Diario dal Kurdistan, il giorno del Newroz
Venerdì due sanguinosi attentati dell’ISIS alle celebrazioni del Newroz hanno ucciso circa quaranta persone nel cantone siriano di Cezire. La delegazione ieri ha visitato Suruc, al confine con la Siria
Giornata complessa, quella del 21 marzo. Il 20 marzo due sanguinosi attentati dell’ISIS alle celebrazioni del Newroz hanno ucciso circa quaranta persone nel cantone siriano di Cezire (a quanto pare questo attentato non ha però attirato l’interesse dei media internazionali) e i festeggiamenti sono stati annullati: lo stato islamico ha scelto di colpire proprio nei luoghi e nelle occasioni di più alto valore simbolico, e c’è preoccupazione per le feste previste per oggi, fra cui il Newroz di Kobane.
Ognuno di noi ha il suo motivo per voler toccare con mano le macerie di questa che fino a pochi mesi fa era una anonima piccola città nata lungo la vecchia ferrovia
Se il tempo scorre sempre nello stesso verso e alla stessa velocità, ci sono luoghi in cui la Storia sembra invece addensarsi come fa la materia nello spazio, e quindi attrarre come per forza di gravità. Kobane è uno di questi luoghi, ognuno di noi ha il suo motivo per voler toccare con mano le macerie di questa che fino a pochi mesi fa era una anonima, scialba, piccola città nata lungo la vecchia ferrovia.
Non c’è un vero e proprio posto di frontiera, dall’altra parte le autorità siriane non ci sono più dal 2012. Sono i turchi a regolare il passaggio in entrambi i sensi: prima si chiede l’autorizzazione in prefettura, poi si va al confine e si aspetta la decisione dei militari, aleatoria e arbitraria nell’esito e nei tempi. Sappiamo già che è impossibile che tutto il gruppo venga autorizzato, e abbiamo perciò individuato una delegazione ristretta che andrà a nome di tutti.
La vista di Kobane con gli scheletri delle sue case è affidata agli zoom delle macchine fotografiche che superano i prati
Oggi però non si passa, l’attentato di ieri complica ulteriormente le cose, sotto il diluvio i militari ci rimandano indietro senza neanche farci scendere dall’autobus. La vista di Kobane con gli scheletri delle sue case è affidata agli zoom delle macchine fotografiche che superano i prati: vediamo la brulla collina di Mishtenur con il suo pennone, dove sventolava la bandiera nera nei giorni dell’assedio e dove le forze kurde srotolarono un enorme tricolore a celebrare la vittoria.
Tornando indietro facciamo tappa a uno dei campi profughi di Suruc. Alcuni posti sono già vuoti: le tende vengono portate man mano al di là del confine per accogliere chi torna a casa e si prepara a ricostruire la città. Arrivati al centro culturale di Suruc, decidiamo di volgere in positivo la giornata: il vero problema della chiusura della frontiera non è che noi non abbiamo potuto festeggiare il Newroz nella città simbolo della vittoria della resistenza sulla barbarie, ma che il confine è chiuso per gli aiuti umanitari, gli operatori sanitari, i profughi che vogliono ritornare.
Sfrutteremo la nostra testimonianza per denunciare la situazione alle autorità nazionali e internazionali e all’opinione pubblica: in breve prepariamo un comunicato con cui evidenziamo la necessità di un corridoio umanitario permanente e sicuro.
Nel frattempo un altro gruppo è partito per Diyarbakir (in kurdo Amed, la capitale de facto del Kurdistan), dove per il Newroz si attendono circa due milioni di persone. In questa occasione viene letto l’atteso messaggio di Ocalan dall’isola-carcere di Imrali, in cui è l’unico detenuto: dopo il cessate il fuoco, Ocalan propone che si tenga un nuovo congresso del PKK per adeguarsi ai tempi mutati, ovvero la rinuncia alla lotta armata contro lo Stato turco. Dopo quarant’anni, lasciare le armi può essere una scelta tanto coraggiosa quanto lo fu prenderle.
Quasi a festeggiare l’annuncio e a ripagarci delle difficoltà odierne, incrociamo un matrimonio che si trasforma presto in un altro piccolo Newroz.
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