La Turchia non avanza, a difesa di Afrin c’è il popolo
Parla il coordinatore in Europa del partito curdo-siriano Pyd, Sherwan Hassan: «L’esercito turco ha in mano armi Nato ed è sostenuto da 25mila islamisti ma non è avanzato di un metro. La gente sa che a scontrarsi sono due sistemi, che se Afrin cade torneranno i jihadisti, per questo la difesa è strenua»
Marcia ieri a Qamishlo, Rojava, in solidarietà con Afrin (Foto: Information Center of Afrin Resistance)
Sono passati undici giorni dall’inizio di «Ramo d’ulivo», l’operazione turca contro il cantone curdo siriano di Afrin. Ieri sulla città di 500mila anime l’aviazione di Ankara ha fatto piovere, oltre alle bombe, volantini in turco, arabo e curdo: ai civili si chiede di schierarsi contro «i terroristi». «Non permettegli di usare il vostro futuro», si legge.
La risposta l’ha data la città di Qamishlo, nel cantone di Jazira, a est: decine di migliaia di persone di diverse etnie hanno marciato sventolando le bandiere delle Sdf (Forze democratiche siriane, federazione multi-etnica) e delle Ypg e Ypj (unità di difesa popolare curde) in solidarietà con Afrin.
Nelle stesse ore colpi di artiglieria e raid aerei hanno colpito diversi villaggi del distretto diAfrin (Xelil, Mamela, Bilbile, Dersane, Hemam) con annessi tentativi da parte dei soldati turchi e delle migliaia di miliziani siriani di opposizione di invadere le comunità.
Senza riuscirci: «Noi, curdi, arabi, siriaci, turkmeni abbiamo sconfitto l’Isis e creato un sistema di autogestione comune – spiegava ieri Asiya Abdullah, co-presidentessa del partito curdo-siriano Pyd, in collegamento telefonico da Afrin con il Senato italiano – La nostra era una zona di pace, oggi è in guerra. Se Afrin verrà strappata alla sua popolazione, l’unica conseguenza sarà la sua occupazione da parte del Fronte al-Nusra e di altri gruppi islamisti, i gruppi che oggi affiancano lo Stato turco e fanno parte dell’Esercito Libero Siriano. Maa con la libertà non hanno nulla a che fare. La Turchia sta commettendo un genocidio».
Sullo sfondo scorrono video girati negli ospedali del cantone: bambini, donne, anziani feriti, corpi senza vita caricati su camioncini, una ragazzina con il pigiama di Topolino ancora addosso. Una guerra contro i civili da parte del secondo esercito della Nato.
Ne abbiamo parlato – a margine della conferenza organizzata a Palazzo Madama dall’Istituto internazionale di cultura curda e dall’Intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo curdo – con Sherwan Hassan, coordinatore in Europa del Pyd.
La Turchia combatte anche con la propaganda: parla di avanzamenti sul terreno ma le Ypg negano. Che succede?
L’esercito turco ha in mano armi pesanti e sofisticate, armi prodotte dai paesi della Nato, ed è sostenuto da 25mila miliziani legati all’Isis, al-Nusra, ai gruppi turkemi islamisti. Afrin è un distretto piccolo, ma dove vivono oltre un milione di persone, di cui la metà rifugiati da altre zone della Siria. Nonostante ciò la Turchia non sta avanzando: i combattenti che difendono Afrin sono quelli che hanno liberato Kobane e Raqqa, stanno arrivando da tutta la regione. La Turchia non è avanzata di un metro.
Perché la resistenza curda è tanto efficace?
Tutte le comunità parte delle Sdf hanno deciso di unire le forze contro l’offensiva turca. E le Sdf non solo sanno combattere (ricordate, hanno distrutto l’Isis in pieno deserto), ma hanno dalla loro la spinta della volontà democratica e il sostegno della popolazione. La gente sa che a scontrarsi sono due sistemi, che se Afrin cade torneranno gli islamisti. Per questo la difesa è strenua, per questo giungono combattenti dal resto di Rojava: non ci siamo arresi, non ci arrenderemo.
Qual è invece l’interesse delle milizie islamiste che affiancano l’esercito turco?
La Turchia ci attacca tramite gli islamisti dal 2014, senza ottenere nulla. Per questo è scesa personalmente in campo. Da parte loro i qaedisti di al-Nusra, Isis, Ahrar al-Sham puntano a prendere questi territori.
Conferma la notizia secondo cui le Sdf hanno chiesto l’intervento del governo siriano?
Noi ripetiamo sempre che Afrin e Rojava sono parte della Siria. Damasco ha il dovere di proteggere i suoi confini dagli attacchi di un altro paese. Purtroppo non lo fa per gli interessi che oggi la legano alla Turchia, con cui collabora sperando così di poter tornare qui. Ma noi non intendiamo consegnare Afrin né alla Turchia né al regime: vogliamo una federazione autonoma all’interno dello Stato siriano, vivere in pace con tutti i nostri vicini.
di Chiara Chiarucci, il Manifesto