KHRN: Saman Naseem, prigioniero politico curdo in Iran, sarà sottoposto a dei test per valutarne la salute mentale e lo stato di maturità

Saman Naseem, prigioniero politico curdo che era minorenne quando fu arrestato qualche anno fa, è stato informato dal 12° ramo della Corte di Urmia che il suo stato di salute mentale e di maturità al tempo del reato sarà riesaminato e i risultati saranno inviati a un tribunale nelle prossime due settimane.
 
Una fonte attendibile ha rivelato al Kurdistan Human Rights Network (KHRN) che Naseem è stato convocato presso l’ufficio che si occupa di rendere esecutive le sentenze, nella prigione centrale di Urmia, e che gli è stato notificato che sarà riesaminato il suo stato di salute mentale e di maturità al tempo in cui commise il reato.
Gli è stato detto che il tribunale riceverà i risultati nelle prossime due settimane.

Naseem ha già affrontato simili esami l’anno passato. La fonte rivela che tre persone lo hanno sempre accompagnato durante questi test.

Il Giudice Arab Baghi, a capo del 12° braccio della Corte Criminale di Urmia, aveva richiesto un riesame delle condizioni psicologiche al tempo dell’arresto, per determinare se Naseem fosse consapevole o meno di aver commesso il reato per il quale fu arrestato ancora adolescente e da allora detenuto.

“Tre dottori di una squadra forense avevano preso una decisione il 2 giugno, ma il giudice non l’ha accettata e ha sottoposto il caso al riesame da parte di cinque medici giudiziari.”

La fonte ha aggiunto che, negli ultimi anni recenti, l’imminente minaccia della pena di morte per Naseem ha causato reazioni internazionali

Il ragazzo ha sofferto di traumi psicologici, dovuti alle pesanti torture subite durante l’arresto e all’incertezza sulla propria sorte, allorché veniva condotto nel braccio della morte e preparato per l’esecuzione nel febbraio 2015.

Naseem, nato il 20 settembre 1993, viene dalla città di Marīvān.

I pasdaran lo avevano arrestato quando aveva solo 17 anni, il 18 luglio 2011, nella città di confine di Serdesht.
Il ragazzo ha reso note le proprie condizioni in una lettera pubblicata nel febbraio 2015.

Nella sua lettera diceva che il suo arresto iniziale “ha significato 97 giorni di torture e sofferenze. Durante questo periodo, sono stato torturato ogni giorno con qualunque cosa. Nei primi giorni, le torture erano così brutali che non ero in grado di camminare. Tutto il mio corpo era nero e blu. Mi appendevano a testa in giù con le braccia e le gambe legate al soffitto per parecchie ore. Durante gli interrogatori, ero sempre bendato e non riuscivo a vedere i miei torturatori. Hanno usato tutti i metodi più inumani e illegali per ottenere da me una confessione. Ripetevano continuamente che avrebbero arrestato i miei familiari, compresi i miei genitori e mio fratello. Dicevano anche che mi avrebbero seppellito come avevano fatto coi miei compagni. Mi dicevano che mi avrebbero ucciso lì sul posto [in cui veniva torturato] e che avrebbero gettato del cemento sulla mia tomba.”

Riguardo alla propria condanna a morte, ha scritto: “In realtà, sono stato condannato a morte in base a una ‘confessione’ che [loro stessi] avevano scritto. Dopo aver ricevuto una sentenza di condanna a morte dalla Corte di Mahabad il 16 febbraio 2013, sono stato trasferito alla prigione centrale di Urmia, dove ho dovuto subire, ancora una volta, brutalità e intimidazioni.

La Corte Suprema ha confermato la mia condanna a morte dopo due anni. La possibilità di un riesame è incerta e potrei essere giustiziato in qualunque momento, data che la mia è stata una condanna definitiva.”

Nel dicembre 2013, la Corte Suprema ha confermato la pena capitale e l’avvocato di Naseem è stato informato che la condanna sarebbe stata eseguita il 19 febbraio 2015.

Il 17 febbraio 2015, Naseem e cinque altri prigionieri del braccio della morte – Yunes Aghayan, Habib e Ali Afshari ed Ebrahim Issapour – imprigionati insieme a Urmia, sono stati separati e trasferiti in diverse strutture carcerarie.

Afshari e Habib sono stati condotti alla prigione di Qazvin, Naseem e Aghayan sono stati portati a quella di Zanjan, mentre Nejawi e Issapour alla prigione centrale di Tabriz.

Dalla prigione di Zanjan, Naseem e Aghayan sono stati condotti a un centro di detenzione dell’agenzia di intelligence iraniana e detenuti in celle di isolamento solitarie.

Gli è stato negato ogni diritto di comunicare con i loro familiari per 120 giorni.

I parenti non erano al corrente né del loro destino né di dove si trovassero.

I pubblici ufficiali dicevano che entrambi potevano essere messi a morte da un momento all’altro.

Naseem, in diverse occasioni, aveva chiesto di essere giustiziato il prima possibile, per porre termine all’incubo senza fine che non gli permetteva di sopportare oltre i maltrattamenti nella cella di isolamento, l’incertezza sul proprio destino e la negazione del diritto di comunicare con la famiglia.

Dopo questo periodo, durato quattro mesi, Naseem fu riportato alla prigione di Zanjan.

L’11 luglio 2015, cinque mesi dopo essere sparito nelle mani delle autorità iraniane nella più assoluta segretezza, gli è stato concesso di chiamare la famiglia per informarla di essere detenuto alla prigione di Zanjan.

Il 19 settembre 2015 è stato trasferito alla prigione di Urmia, dov’è imprigionato tuttora.