Messaggio di Abdullah Öcalan alla Conferenza Internazionale
Riprendiamoci il socialismo attraverso la pace e la costruzione di una società democratica
Stimati pensatori, cari compagni, stimati delegati e tutti coloro che continuano a credere che il socialismo sia ancora possibile;
Oggi mi rivolgo a voi oggi dall’isola di Imralı, in condizioni di isolamento durate 26 anni, in un momento in cui è ripreso un nuovo dialogo con lo Stato sulla questione curda alla ricerca della pace e di una società democratica. Rivolgermi a voi, alla Conferenza Internazionale sulla Pace e la Società Democratica, sulla via della ricostruzione del socialismo, è significativo che importante.
Come curdi, nel corso di 52 anni di lotta del PKK, abbiamo completatola nostra lotta per l’esistenza e la dignità, e ora entriamo in un periodo in cui una repubblica democratica e una società democratica possono essere ricostruite.
Il PKK ha portato a termine la sua missione storica garantendo l’esistenza nazionale del popolo curdo e, al contempo, mettendo in luce i limiti del socialismo dello Stato-nazione. Il socialismo del XX secolo è emerso come un intervento rivoluzionario negativo, ma non è riuscito a presentare un’alternativa duratura. Nonostante gli enormi sacrifici, questa lotta è diventata un’eredità arricchita dalla critica sia teorica che pratica. Per onorare e far propria questa eredità in modo adeguato è necessario trasformare il socialismo da un semplice ricordo a una forza sociale viva che batte nel cuore del popolo.ù
La tradizione socialista nella storia deve essere intesa come un’eredità volta a costruire sia la pace che una società democratica, e la strada da percorrere consiste nell’adempimento delle responsabilità internazionaliste nella teoria e nella pratica. Sebbene i socialisti utopisti e i marxisti abbiano offerto critiche esaustive al sistema egemonico capitalista fin dal XIX secolo, non sono riusciti a sviluppare una linea decisiva con risultati concreti.
Il capitalismo odierno non è più solo una crisi; è diventato una malattia che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità. Il monopolio della violenza nella forma dello Stato-nazione gioca un ruolo determinante in questo collasso. Così come il capitalismo non può essere spiegato solo attraverso motivazioni economiche, i fallimenti dei movimenti socialisti non possono essere spiegati solo con la repressione capitalista. Anche gli errori storici e contemporanei sono stati decisivi.
Le mie critiche al marxismo devono essere comprese correttamente. Non biasimo Marx; ai suoi tempi, la storia non era compresa meglio di quanto lo sia oggi, non c’era una crisi ecologica e il capitalismo era ancora in ascesa.
Ciononostante, Marx era un pensatore dotato di profonda autocritica e coraggio intellettuale. Percepì l’importanza della liberazione delle donne, ma la affrontò superficialmente, convinto che una volta superato lo sfruttamento economico, l’oppressione di genere si sarebbe naturalmente dissolta. Il suo tentativo di interpretare la storia sociale esclusivamente attraverso la classe sociale e la sua analisi insufficiente dello Stato e dello Stato-nazione portarono a gravi conseguenze.
Nel presentare queste critiche, vorrei sottolineare il mio profondo rispetto per gli sforzi di Marx e di non dubitare della sua sincerità, e far notare che distinguo il marxismo da Marx stesso. Quando critichiamo il marxismo e il socialismo attuale su alcune questioni fondamentali, ciò che sentiamo – come socialisti – è lo spirito di autocritica interiore. Le forze antisistemiche devono rivisitare il materialismo storico in un modo che sia in linea con la realtà della società umana.
A È essenziale comprendere che il capitalismo non è “disceso dal
cielo” nel XVI secolo; piuttosto, le sue radici risalgono ai 10-12 mila anni di evoluzione della civiltà iniziata nella Bassa Mesopotamia. Siti archeologici come Göbeklitepe e Karahantepe gettano luce su questa origine storica. Per questo motivo, ritengo più corretto definire l’attuale sistema di civiltà come un “sistema di sterminio sociale basato sulle caste”.
Reperti archeologici e antropologici dimostrano che le caste maschili di cacciatori, attraverso lo sviluppo di tecniche di uccisione, hanno soppresso e ridotto in schiavitù comunità di clan incentrate sulle donne. Ciò segna la frattura più profonda nella storia dell’umanità: una vera e propria controrivoluzione che modellerà tutti i successivi sviluppi della civiltà.
Comprendere il capitalismo da questa lunga prospettiva storica consente un’analisi molto più illuminante. Questo sistema non solo approfondisce le contraddizioni sociali interne, ma minaccia anche l’estinzione della specie umana producendo armi chimiche e nucleari in grado di annientare il pianeta, inquinando l’ambiente e saccheggiando le ricchezze naturali sia sopra che sottoterra. Uno dei doveri essenziali dell’internazionale è offrire all’umanità una nuova analisi del capitalismo fondata su questa grave realtà.
Dobbiamo esaminare la storia degli oppressi attraverso la prospettiva della comune, che è emersa innanzitutto come una formazione di autodifesa. Ciò richiede di considerare le prime comunità tribali come gli albori della comune e di adottare una prospettiva storica che si estenda al proletariato odierno e a tutti i gruppi oppressi.
Prevedo che questa conferenza, anche attraverso l’analisi teorica che ho qui offerto, promuoverà importanti dibattiti che possono contribuire allo sviluppo di una nuova prospettiva di programma e organizzazione politica.
In questo processo, il metodo fondamentale è il materialismo dialettico. Tuttavia, alcuni eccessi della dialettica classica devono essere superati. Dobbiamo vedere le contraddizioni non come poli opposti destinati a eliminarsi a vicenda, ma come fenomeni sociali che si sostengono e si plasmano a vicenda.
Perché senza la comune non ci sarebbe stato; senza la borghesia non ci sarebbe stato proletariato. Pertanto, la contraddizione deve essere valutata non con una logica di annientamento, ma attraverso una prospettiva storica trasformativa. Gli sviluppi scientifici dimostrano che il metodo dialettico rimane uno strumento efficace per l’analisi sociale, purché non venga trattato come assoluto. In questo quadro, è imperativo aggiornare la dialettica tra Stato e comunità e tra Stato e classe.
Il fallimento del socialismo reale del XX secolo è detivato dall’incapacità di interpretare correttamente questa dialettica storica: il socialismo incentrato sullo Stato si era impadronito dello Stato solo per esserne sconfitto.
Legando il diritto delle nazioni all’autodeterminazione allo Stato-nazione, esso venne confinato entro i confini della politica borghese. Allo stesso modo, il concetto di “Stato-nazione proletario” non ha prodotto altro che una riproduzione della mentalità statalista.
Su questa strada, procedo con la convinzione che riusciremo nella ricostruzione non attraverso lo Stato, ma piuttosto attraverso il paradigma di una repubblica democratica e di una nazione democratica, fondate sui principi della libertà delle donne, dell’ecologia e della società democratica.
Questa consapevolezza ha rinnovato il nostro movimento ideologicamente e politicamente, ha rivitalizzato il suo dinamismo organizzativo e ne ha approfondito le radici nella società, consentendogli di sviluppare un programma socialista in grado di rispondere alle esigenze del secolo.
Anche il rapporto tra socialismo democratico e Stato si sta rimodellando nel contesto del processo di pace e risoluzione. Definisco il mio rapporto con lo Stato come un rapporto di democratizzazione.
Il concetto di repubblica democratica richiede che lo Stato non operi come un potere divino al di sopra della società, ma piuttosto come una struttura che opera nel quadro di un contratto democratico stipulato con la società. Attraverso una strategia di politica democratica, è possibile apportare cambiamenti e trasformazioni allo Stato e ricostruire la società su fondamenta democratiche.
Basare questa strategia sul diritto costituirà la base duratura della pace. Il diritto è un meccanismo che garantisce ed equilibra il rapporto democratico tra Stato e società, fungendo da strumento per prevenire la violenza. Allo stesso tempo, istituzionalizzerà l’istituzione, la legittimità e la ricostruzione della repubblica democratica. A tal proposito, uno degli argomenti strategici chiave che ho proposto è il concetto di integrazione democratica e il suo quadro giuridico. Il diritto di integrazione democratica, in cui le norme giuridiche vengono ricostruite a favore della società attraverso norme individuali e universali, insieme ai diritti collettivi, deve basarsi sui seguenti tre principi fondamentali:
• Un diritto del libero cittadino
• Un diritto di pace e di società democratica
• Leggi di libertà
La legge sull’integrazione democratica non solo trasformerà lo Stato in uno Stato normativo, ma consentirà anche di istituzionalizzare le conquiste sociali, consentendo alla società di realizzare la propria libertà.Il processo “Appello alla pace e alla società democratica” da me lanciato è di per sé un processo di dialogo. In una regione come il Medio Oriente, caratterizzata da complesse relazioni tra etnie, religioni e sette, molto può essere ottenuto attraverso il dialogo democratico e la negoziazione.Inoltre, credo che un socialismo significativo possa essere organizzato non attraverso un metodo rivoluzionario violento, ma attraverso un sistema positivo di costruzione ed esistenza, che prende forma attraverso il dialogo democratico. Senza un dialogo democratico completo e profondo, è difficile credere che il socialismo possa essere costruito, o che possa durare anche se fosse costruito.
Anche Lenin disse: “Senza una democrazia inclusiva e avanzata, il socialismo non può essere costruito.”
Con questi pensieri e questa determinazione, vi auguro ancora una volta un convegno di successo e vi porgo i miei più cordiali saluti e il mio affetto.
06.12.2025
Abdullah ÖCALAN
Isola di Imrali
