Gendarmeria turca a Vicenza, per fare che?
Ormai da decenni il Veneto in generale e Vicenza in particolare forniscono lo scenario ottimale per esercitazioni militari e repressive: un grande laboratorio a cielo aperto. Già negli anni ’90 si ipotizzava la presenza di soldati turchi (in particolare piloti), magari proprio in coincidenza con fasi di recrudescenza repressiva nei confronti dell’opposizione popolare e di quella curda in particolare.
Agli occhi attenti e vigili dei Centri Sociali del Nord Est non è passata inosservata la presenza di militari turchi – ufficialmente in qualità di «osservatori» – ai tre giorni di «addestramento sui flussi migratori» presso la sede della Gendarmeria europea. Un segnale quantomeno preoccupante nei giorni in cui l’esercito e l’aviazione di Ankara stanno massacrando civili inermi nel cantone curdo di Afrin nel nord della Siria. Così come due anni fa avevano fatto terra bruciata delle città curde del Bakur (la regione curda sottoposta all’amministrazione turca) collezionando una lunga lista di violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione.
Questo il comunicato diffuso in serata in merito all’iniziativa
#DEFENDAFRIN dei Centri Sociali del Nord Est e dell’Associazione Ya Basta:
«La Jendarma Turca, responsabile di uccisioni indiscriminate, torture e rappresaglie contro i civili nel Kurdistan Bakur è tra gli osservatori internazionali della Gendarmeria Europea (Vicenza, Caserma Chinottto) dove oggi – 26 gennaio 2018 (nda) – termina una tre giorni di addestramento sui contenimenti dei flussi migratori. Un centinaio di attivisti dei centri sociali del nord-est e di Ya Basta Edi Bese hanno, questa sera, sanzionato dal basso la sede della Gendarmeria Europea. Nel giorno dell’anniversario della liberazione di Kobane si è voluta manifestare la nostra solidarietà attiva con il Kurdistan che resiste! Defend Afrin! Erdogan Terrorist!».
Fra i precedenti, va ricordata l’inquietante voce che nel gennaio 1997 circolava insistentemente nella caserma Ederle di Vicenza (Nato). Si parlava della tragica morte di un pilota turco autore di qualche piccolo furto all’interno della caserma stessa, poco prima di Natale. Colto sul fatto, era stato immediatamente rispedito in Turchia e qui sarebbe stato addirittura fucilato. Anche se non risulta una conferma ufficiale, la vicenda comunque forniva un’ulteriore testimonianza sulle violazioni dei diritti umani da parte della Turchia. Ma stavolta c’è di più. Indirettamente conferma quanto si sospetta da tempo: nelle basi Nato in territorio italiano – da Ghedi all’aeroporto “Dal Molin” – i piloti turchi prendono lezioni sull’uso di velivoli, in particolare di elicotteri dello stesso tipo (ad esempio gli Apaches) di quelli utilizzati nel Kurdistan “turco” (Bakur) per distruggere villaggi e accampamenti curdi.
Per analogia va ricordato un altro episodio, risalente a una decina di anni prima, anche se in questo caso si trattava di militari iracheni e non turchi. Lo spettacolare incidente mortale di Fongara – nell’Alto Vicentino presso Recoaro – portò a conoscenza dell’opinione pubblica il fatto che i piloti iracheni, all’epoca impegnati nella guerra con l’Iran (ma anche costantemente contro i curdi) si addestravano in Italia con il supporto logistico delle basi Nato. L’elicottero in questione finì contro la parete di una montagna a causa della nebbia e l’intero equipaggio, tutti militari iracheni, perì nell’incidente. Allora si disse che erano diretti in qualche fabbrica di elicotteri nel “nord-ovest” per installare nuovi marchingegni elettronici e impratichirsi nell’uso. Erano arrivati dall’Iraq facendo tappa nelle varie basi Nato dislocate lungo il percorso. Nel 1997, “grazie” all’incauto pilota e alla severità dell’esercito turco, diventava lecito sospettare che sui velivoli Apache e Shinook (quelli che all’epoca sorvolavano quasi quotidianamente anche il quartiere di San Pio X) si stessero esercitando i piloti che poi avrebbero bombato le popolazioni curde.
Dalla spettacolare denuncia operata – ieri 26 gennaio – dai militanti dei Centri sociali emerge una considerazione: il fatto che la Turchia sia legata da una formale alleanza militare all’Italia e agli altri Paesi della Nato non può costituire un alibi per tollerare complicità e connivenza con l’attuale politica repressiva (e nei confronti dei curdi anche genocida) del regime di Erdogan.
di Gianni Sartori