IL MANDELA CURDO PRATICAMENTE DESAPARECIDO: FINO A QUANDO?
E’ probabile che lo Stato turco abbia ripetutamente cercato di strumentalizzare, attraverso l’isolamento, le minacce, la tortura (senza escludere, almeno inizialmente, esperimenti di narcoanalisi) il leader curdo Abdullah Ocalan.
Ma finora gli è andata male. Consapevoli che “nessuno può vincere questa guerra in maniera definitiva” Ocalan e il popolo curdo hanno ripetutamente mostrato al mondo di saper affrontare sia lo scontro frontale contro i ricorrenti tentativi di assimilazione e/o genocidio, sia il terreno delle trattative e offerte di pace con ripetute tregue unilaterali (rimaste però senza adeguata risposta in quanto Ankara si è sempre mostrata sorda al dialogo o ingannevole quando fingeva disponibilità).
Ocalan rimane una delle poche figure autenticamente autorevoli di questa epoca. Un leader capace di fornire risposte e soluzioni umanamente degne alla grave situazione in cui versano non solo i Curdi, ma tante popolazioni del Medio Oriente, attanagliate dalla guerra e dalle persecuzioni.
Il suo progetto di Confederalismo democratico appare in grado di alimentare una visione del mondo fondata sui Diritti umani, sulla pari dignità tra donne e uomini, sulla convivenza e sul rispetto autentico della vita in tutte le sue manifestazioni naturali. Così come stanno già mettendo in pratica gli abitanti del Rojava, eredi di una resistenza secolare fondata sulla reciproca solidarietà, sulla sostanziale coesione interna di questo valoroso popolo montanaro (nonostante sia periodicamente sottoposto al divide et impera di stati e potenze imperialiste). Un popolo capace sia di sopravvivere conservando la propria lingua, cultura e identità contro ogni tentativo di annichilimento e di assimilazione, sia di proiettarsi nel futuro elaborando un progetto sociale tra i più democraticamente avanzati nel panorama planetario attuale. Una fonte di speranza che illumina, anche se ancora troppo debolmente, le tenebre di un mondo fondato sull’oppressione.
Rugiada fresca per un pianeta assetato e sofferente.
Anche limitandoci a ripercorrere soltanto gli ultimi anni, si comprende come il cammino sia stato difficile, tortuoso, ma sostanzialmente gestito in maniera esemplare dai curdi i quali (diversamente dallo Stato turco) non hanno mai abbandonato la prospettiva di una soluzione politica del conflitto.
Nel marzo del 2013 una folla immensa aveva accolto con trepidazione in un parco di Diyarbakir le parole, lette da due parlamentari curdi, di Ocalan. Nella sua lettera dal carcere, il leader curdo imprigionato aveva profetizzato il possibile inizio di “una nuova era”. Dopo la fase della resistenza armata ora poteva aprirsi “una porta sul processo democratico”. Finalmente avrebbero potuto “tacere le armi e far parlare le idee”. Non la fine, precisava “ma un nuovo inizio”.
Ovviamente questo avrebbe implicato l’avvio di negoziati e impegni di analoga portata dalla controparte. Toccava ora al governo turco compiere il passo successivo e adottare provvedimenti in grado di garantire i diritti dei curdi (come quello di poter usare la propria lingua nei luoghi pubblici), la progressiva liberazione dei prigionieri politici e la possibilità di reinserimento nella società civile per i combattenti e per gli esuli.
Ma Erdogan non ha saputo (e nemmeno voluto, presumibilmente) compiere un gesto coraggioso, in grado di porre fine alla guerra tra stato turco e popolazione curda.
Ancora nel settembre dell’anno scorso Ocalan aveva affidato al fratello Mehmet (nell’ultima occasione in cui gli fu consentito di incontrare un familiare) un messaggio significativo: “Se lo Stato è pronto, possiamo risolvere questo problema in sei mesi”. Evidentemente i progetti di Erdogan, dopo oltre un anno di bombardamenti e coprifuoco totale sulle città e i villaggi curdi, erano ancora altri. Ai tentativi curdi di applicare il progetto di autonomia democratica, Ankara aveva risposto mettendo a ferro e fuoco Cizre, Silopi, Sur, Nusaybin, Hakkari…
L’ennesimo crimine per annientare ogni focolaio di rivendicazione curda.
Il noto e maldestro tentativo di golpe aveva fornito a Erdogan il pretesto ideale per liberarsi di ogni voce dissidente o solamente critica. E anche nei territori del sud-est dove il partito Hdp aveva conquistato l’80% dei voti, lo stato turco stava già sostituendo i sindaci regolarmente eletti, con uomini di sua fiducia e contemporaneamente licenziando insegnanti (in questo caso accusandoli non tanto di coinvolgimento nel golpe, ma classicamente di aderenza al Pkk).
Da allora la situazione è andata deteriorandosi ulteriormente e in particolare quella di Ocalan appare molto seria, preoccupante.
Praticamente su di lui non si hanno più notizie dalla fine dell’anno scorso, quando appunto gli fu consentito di incontrare il fratello. Non si conosce quali siano attualmente le sue condizioni di salute e nemmeno se si trovi ancora rinchiuso a Imrali.
Da più parti si sono levate richieste di intervento nei confronti del Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT), unico soggetto legittimato a richiedere di poterlo incontrare nel carcere dove, almeno presumibilmente, è ancora rinchiuso da ormai 19 anni. A tale scopo alla fine di ottobre centinaia di persone si sono nuovamente radunate per un altro sit-in davanti alle sedi del CPT e al Consiglio d’Europa (CE) chiedendo urgentemente una visita al prigioniero politico curdo.
Contemporaneamente alle manifestazioni davanti a CPT e CE, un comitato formato da parlamentari europei si incontrava con Michael Neurauter della segreteria del CPT. Una serie di precise domande per fare chiarezza in merito all’attuale situazione di Ocalan era stato presentata da un Comitato costituito da Julie Ward (parlamentare europea socialista britannica), Francis Wurtz (ex capogruppo di Sinistra Europea) e Faik Yagizay (rappresentante di Hdp presso il Consiglio d’Europa).
Sia Julie Ward che Francis Wurtz si trovavano tra i componenti di una delegazione che ancora in febbraio si era recata in Turchia per visitare Imrali, ma – hanno spiegato – dai funzionari turchi il permesso per visitare la prigione non era stato loro concesso. Aggiungendo che “da allora la situazione in Turchia è peggiorata” e sottolineando come dal settembre dell’anno scorso a Ocalan non sia più stata concessa una sola visita dei suoi familiari. Cosa ancor più grave: da allora non solo ai familiari e alle delegazioni, ma anche agli avvocati viene impedito di visitare il loro assistito.
In realtà, hanno ammesso “non sanno cosa stia accadendo a Imrali”. Non sono in grado di fornire dati precisi sulla salute del “Mandela curdo” e nemmeno se si trovi ancora in quella prigione.
Hanno comunque potuto prendere atto di quanto estesa sia la preoccupazione per la sorte del prigioniero tra la popolazione curda.
Per tali ragioni, lo stesso comitato aveva inviato una lettera al CPT.
Successivamente dagli esponenti del CPT, unica istituzione autorizzata a compiere una visita ai prigionieri, è venuta la conferma di aver preso atto di tali richieste, di stare monitorando la situazione e di essere comunque “in contatto con le autorità turche” per quanto riguarda la situazione di Ocalan. Ma senza aver fornito altri particolari in quanto (come previsto dal documento fondativo del CPT) per rendere pubbliche le informazioni in loro possesso necessitano dell’autorizzazione della Turchia. Ricordo che questo regolamento vale anche per quanto dovesse emergere nel corso di una visita, perfino qualora venissero rilevati segni di maltrattamenti.
Da parte curda va registrata una dichiarazione di Remzi Kartal, co-presidente del Kongra-Gel con cui, oltre a criticare la mancanza di risposte concrete da parte del CPT, ha ribadito che “le manifestazioni continueranno fino a quando una delegazione incontrerà Ocalan” e ne fornirà prove concrete.
Restiamo quindi in vigile attesa.
Gianni Sartori