Kobane ha ancora bisogno di aiuti. La Turchia blocca la ricostruzione

Silvia Conca fa parte della Commissione nazionale dei Giovani comunisti. E’ appena tornata dalla missione degli Osservatori internazionali per il Newroz nel Kurdistan turco. L’occidente, archiviata la vicenda di Kobane, sembra essere tornato distante anni luce rispetto alla vicenda del Kurdistan…

La missione degli osservatori si svolge da molti anni. Quest’anno ha assunto una caratterizzazione molto particolare per la situazione che sta vivendo il popolo curdo, e per l’attenzione internazionale che ha suscitato. La missione si pone storicamente l’obiettivo di affiancare i Curdi in Turchia nei giorni del Newroz (correzione da uikionlus.com), ovvero il periodo di festività che apre il loro calendario. Sono gli unici giorni in cui possono esprimere questa loro cultura che viene fortemente repressa dallo Stato centralista turco. Spesso, nel corso di queste inizitive, che sono una via di mezzo tra la manifestazione politica e quella rituale-culturale, c’è una forte repressione militare e poliziesca.

Da qui la necessità di una presenza internazionale, che cerca di limitare la pressione. Quest’anno c’è stata una particolare attenzione per la presenza dei profughi che arrivano dalle violenze dell’Isis in Siria e in Iraq, alle quali il popolo Curdo sta rispondendo con una resistenza valorosa, che ci chiama tutti al sostegno.

Kobane non esiste praticamente più e l’opera di ricostruzione è comunque ostacolata…
Kobane è un cumulo di macerie. Noi l’abbiamo potuta vedere solo dal confine a poche centinaia di metri, quindi ad occhio nudo. Kobane non esiste più, eppure sta rinascendo perché i profughi stanno tornando dalla Turchia, pur essendo sottoposti all’abitrarietà dei controlli del governo turco al confine. E, pur non avendo i materiali per la ricostruzione che vengono bloccati alle dogane, comunque stanno tornando alla vita normale, se così possiamo dire. I Curdi hanno al Sud il fronte dell’Isis e a Nord la Turchia. L’urgenza è quella di aprire un corridoio umanitario. E questo non sta avvenendo. Mentre nei giorni dell’emergenza i profughi anche per le pressioni del poplo Curdo che vive in Turchia riuscivano a passare, dopo la liberazione di Kobane il confine è chiuso. E questo nonostante gli stessi amministratori locali chiedano da mesi l’apertura di un corridoio umanitario.

Che idea ti sei fatta sul ruolo della Turchia?
Varie testimonianza dei responsabili dei centri amministrativi e delle varie associazioni umanitarie ci parlano di una sostanziale collaborazione dei militari turchi con l’Isis. Durante i giorni dei combattimenti, ci sono anche dei video su Youtube che lo testimoniano, i miliziani dell’Isis e i militari turchi di guardia al confine hanno avuto molti momenti di convivialità comune. Si parla anche di ambulanze che passavano il confine per portare i miliziani dell’Isis nell’ospedale turco a poca distanza. E si parla addirittura di un reparto con 500 posti riservato ai miliziani stessi. Questo mostra chiaramente una sostanziale collaborazione. Addirittura l’Isis sconfinava per bombardare Kobane dal minareto di un villaggio che si affaccia in territorio Turco davanti a Kobane. E poi il dato politico di un sostanziale immobilismo è evidente a tutti.

Quindi la solidrietà internazionale può giocare un ruolo determinante.
Serve un intervento programmato, e non un “una tantum”, in accordo con i Curdi e senza partire in quarta perché si rischia di fallire l’obiettivo. C’è il problema della ricostruzione da un lato e, dall’altro lato, c’è la condizione in cui versano i profughi di altre zone che hanno subito l’attacco dell’Isis. Penso per esempio agli Yezidi che vivevano a Shengal, quindi nel Kurdistan iracheno che sono tuttora nei campi profughi. Tuttatvia va fatto ancora molto per migliorare la loro condizione. Dobbiamo cercare, oltre a Kobane, di rendere visibile la situazioni di tante altre zone dove sorgono campi profughi e che hano bisogno di tutto.

Le guerrigliere di Kobane sono state da una parte mitizzate e dall’altra archiviate come una delle tante immagini-copertina…
Non sono ragazze-immagine, ovvio. Noi che siamo andati lì come osservatorio non possiamo non provare un certo fastidio verso il media system occidentale che le ha presentate addirittura come l’arma dei Curdi per spaventare l’Isis. Penso che il valore che sono riucite a creare sia in realtà un effetto di decenni di elaborazione politica. Da molto tempo i partiti Curdi e le varie organizzazioni in cui è strutturata la loro comunità mettono al centro l’autodeterminazione della donna, non solo con un sistema che noi chiameremmo di quote, anzi di partità di genere, ma con una rete che mette la donna al centro della costruzione di una società futura basata sulla giustizia e sull’uguaglianza. Loro non definiscono femminismo tutto questo, ma hanno una loro visione che serve a strutturare un contributo fattivo alla costruzione del federalismo democratico.

Controlacrisi