Kobane per noi
E’ il momento di chiedersi come essere Kobane, portare l’esperienza del Rojava ovunque rompendo l’assedio, mediatico e militare, che si sta attuando nei confronti di questo progetto politico.
Le milizie di difesa del popolo del YPG e del YJA Star resistono da 29 giorni all’assedio dei Jihadisti dell’Isis a Kobane, uno dei tre cantoni del Rojava. Fanno ciò disperatamente, nessuna via di fuga, nessuna retroguardia: i fondamentalisti hanno mosso l’attacco su tre fronti, mentre la frontiera che separa il cantone del Kurdistan siriano dalla Turchia è chiuso ermeticamente dall’esercito turco. Anche per i profughi in fuga dalla guerra.
I jihadisti continuano ad affluire nella zona consapevoli della portata strategica della conquista di Kobane.
Materialmente e simbolicamente le milizie di difesa del popolo del YPG e del YJA Star, vicini al PKK, sono state le uniche a battere sul campo i neri del califfato mettendone a nudo la vulnerabilità e disarticolando la strategia del terrore delle milizie di Al Bagdadi praticata a colpi di rapimenti, stupri, decapitazioni. Il tutto magistralmente condiviso tramite televisioni e web.
Il progetto politico del Rojava è del tutto antagonista a quello professato dai fondamentalisti: è fondato infatti sul costruire spazi di autonomia ed autogoverno basati su una cittadinanza aperta che supera le linee di razza, religione e sesso.
I fascisti dell’Isis sanno che il Rojava è sacrificabile dalle potenze regionali e dalla comunità internazionale. I fatti degli ultimi giorni lo dimostrano: mentre anche l’Onu tramite l’inviato Staffan de Mistura ha lanciato l’allarme genocidio se l’Isis conquisterà Kobane e la Turchia non aprirà un corridoio umanitario, gli Stati Uniti laconicamente parlano di Kobane come di una zona per loro non strategica. Ovvero: massacrateli pure.
Peggio ancora la Turchia di Erdogan che equipara il Pkk all’Isis, serra le frontiere ai rifugiati, appoggia e supporta il lavoro sporco del califfato in un progetto che è sovrapponibile con quello di Erdogan: farla finita con l’esperimento del Rojava.
I guerriglieri del Ypg e Yja assediati e con un arsenale ridotto e scarso nella loro difesa disperata tengono aperto uno spazio di vita ed un progetto politico. E’ uno spazio temporale e non se ne conosce la durata. I fascisti dell’Isis sono già penetrati dentro Kobane, ne hanno conquistato una parte ed altre milizie fondamentaliste si stanno concentrando verso la città curda.
Gli attivisti politici del kurdistan turco, della Turchia, di tutto il mondo stanno iniziando a utilizzare questo spazio lasciato aperto dai compagni curdi.
Il miglior modo per dare solidarietà a Kobane è diventare Kobane.
E’ quello che sta accadendo nelle manifestazioni ad Ankara ad Istanbul, a Dijarbakir, (dove la polizia ed i militari turchi hanno attaccato, gasato, sparato e ucciso a decine i manifestanti pro Kurdistan) a Londra, a Dusseldorf, a Milano, a Venezia dove i manifestanti chiedono l’apertura di un corridoio umanitario che permetta ai curdi di uscire dall’isolamento.
Non sappiamo quanto questo spazio rimarrà aperto, quello che sappiamo è che non possiamo limitarci a fare il tifo per loro.
Dobbiamo chiederci come essere Kobane.
Contribuire a mettere in crisi, nella materialità delle nostre pratiche politiche, l’assedio che Kobane sta subendo, non solo d’a parte dell’Isis, ma dalla comunità internazionale che la ritiene sacrificabile.
Le mobilitazioni internazionali di questi giorni hanno contribuito a spezzare il monolite su cui poggiano le relazioni di potere che indirizzano il conflitto in medioriente. Probabilmente una piccola fessura, anch’essa aperta per un tempo limitato.
Sta a tutti noi capire come tenerla aperta, farla diventare voragine, insistere sulle ambiguità, le connivenze, i silenzi, le complicità che hanno portato a pensare la comunità internazionale, quelli del mondo di sopra, che Kobane è isolata e sacrificabile.
Le proteste contro il governo turco a Milano e Venezia (dove si sono sanzionati i consolati turchi) si collocano sincronicamente nella scia delle manifestazioni in Turchia ed in Europa contro i piani del governo Erdogan di farla finita una volta per tutte con l’eresia curda e imporre la propria egemonia nella regione.
Bisogna rompere l’assedio di Kobane portandola ovunque. Assediando il governo turco ed i suoi interessi economici globali.
Imporre alla comunità internazionale la pressione politica nei confronti della Turchia e quindi di chiunque appoggi, direttamente o indirettamente i fascisti dell’Isis.
Segnalare come non solo Kobane non è sacrificabile, ma le sue retroguardie sono ovunque si trovano compagn@ che si battono contro il fascismo, che praticano autonomia, che vivono nella libertà.
Spiegare come non solo Kobane non è isolata e marginale, ma si colloca tra i livelli più profondi ed intensi della ricerca politica agita nella carne delle lotte e si interroga, come lo zapatismo, sulla relazione tra territorio, autogoverno, forme di vita e di cittadinanza.
E’ un bene comune e come tale va difeso.
Her yer Kobane, her yer direnis!
Global Project