La questione curda tra passato e presente: come si può arrivare a una soluzione
All’inizio della guerra del Golfo, la parte irachena del Kurdistan, chiamata dai Curdi il Sud, ebbe, grazie ad un sostegno internazionale, la possibilità di un riconoscimento politico. Con la caduta di Saddam Hussein nel 2003, la costituzione del governo regionale curdo segnò l’inizio di un cambiamento, un riconoscimento dei Curdi, di cui si era già discusso a Losanna nel 1923. Le cosiddette “primavere arabe” hanno offerto un’ulteriore opportunità per un’autodeterminazione dei Curdi nella parte più piccola del Kurdistan, ossia il Rojava, nel nord della Siria.
Per oltre 30 anni, i Curdi qui si sono affermati come oppositori del regime Baath. Anche in questo caso è stato scardinato l’accordo sull’Asia minore (Sykes-Picot) del 1916 per la divisione del Kurdistan, poi di fatto ratificato a Losanna nel 1923. I Curdi in Rojava, passo dopo passo, hanno costruito il loro sistema amministrativo, insieme agli Arabi, agli Assiri, agli Armeni, ai Turcomanni e ai Ceceni. Nel luglio del 2012 hanno proclamato in questo territorio l’autonomia democratica. Nel Nord del Kurdistan (la parte turca) i Curdi hanno conquistato un’infrastruttura politica e sociale che li ha messi nella condizione di saper autoamministrare i territori ad insediamento curdo.
Infine, nella parte orientale del Kurdistan (la parte iraniana) i Mullah temono le rivolte curde. In generale, in seguito a questi sviluppi, possiamo parlare di un’opportunità di autodeterminazione che si concretizza dopo cent’anni. Diversamente dal ventesimo secolo, nel corso del quale i Curdi erano principalmente oggetto della politica della regione anche a livello globale, hanno sviluppato ormai una forza capace di organizzare una politica di autodeterminazione. La questione curda è arrivata all’ordine del giorno della politica. E’ una delle grandi sfide politiche del ventunesimo secolo, la cui soluzione richiede assolutamente la comprensione della storia dell’origine della questione curda.
Circa cent’anni fa, gli Stati europei, l’Inghilterra, la Francia, la Germania, l’Italia e la Russia, grazie alla loro politica di sfere di influenza secondo il principio del divide ed impera, avevano frantumato l’Impero Ottomano e si erano spartite la gran parte del suo territorio. L’industrializzazione in Europa, che richiedeva un fabbisogno energetico e di materie prime, insieme a sbocchi di mercato, che all’epoca mostrava chiari segni di decadenza. L’Impero Ottomano, in qualità di stato multietnico, era composto da diversi territori autonomi. Nonostante le diversità politiche e i conflitti, l’Impero Ottomano tollerava questa pluralità di etnie. A questo riguardo, la colonizzazione europea ha praticato un taglio netto. Per indebolire in modo consistente le strutture di potere, le potenze europee hanno attuato una politica di divisione contro il mosaico di popoli della regione.
Curdi, Turchi, Arabi, Armeni, Assiri, Greci, Greci del Ponto e altre etnie furono aizzati gli uni contro gli altri facendo leva su idee nazionalistiche. L’intervento europeo nel XX Secolo prevedeva la divisione dell’Impero in piccoli Stati nazionali. I Curdi e gli Arabi furono i perdenti di questa politica di divisione. I primi furono divisi in 4 Stati, i secondi, addirittura, in 22 Stati.
Nascita della questione curda: occupazione del Kurdistan e privazione dei diritti per i Curdi
Ancora durante la prima guerra mondiale era stato elaborato l’accordo sull’Asia minore (Sykes-Picot) del 1916, che prevedeva la spartizione dell’Impero Ottomano. Numerosi incontri e conferenze ebbero luogo, sino alla realizzazione finale della nuova carta geografica del Medio Oriente. In seguito alla forte insoddisfazione della parte turca, nella conferenza di Losanna del 1923, fu modificato il trattato di Sevres, e si acconsentì all’annessione di gran parte del Kurdistan al nascente Stato turco. Il trattato di Losanna, firmato nel luglio del 1923, prevedeva esclusivamente diritti per le minoranze religiose, ma non per quelle etniche. La spartizione del Kurdistan tra Turchia, Iran, Iraq e Siria era di fatto segnata. Per la seconda volta nella sua storia, il Kurdistan patì una spartizione; la prima ebbe luogo nel 1639, con il trattato di Qasr-e Schirin tra l’ Impero Ottomano e la Persia.
Stati “indipendenti”- ma prigionieri della questione curda
Nonostante la Turchia, l’Iran, l’Iraq e la Siria, dopo la stipula del trattato, avessero accettato di essere degli Stati nazionali, allo stesso tempo erano ben consapevoli che la stabilità interna dei loro Paesi dipendeva dai Curdi insediati sui loro territori. Per questa ragione intravvedevano, in ogni richiesta che veniva da parte curda, un pericolo per la loro sicurezza, sollevando subito accuse di terrorismo e separatismo. Per perseguire i loro interessi in politica estera, questi Stati sono stati spinti da altri paesi, fino ad oggi, a impedire ogni rivolta da parte curda. L’unica strada possibile che individuarono fu la brutale repressione, la negazione dei diritti, l’assimilazione, l’affamare i Curdi, addirittura l’ammazzarli. Gli attori internazionali si tennero a distanza, ed intervennero esclusivamente quando venivano messi in discussione i loro interessi. Tutti e quattro gli Stati, Turchia, Iran, Iraq e Siria, in un certo qual modo, sono stati prigionieri della questione curda. Per loro la questione curda è stata una specie di cavallo di Troia, da tenere sotto controllo.
Di fatto, per oltre 90 anni è covato sempre un conflitto tra questi Stati e la popolazione curda, la quarta nazione più grande al mondo divisa contro la sua volontà tra Arabi, Turchi e Persiani: sollevazioni curde erano inevitabili e sempre motivate. Poiché gli sviluppi attuali nella regione lanciano nuove sfide anche per questi Stati, essi si combattono gli uni con gli altri. Non è più possibile l’alleanza anticurda tra la Turchia, l’Iran, l’Iraq e la Siria. L’Iran e la Turchia sono coinvolti in lotte di potere per l’Iraq e la Siria. Vedono gli sviluppi nei Paesi vicini come una minaccia per se stessi, poiché vedono che gli Arabi (Iraq e Siria) hanno già perso la loro egemonia, sancita dal trattato di Losanna, sul governo regionale curdo in Iraq e sul Rojava.
Il PKK e l’inizio del cambiamento
Il PKKè nella lista delle organizzazioni terroristiche di parecchi Stati e in alcuni paesi è addirittura messa al bando, tuttavia non cambia il fatto che la moderna questione curda è iniziata con il PKK. È stato questo movimento che ha messo all’ordine del giorno internazionale la questione curda e ne ha svelato il significato storico. Il PKK ha tratto insegnamento dagli errori delle passate rivolte curde, cercando di trarne profitto per il futuro. La disponibilità a un’autocritica sulle sconfitte delle rivolte del XX secolo è stata ed è vista come una risorsa per continuare a tener in piedi la volontà di libertà. Bisogna essere grati agli eroi della storia curda. Nonostante una repressione feroce che dura da decenni, i Curdi non si sono arresi. Il conseguimento della libertà non ha prezzo.
Dall’autodifesa alla proposta di soluzione politica
Dal 1978, anno della sua fondazione, sino all’inizio della lotta armata nel 1984, il PKK si era sforzato di trovare una soluzione alla questione curda. L’uso della forza militare per l’autodifesa fu una necessità imposta dalle circostanze. Nel Kurdistan del Nord (Turchia) nacque, in seguito alla lotta armata, un nuovo movimento popolare. La sua influenza si estese oltre al nord del Kurdistan (Turchia), all’est (Iran), al sud (Iraq) e ad ovest (Siria). Nel Kurdistan del nord è sbocciata una nuova coscienza nazionale. Per la prima volta nella storia dei Curdi, le donne hanno preso parte attivamente alla resistenza, e ciò ha caratterizzato il movimento curdo. Sia a livello militare, sia a livello politico e sociale, le donne hanno avuto un ruolo trainante. E’ stato l’inizio di un nuovo mutamento della società.
L’intero Medio Oriente è stato sconvolto dal crollo del socialismo reale e dalle guerre del golfo. Nel Kurdistan del sud (Iraq) gli sconvolgimenti hanno creato nuove opportunità. Abdullah Öcalan si era sforzato, in questo periodo di cambiamento, di trovare nuove strade per la soluzione della questione curda. Da una parte ha fatto una valutazione autocritica sull’influenza del socialismo reale, dall’altra parte ha pensato ad alternative politiche per il Kurdistan. Dopo intense discussioni all’interno del PKK, si decise di intraprendere una nuova strada per la soluzione della questione curda. La lotta armata mostrava i suoi limiti. Diventavano necessarie nuove forme per proseguire nella lotta.
L’impatto del cambiamento strategico sulla questione curda
Nel marzo del 1993, il PKK propose alla Turchia un cessate il fuoco, che per tre mesi mise in atto unilateralmente. Fu il primo stop alle armi del PKK, e suscitò una profonda riflessione tra la popolazione in Turchia, visto che i Curdi sino a quel momento erano visti unicamente come separatisti e terroristi. Anche a livello internazionale, lo stop alle armi unilaterale da parte del PKK ebbe una buona risonanza. Il governo turco, purtroppo, lo ignorò totalmente. Il cambiamento di strategia politica contribuì in Turchia a una rinascita del sentimento nazionale curdo. Furono fondati partiti curdi, i Curdi furono eletti in parlamento e più di cento comuni vennero amministrati dai Curdi. Furono aperti canali satellitari curdi, furono fondate istituzioni politiche, sociali, accademiche e economiche e le manifestazioni, le proteste, l’attività politica favorì la politicizzazione della gente.
Tra il 1993 e il 2012, il PKK ha proclamato ben nove volte dei cessate il fuoco unilaterali, e li ha messi in atto. Le esperienze positive di queste fasi pacifiche hanno influenzato le discussioni sulla strategia di fondo del PKK, che in precedenza prevedeva il raggiungimento di un Kurdistan indipendente per via militare. Progressivamente è cresciuta l’idea di orientarsi verso gli strumenti della politica, e nel corso del suo settimo congresso, nel 2000, ufficialmente si è passati da una strategia militare ad una politica. Abdullah Öcalan ha motivato questo cambiamento con un’analisi autocritica. Una ulteriore contraddizione fondamentale consisteva nell’importanza che veniva attribuita alla guerra nel pensiero politico ed ideologico del PKK. L’uso delle armi veniva idealizzato come una prosecuzione della politica con altri mezzi, diventando quindi uno strumento strategico. Questa concezione era in evidente contraddizione con l’idea di un movimento di liberazione sociale.
Riconoscimento politico dei Curdi e democratizzazione in Medio Oriente
I Curdi, più di 40 milioni di persone, sono a livello globale il popolo più numeroso senza uno status politico e giuridico. In Turchia, Iran, Iraq e Siria, ci sono altre formazioni etniche e religiose che vogliono essere riconosciute. In ogni caso, l’intera regione medio-orientale è multietnica, multiculturale e multireligiosa. Il carattere antidemocratico di molti Stati della regione si evidenzia proprio nella negazione di questa pluralità di religioni, etnie, culture. La lotta per l’autodeterminazione curda, è, dunque, anche espressione della lotta per la democrazia, per la convivenza fra tutte le etnie, culture e religioni, senza che domini un principio gerarchico. Su questo punto, la soluzione della questione curda influenzerebbe notevolmente la situazione nei quattro Stati chiave del Medio Oriente.
Il rafforzamento della democrazia in questi quattro Stati favorirebbe la democratizzazione dell’intera regione. Una soluzione della questione curda in Turchia avrebbe ripercussioni positive anche sulle altre parti del Kurdistan (Iraq, Iran, Siria). Il movimento di liberazione curda si concentra oggi principalmente in Turchia. Ciò non significa che Iran, Iraq e Siria non abbiano importanza, al contrario. Mentre il sud (Iraq), con la costituzione del KRG, dal 2003 ha ottenuto uno status politico, e i Curdi in Siria, in Rojava, dal 2012 hanno beneficiato di una certa autonomia, lo stato delle cose nelle altre regioni è diverso. Solamente ulteriori cambiamenti in Turchia potranno essere decisivi per delle trasformazioni in Iran.
L’importanza della Turchia per la pace in Kurdistan e in Medio Oriente
La Turchia, da una parte per ragioni storiche, geostrategiche, geopolitiche ed energetiche, è un paese importante, punto di incontro e scambio tra Europa e Asia, tra Nord e Sud. La maggioranza dei Curdi, politicamente organizzati, vive in questo paese. I Curdi hanno conquistato, lottando, molti spazi nella politica e nella società. A partire dal nord del Kurdistan, la coscienza nazionale si è estesa anche ad est, sud e ovest. Dall’altra parte, la Turchia, in base alla sua appartenenza alla NATO, e come paese candidato ad entrare nell’Unione Europea, è di grande importanza nelle relazioni euroatlantiche. Questa situazione offre ai Curdi ulteriori possibilità: presentare le proprie proposte nei contesti diplomatici.
La Turchia, convinta di essere l’erede dell’Impero ottomano, vede nell’attuale periodo di cambiamenti radicali dell’area un’occasione per mettere in atto i suoi sogni neo-ottomani. La direzione politica crede di poter tutelare l’Islam sunnita non solamente a livello medio-orientale ma a livello globale. Poiché la Turchia intravede la debolezza e il vuoto politico nei vicini Stati di Iraq e Siria, cerca di destabilizzarli. A livello di politica internazionale ciò è controproducente, e alimenta la divisione curdo-araba. La politica turca nei confronti dei paesi vicini è contraddittoria. Da una parte cerca, con la cooperazione economica con il KRG, di colonizzare i Curdi in Iraq, dall’altra parte tenta di nascondere il suo atteggiamento anticurdo nel Nord.
Inoltre, cerca di fomentare lo scontro politico tra il KRG, i Curdi del Nord e i Curdi in Rojava. La continua ingerenza della Turchia nelle relazioni intracurde è un gioco pericoloso, perché la Turchia ha come obiettivo impedire l’unità politica dei Curdi, che però è d’importanza vitale per il loro futuro nel Medio Oriente. La Turchia punta a dividere i Curdi, in modo che essi non possano trarre vantaggio dagli sviluppi attuali nell’area e non possano raggiungere l’unità. Attualmente, Abdullah Öcalan insiste su un congresso nazionale curdo che miri a difendersi da questa manifesta strategia, e, allo stesso tempo, a prevenire interventi turchi o stranieri e a evitare una divisione tra i Curdi. Più il PKK e Öcalan propongono alla Turchia compromessi per una soluzione pacifica della questione curda, più diventa difficile per lo Stato turco dividere i Curdi.Per non offrire nessuna occasione ai Curdi, in questa fase di vuoto dell’attuale politica medio-orientale, lo Stato turco da una parte fa di tutto per indebolire il KRG, e dall’altra approva la guerra di gruppi terroristici come l’ISIS contro il Rojava. La Turchia, allo stesso tempo, non può più a livello internazionale continuare ad avere un atteggiamento anticurdo.
La Turchia non riesce più a convincere la NATO, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, in riferimento alla questione curda, con l’argomento della guerra al separatismo e al terrorismo. Nel Sud, il KRG gode già a livello internazionale di uno status politico; il Rojava ha non solamente suscitato, a livello globale, grandi simpatie per la resistenza a Kobane, ma ha dimostrato di aver scelto l’approccio giusto per una soluzione imboccando una “terza via” per una futura Siria democratica. L’insistenza di Abdullah Öcalan su un processo politico nel nord mette lo Stato turco nella condizione di non potersi sottrarre dal costruire una soluzione politica della questione curda. Perseverare su posizioni anticurde implica, allo stato attuale, l’enorme pericolo di un’ulteriore destabilizzazione della regione. Una parte di questo pericolo è rappresentato dallo sforzo di Ankara di avere il controllo sul petrolio e sulle risorse idriche del Kurdistan: la Turchia, in base alla sua collocazione geografica, è di importanza strategica per l’intera Europa, per il trasporto di energia dal Medio Oriente e dall’Asia.
L’approccio curdo: una soluzione concretamente praticabile che conviene a tutti
Per rendere più facile la soluzione alla questione curda, da una parte alla Turchia, dall’altra alla comunità internazionale degli Stati, i Curdi, nella formulazione delle loro richieste politiche, hanno tenuto conto degli interessi di tutte le parti in questione. La soluzione della questione curda può realizzarsi all’interno dei confini esistenti. Ciò significa che non va toccata l’integrità territoriale esistente degli Stati. L’accusa di separatismo e la minaccia della sicurezza interna non ha più senso. Chi usava questa scusa del separatismo e cercava una legittimazione in politica estera, ha perso il suo principale argomento per opporsi. La rivendicazione di democratizzazione di questi Stati e il riconoscimento politico e giuridico della pluralità delle identità religiose, etniche e culturali non contraddice affatto il diritto internazionale. Decentralizzazione e estensione delle strutture locali per un’autoamministrazione non contraddicono in nessun modo le norme giuridiche e politiche internazionali. Le proposte curde sono, pertanto, realistiche ed attuabili, premesso che anche gli Stati coinvolti siano interessati a creare stabilità nella regione, risolvendo la questione curda.
Le proposte si basano su quattro principi fondamentali: Rispetto reciproco
I Curdi vogliono sconfiggere la natura antidemocratica della Turchia, dell’Iran e della Siria. Se gli Stati in questione rispettano l’organizzazione politica locale nei territori curdi, i Curdi si sentiranno obbligati al dialogo e alla democratizzazione.
Terza via
I Curdi non abbracceranno nessun partito, o fronti o formazioni che parlano di interessi egemonici, ma faranno in modo, con tutte le parti in questione, dialogando, di creare pace e democrazia, non permettendo che la questione curda diventi uno strumento di instabilità.
Politica curda nazionale unitaria
Una politica nazionale unitaria è di vitale importanza per i Curdi, considerando i pericoli rappresentati in Kurdistan dall’azione di feroci organizzazioni terroristiche. E’ necessaria un’assemblea nazionale, da un lato per sviluppare una strategia nazionale per la difesa dei popoli nel Kurdistan, ma anche per rivolgere alla politica internazionale le rivendicazioni di tutti i Curdi, e infine per accrescere le occasioni di pace in Kurdistan.
Sostegno internazionale
Non si richiede alla politica internazionale di riconoscere i diritti legittimi dei Curdi, solamente a causa della loro corresponsabilità storica. La comunità internazionale deve dare il suo contributo, affinché la democratizzazione della Turchia, dell’Iran, dell’Iraq e della Siria venga incentivata, e affinché si creino le basi per una pace duratura nella regione.
I Curdi: protagonisti della pace
Va trovato un punto d’equilibrio giusto tra le rivendicazioni curde all’autodeterminazione e la sovranità degli Stati. E’ ineludibile il coinvolgimento degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dell’ONU. L’europa può fornire un contributo importante per la soluzione della questione curda, anche perché coltiva una politica di alleanza con la Turchia e perché in europa vivono circa 4 milione di Curdi. L’europa può contribuire alla stabilizzazione della regione, considerato che a livello internazionale è un paese politicamente ed economicamente importante. Da parte loro, i Curdi sanno ciò che vogliono. Si sono liberati, grazie a una lotta decennale, dal loro ruolo di vittime in balia di forze dell’area e mondiali, e si sono trasformati in consapevoli soggetti della politica nel Medio Oriente.