Delegazione di Urfa 3
Anche oggi siamo stati a Şanliurfa, dedicando la giornata al confronto con le realtà associazionistiche e politiche locali.
In mattinata abbiamo incontrato la presidente dell’associazione per i diritti umani, nata nell’88 grazie all’opera di otto volontari, due dei quali sono stati vittime del terrorismo di stato turco, che al momento conta novemila iscritti e trenta sedi.
L’associazione si occupa non solo dell’annosa questione della repressione politica subita dai curdi (basti pensare che negli anni 1990-1994 ci sono state 300 vittime solo a Şanliurfa), ma anche di donne, bambini e rifugiati, cercando di dare un aiuto concreto tanto quanto di sensibilizzare la cittadinanza.
Al momento nel Kurdistan turco ci sono 1700 persone scomparse per motivi politici, per i quali ogni sabato c’è una manifestazione, 1600 detenuti politici, 600 detenuti ai quali vengono negate le cure per patologie gravi (200 sono malati di tumore).
I giovani subiscono fortemente la violazione continua dei diritti umani: il processio di assimilazione e di cancellazione della cultura curda non permette loro nemmeno di imparare a parlare la loro lingua (la stessa presidente, curda, non conosce il curdo), i giovani uomini sono costretti alla leva obbligatoria nell’esercito turco (l’associazione si occupa di difendere i disertori), le giovani donne subiscono sin dall’adolescenza la pratica dei matrimoni combinati, che spesso è l’anticamera della violenza domestica, con l’immobilismo e a volte la connivenza delle autorità turche. Addirittura c’è stato il caso del femminicidio di una donna, andata in carcere a trovare il marito, senza che la polizia intervenisse.
L’associazione non si occupa solo di curdi, infatti organizza campagne dedicate alle questioni internazionali, come la condizione delle donne in India e i rapimenti e i massacri di Boko Haram in Nigeria, ma ovviamente in questi anni ha dedicato un’attenzione particolare alla questione posta dalla presenza dell’Isis nel Kurdistan siriano e irakeno, cercando di intervenire in favore dei rifugiati e del loro ingresso in territorio turco.
Inizialmente l’esercito turco ha concesso ai profughi di passare il confine ma, nel momento in cui l’Isis ha assediato Kobanê, ha chiuso le frontiere. L’associazione ha cercato di fare pressione per far sì che chi scappava da quelle terre martoriate fosse accolto, anche grazie all’appoggio della popolazione locale che, a differenza dello stato, era desiderosa di offrire aiuto e sostegno. Le autorità, però, hanno risposto con una doppia repressione: da un lato l’esercito ha sparato su chi cercava di entrare, dall’altro ha arrestato chi ha offerto il suo aiuto (quaranta persone di Şanliurfa sono in galera per questo motivo, difese dagli avvocati dell’associazione, anche se non è possibile visitarle in carcere).
Tanti sono gli episodi di palese violazione dei diritti umani alle frontiere: dal rifiuto di far entrare in Turchia per motivi medici un combattente di 16 anni ferito, che ha perso una gamba, agli stupri, all’uccisione di una ragazza di Şanliurfa che voleva avvicinarsi al confine per prestare aiuto, al blocco costante degli aiuti umanitari.
Rispetto agli aiuti provienienti dai paesi europei e destinati ai campi profughi in Turchia, è stato sottolineato un problema: la maggior parte degli aiutani arrivano al campo gestito da governo turco, dove è vietato l’uso della lingua curda ed è consentito l’uso del turco e dell’arabo. Molti, quindi, preferiscono trasferirsi nei sei campi organizzati dai comuni curdi, dove però gli aiuti stentano ad arrivare.
La presidente ha ricordato l’importanza della prossima sfida che attende il popolo curdo: la ricostruzione di Kobanê, per cui serve il massimo sostegno e che è già cominciata con il ritorno dei giovani profughi che hanno abbandonato i campi per tornare nel Rojava.
Nel pomeriggio, invece, ci siamo recati all’incontro con l’HDP (Partito Democratico del Popolo), rappresentato dal co-presidente Ridvan Yavuz e con il DBP (Partito Democratico delle Regioni), rappresentato dalla co-presidente Yasemin Kilic.
Questi due partiti sono il frutto della lotta trentennale del popolo curdo, dell’elaborazione politica di Abdullah Öcalan che, anche dal carcere, riesce ad essere una guida e del patrimonio ereditato dalle formazioni politiche precedentemente messe fuori legge dal governo turco.
I due partiti si sono alleati per le ultime elezioni presidenziali e hanno intrapreso un percorso comune attraverso un Congresso, ma si differenziano tanto nella forma quanto nelle aree geografiche in cui sono presenti.
Mentre il DBP agisce sul piano culturale e sociale per preparare chi vuole impegnarsi nella lotta per la causa curda, organizzando scuole di formazione politica (le materie di studio sono: storia delle religioni, ecologia, femminismo e questione di genere, modernità democratica e autonomia democratica), l’HDP si pone l’obiettivo di dimostrare che i curdi non sono nazionalisti e che non lottano solo per i curdi, mettendo al centro del loro programmi l’inclusione delle minoranze nella vita politica del paese e tentando di porsi allo stesso tempo come possibili rappresentanti del proletariato turco.
L’HDP, infatti, è composto da quaranta organizzazioni. Il movimento curdo è numericamente prevalente, ma non è solo, è unito anche ad alcuni movimenti turchi di sinistra.
L’obiettivo generale è quello di una nuova vita, di una rinascita per l’intero Medio Oriente, un territorio che ha mostrato grande vitalità in questi anni, a partire dalle intenzioni iniziali della Primavera araba per arrivare alla rivoluzione nel Rojava, che mostra la possibilità di convivenza pacifica tra persone appartenenti a culture, etnie e religioni diverse.
Per L’HDP le organizzazioni politiche e civili sono solo uno strumento di lotta, che va oltre i partiti e le appartenenze identitarie. Negli anni tanti partiti curdi sono stati messi fuori legge, ma la lotta non si è arrestata, anzi è avanzata, anche grazie a ciò che Kobanê sta rappresentando per il mondo ed alla lotta condivisa con le altre minoranze, nel nome della libertà e della democrazia. Il senso dell’azione politica dell’HDP, dunque, non è quello di costruire una “Primavera curda”, ma è finalizzato a una “Primavera dei popoli”. Ridvan Yaviz, parlando di assimilazione e repressione, ci ha detto testualmente: “Prima dicevamo: ‘Siamo curdi!’ e per cent’anni siamo stati arrestati ed ammazzati. Adesso possiamo dire: ‘Siamo curdi, armeni, turcomanni, yezidi, assiri!'”.
Yasemin Kilic ha però sottolineato come questa possa configurarsi anche parzialmente come una “Primavera curda”, perché è il frutto di decenni di elaborazione politica a partire dal pensiero di Abdullah Öcalan, e che è soprattutto una “Primavera delle donne”.
Abbiamo parlato della contrarietà dell’HDP rispetto alla legge sulla sicurezza del governo Erdogan, che si inserisce in un quadro in cui i militari hanno già enormi poteri, ma che consente alla polizia stessa una sorta di potere giudiziario, delle operazioni di facciata come dell’apertura di un’università che insegna curdo e che ha 500 studenti ma nessun docente, del modo in cui l’esempio avanzatissimo del Rojava ha posto anche nel movimento curdo in Turchia la questione della democrazia radicale, che per ora è stato affrontato con la rappresentanza paritaria di genere in tutti gli organismi, dalle presidenze alle assemblee, e con i consigli su tematiche specifiche, ma che richiederà sforzi ulteriori.
Abbiamo anche affrontato il nodo della proposta economica e del superamento del capitalismo, data l’attuale inapplicabilità del modello del Rojava in Turchia. L’HDP vuole partire dalle tante municipalità che amministra per costruire dal basso un’alternativa al capitalismo capace successivamente di imporsi e diffondersi.
Noi Giovani Comunisti/e ci siamo offerti per continuare il confronto, nonostante le barriere linguistiche, anche dopo quest’incontro, chiedendo di rimanere in contatto con i giovani e le giovani dell’HDP. Parlandoci di come molte delle candidature per le prossime elezioni sono candidature giovanili, Ridvan Yaviz ha citato una bellissima frase di Öcalan sull’importanza del ricambio generazionale finalizzato alla continuità della lunga lotta del popolo curdo: “Abbiamo cominciato con la gioventù e finiremo con la gioventù”.