KOBANE, dopo la liberazione è ancora emergenza
di Ivan Compasso- Edifici e infrastrutture distrutti, niente acqua potabile ed elettricità, ordigni esplosivi nascosti nelle case. Nel Rojava e nella città siriana simbolo della resistenza curda contro lo Stato Islamico l’emergenza non è finita e il ritorno a casa degli sfollati è ancora lontano
Ordigni nelle abitazioni e falde acquifere inquinate. Se lo Stato Islamico è stato scacciato dalla provincia di Kobane e nel cantone del Rojava ogni giorno si aggiunge un villaggio liberato, i problemi non sono risolti e, anche nella città divenuta simbolo della resistenza al Califfato, l’emergenza non è finita.
Secondo l’UNHCR, dal settembre del 2014 il numero degli sfollati è cresciuto fino a duecentomila. Solo per venticinquemila di questi c’è stata l’opportunità di tornare a casa. Nella città di Kobane sono stati colpiti, danneggiati o distrutti quasi 3250 tra edifici pubblici, privati e infrastrutture. Ai danni ingenti si aggiungono altri seri problemi. La città e i villaggi attorno ad essa per rifornirsi di acqua ed elettricità sono sempre dipese da centri vicini come Mimbej, Sirrim e Sheklar. Questi negli ultimi due anni sono stati in mano a IS che ha messo in atto una strategia tesa a distruggerne gli impianti. Così Kobane è rimasta senza acqua potabile e senza elettricità e lo è ancora oggi. La cosa preoccupa molto per l’alto rischio igienico sanitario.
Una città senz’acqua, con sistemi fognari e depuratori fuori uso è esposta a seri rischi. Durante questi ultimi mesi anche i pozzi che erano stati scavati per sopperire a questa mancanza sono stati inquinati volutamente, quasi quelli di IS fossero consapevoli essere ormai vicini alla resa. Nelle case dei villaggi liberati da YPJ e YPG da febbraio, più di 250 a questo punto, sono stati poi rinvenuti ordigni esplosivi. Talvolta nascosti nei divani, altre nelle camere da letto o nelle cucine, con l’obiettivo di mietere più vittime possibile tra i civili. Ci sono stati morti e feriti per questo anche dopo che IS è stato cacciato e si è ritirato. Non si può quindi che procedere con l’individuazione di queste vere e proprie trappole per renderle innocue. Ogni qualvolta si libera un villaggio è la prima operazione che va fatta, quella di mettere in sicurezza il più possibile il territorio. Le milizie curde non sono però dotate degli strumenti adatti per questo tipo di lavoro. Ci sono poi altri ordigni inesplosi e mortai che sono il naturale lascito degli scontri, cui pure bisogna pensare. Quindi ci vorrà ancora tempo per ultimare questo tipo di operazioni.
Così, mentre si tolgono i drappi neri dai palazzi e dalle moschee, si fa i conti con i danni e con quel che c’è da fare per ricominciare una vita vera. Alla fine di gennaio, immediatamente dopo la liberazione, si è costituito il KRB, comitato per la ricostruzione del Cantone di Kobane, che deve valutare e decidere come intervenire e a quali interventi dare priorità. Ora, in pieno Newroz, di certo c’è da festeggiare la ritirata del nemico che qui ha davvero seminato morte e distruzione ma le condizioni di una qualsivoglia normalità sono davvero ancora lontane.
Mancano ospedali, scuole e attività commerciali. Anche le fabbriche e i luoghi dove si trovavano gli impianti per molitura e lavorazione del grano sono stati distrutti. Quest’ultimo è un danno particolarmente significativo perché è proprio in questa regione, il Rojava, che veniva prodotto il settanta per cento del cereale siriano. Alimento alla base dell’alimentazione, non solo della gente di qui.
Se nel mese di Gennaio l’azione congiunta dei bombardamenti americani e l’azione di terra di YPJ e YPG sono stati decisivi, oggi tocca a questi ultimi, in alcuni casi con la collaborazione dell’ESL (Esercito Liberazione Siriano), scontrarsi villaggio dopo villaggio per cacciare gli uomini del Califfato. La strada per fare in modo che la maggior parte degli sfollati faccia ritorno nelle loro case è ancora lunga. Il Primo Ministro del Cantone di Kobane, Enwer Muslim si chiede “Come mai il mondo ha festeggiato la liberazione di Kobane, addirittura indicandola come esempio di vittoria dell’umanità alle barbarie e ora nessuno ci aiuta? Perché non si è ancora in grado di garantire un corridoio umanitario con la Turchia?”. La maggior parte degli sfollati vive li, nei campi profughi lungo il confine, ancora oggi.
Nena News 21 marzo 2015