Il Nobel per la pace alla yazida Nadia Murad
Insieme al ginecologo congolese Mukwege, la giovane è stata premiata per la lotta allo stupro come arma di guerra. Ex schiava dell’Isis dopo l’occupazione di Sinjar, è da anni il volto del suo popolo e del genocidio che ha subito
Nadia Murad
Il premio Nobel per la Pace 2018 è stato assegnato questa mattina a Nadia Murad e Denis Mukwege, giovane yazida ex schiava dell’Isis in Iraq la prima e ginecologo congolese il secondo, per il loro impegno contro l’utilizzo dello stupro e della violenza sessuale come arma di guerra.
Nadia è da anni il volto del genocidio subito dal popolo yazidi in Iraq per mano dello Stato Islamico. Una volta liberatasi dalla schiavitù, è divenuta la voce delle donne, i bambini e gli uomini yazidi uccisi e seviziati dall’Isis negli anni dell’occupazione dell’ovest dell’Iraq. Ha parlato ai parlamenti occidentali, all’Onu e all’Europarlamento che le ha assegnato il premio Sakharov per la libertà di espressione nel 2016 insieme a Lamia Bashar, un’altra giovane yazidi scappata dalla prigionia. Dal settembre 2016 Murad è ambasciatrice dell’Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta.
La sua storia è la storia di migliaia di donne, adolescenti e bambini yazidi, fatti prigionieri nell’agosto 2014 dopo l’assedio brutale della loro terra, Sinjar. Dopo la fuga dei peshmerga del Kurdistan iracheno, lo Stato Islamico è entrato nei villaggi, ha ucciso almeno 3mila uomini e reso schiave 6mila donne, mentre migliaia di yazidi trovavano rifugio nel monte Sinjar. Completamente assediato dallo Stato Islamico, nella caldissima estate irachena, il monte si è trasformato in una trappola fino alla liberazione: senza cibo né acqua, gli yazidi fuggiti sono stati portati in salvo dall’intervento delle unità curde siriane delle Ypg e del Pkk.
Solo nel 2015 Sinjar è stata liberata dal giogo islamista. I sopravvissuti, tornati dai campi profughi del Kurdistan iracheno, hanno trovato solo macerie e innumerevoli fosse comuni. Ma il genocidio non si arresta: sarebbero anche migliaia le donne prigioniere dello Stato Islamico.
Nei suoi anni da ambasciatrice del suo popolo, Nadia Murad ha raccontato la schiavitù. Rapita il 3 agosto 2014, nel villaggio di Kocho a Sinjar, è stata venduta come schiava sessuale dagli uomini dell’Isis a Mosul, passando di mando in mano, sottoposta a continui stupri e abusi. Nel novembre 2014 è riuscita a fuggire grazie all’aiuto di una famiglia irachena.
Al mondo Nadia chiede da anni di intervenire, davvero. Se nel 2014 il dramma yazidi fu la giustificazione dell’allora amministrazione Obama per lanciare i primi raid aerei in Iraq contro lo Stato Islamico, non è seguita alcuna azione concreta per la loro tutela. Nessuna protezione internazionale. L’unico sostegno concreto è arrivato prima nei campi profughi in Kurdistan iracheno da parte di organizzazioni umanitarie, e poi dalle unità curde legate al Pkk che hanno attivamente partecipato alla liberazione di Sinjar e ispirato la formazione di unità di difesa yazidi nel territorio nord-ovest iracheno.
Nena News (Foto: Rtr)