KOBANE, la “Stalingrado Kurda”
Non è possibile non emozionarsi entrando a Kobane insieme ai compagni curdi che ci guidano in questo viaggio.
Kobane fa parte della nostra storia, della storia di ogni rivoluzionari*. I 134 giorni di resistenza (13/09/14 – 25/01/15) all’assedio delle milizie di Daesh (IS, Stato Islamico) hanno aperto gli occhi al mondo. Ora nella Siria devastata da anni di guerra non ci sono più in campo soltanto il regime di Assad, le svariate milizie islamiste (da Daesh ad Al Nusra), la Russia e gli USA e tutte le potenze regionali, ma ci sono anche loro: le Unità di difesa del popolo (YPG) e le Unità di difesa delle donne (YPJ). Unità che dall’ottobre 2015 sono confluite, insieme ad altre fazioni, nelle Forze Democratiche Siriane (SDF).
Allora anche la stampa mainstream fu “costretta” a scrivere e raccontare del ‘Confederalismo Democratico’, un progetto politico e sociale elaborato e teorizzato da Abdullah Öcalan, storico leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), da anni prigioniero della Turchia nell’isola-carcere di Imrali. Un progetto che parla di uguaglianza tra uomo e donna e di autogoverno dei cittadini, che non vuole smembrare la Siria ma creare uno stato federale dove tutte le culture/etnie possano convivere rispettando le diversità di ognuna.
Oggi Kobane è una città in pieno fermento ma che porta ancora ben visibili i segni del lungo assedio. Intere zone della città sono un campo di macerie in cui “convivono” da una parte palazzi abbattuti dai bombardamenti, mezzi militari arrugginiti abbandonati da Daesh e dall’altra le case ricostruite, dove possibile, delle famiglie rientrate.
Affianco alle zone distrutte vediamo quindi una nuova Kobane che sta nascendo, con decine di palazzi che la Self Administration del cantone (l’auto-governo locale) sta costruendo per chi ha perso l’abitazione o per le centinaia di famiglie delle/dei combattenti morti nella guerra siriana.
Nella sede della Self Administration, costituitasi nel 2013, veniamo accolti dalla rappresentante del Desteya Jin (Consiglio delle donne) che ci racconta brevemente la situazione di Kobane.
“A più di 3 anni dalla liberazione della città, i 3/4 della popolazione sono rientrati e molte altre famiglie stanno aspettando che la Turchia riapra il confine per poter fare lo stesso.
La Self Administration, con la collaborazione di molti cittadini – in seguito ci verrà detto che il 50% dei cittadini collabora nelle nuove istituzioni – ha avviato un grande percorso di ricostruzione della città, sia per quanto riguarda gli immobili pubblici che le abitazioni private.
Subito dopo la liberazione in centinaia ci hanno scritto e sono venuti a trovarci per proporci progetti per lo sviluppo. Delegazione dopo delegazione abbiamo accolto tutti, però siamo un po’ delusi dalla solidarietà internazionale: molte promesse non sono state mantenute, pochi ci hanno dato una mano veramente. Diverse organizzazioni sono venute qui sull’onda della grande resistenza, hanno concordato un progetto di collaborazione con noi, hanno fatto delle foto e poi sono sparite nel nulla.
Oggi invece, a causa dell’invasione di Afrin, stiamo affrontando un’altra emergenza: centinaia di persone sono venute a Kobane a cercare rifugio e noi, nonostante le nostre disponibilità economiche siano limitate, abbiamo accolto a braccia aperte i fratelli e le sorelle scappati dagli orrori della guerra.”
Inizia così la nostra giornata a Kobane, una città che con la sua resistenza ha aperto una speranza in un medio-oriente martoriato dalle guerre.