quando i guerriglieri Ypg tornavano feriti dai combattimenti trovavano qui almeno il sostegno di continui turni di fisioterapia. Ma la gara della solidarietà del Comune di Soruç va avanti tanto che nei depositi del campo le provviste di ceci e pasta, raccolte in sacchi neri, sono ancora copiose. I giovani del campo sono anche riusciti a scavare un pozzo da dove attingere acqua ma le taniche di acqua potabile della municipalità sembrano da sole sufficienti per i bisogni primari dei rifugiati. «Negli ultimi sei mesi non ci sono stati particolari problemi di elettricità. Il comune ci ha fornito un generatore», continua Islam.
La vita a Mesgin trascorre lentamente. Le tende di questo campo sono molto semplici. All’interno hanno tutte una stufa (anche se è stato necessario rafforzare le centraline elettriche perché non ci fossero cali di tensione). Il cemento alla base le isola dal terreno anche se il caldo di questi giorni rende la vita non facile ai rifugiati siriani.
I campi profughi siriani in Turchia testimoniano le gravi conseguenze del conflitto nel Kurdistan siriano e in tutto il paese. Ma anche l’irresponsabilità del governo turco nel non aver impedito l’avanzata dei jihadisti dello Stato islamico. Questo ha influito non poco sulla sconfitta elettorale di Erdogan, ha rafforzato le destre, e generato un clima incandescente a Diyarbakir dove ieri ci sono stati altri scontri a fuoco tra sostenitori di associazioni kurde di diverso orientamento politico. I combattenti di Isis continuano ora la loro battaglia anti-kurda anche in territorio turco. Mentre i profughi siriani scacciati anche dall’Egitto del golpista al-Sisi diventano carne da macello del business delle migrazioni dei contrabanddieri libici fino a trovare morte certa nella traversata del Mediterraneo verso Lampedusa.
Di Giuseppe Acconcia-Il Manifesto