Delegazione Italiana a Amed
La seconda giornata della delegazione per il Newroz ad Amed inizia con la visita al campo di Shingal degli Yazidi, abitato da circa 4.000 persone delle quali quasi la metà sono bambini. Fuggiti dalle montagne di Sinjar, nel nord dell’Iraq, per fuggire all’attacco dell’ISIS protetti dalla resistenza di YPG e YPJ, sono passati oltre il confine iracheno dopo quaranta ore di cammino all’inizio del mese di agosto del 2014.
Nell’assenza del governo turco, che nega anche l’acceso agli ospedali pubblici, il campo è autogestito e sopravvive unicamente grazie all’aiuto dei curdi che distribuiscono cibo e beni di prima necessità. All’interno ci sono un ambulatorio medico e una scuola, ma mancano sia i medici sia gli insegnanti.
Parlando con gli abitanti, apprendiamo della totale assenza di prospettive sul rientro della popolazione nel proprio territorio; le Nazioni Unite dicono che non sarà possibile un ritorno sicuro prima di sette/otto anni cosi che la maggior parte delle famiglie sogna di andare in Europa e di rifarsi una vita in occidente.
A seguire abbiamo avuto il piacere di incontrare Asya Abdullah, co-presidente del PYD (Partito dell’Unione Democratica della regione del ROJAVA) organizzazione sorella del BDP turco, che ci ha aggiornati rispetto alla situazione sul fronte dell’offensiva contro daesh ISIS; dalla seconda metà di febbraio le aree di Til Temir, Sere Kani e Al Hasaka sono sotto un duro attacco da parte dello Stato Islamico,ma le forze YPG/YPJ ha rilanciato negli ultimi giorni una controffensiva volta alla liberazione del resto del cantone.
A Kobane intanto sono circa 80.000 gli abitanti rientrati in città (20.000 nella zona ovest della città, il resto nei villaggi circostanti) nonostante la città è ridotta in macerie per la quasi totalità. Non c’è nè elettricità né acqua, ma nonostante questo la ricostruzione di Kobane rimane l’obiettivo principale da praticare nei prossimi mesi nonostante molte zone siano tutt’ora da bonificare (nella sua ritirata ISIS ha disseminato di mine la città) anche dai corpi dei militanti dello Stato Islamico (circa 370 quelli recuperati al momento)e rispetto a questo ci viene segnalata come estremamente complicata la situazione igienico-sanitaria , anche e soprattutto in vista dell’aumento delle temperature nei prossimi mesi .
I governi Europei continuano a ignorare la tragica situazione di Kobane e del Rojava, per questo l’appello ad una solidarietà concreta, attiva e dal basso rimane al momento l’unica arma con cui contrastare l’isolamento a cui è sottoposta la regione. Kobane ha bisogno di tutte e tutti noi!
Concludiamo la giornata all’associazione dei diritti umani, Insan Haklari Dernegi (IHD), nata ad Ankara nel 1986. Il vice-presidente e uno degli avvocati del gruppo ci accolgono nella sala dedicata ad Wedat Aiden, presidente dell’associazione ucciso nel 1992 dallo stato turco, così come numerosi altri attivisti dopo di lui imprigionati, torturati e uccisi.
Ogni giorno ricevono lettere di detenuti che denunciano le violenze subite all’interno delle carceri dove il governo, nonostante le numerose pressioni, non accetta l’ingresso di osservatori esterni. In Turchia ci sono 335 carceri per un totale di 164.000 detenuti dei quali 279 malati gravi e 770 malati cronici, che lo Stato non vuole liberare violando gli impegni assunti a livello internazionale con il Protocollo di Istanbul.
Il carcere resta un luogo di violenza dove la tortura è una pratica diffusa e nei centri di detenzione di tipo F i detenuti condannati all’ergastolo scontano la pena in celle di isolamento.
L’HD propone la chiusura delle carceri che altro non sono se non una struttura del potere statale. Compito del governo è, invece, di educare il popolo alla convivenza civile in una società fondata sui principi del confederalismo democratico.
DSC_53100001La violenza dello stato non si ferma neanche di fronte ai minori: sono circa 346 i minori uccisi negli ultimi dieci anni. Solo nel 2014, 106 minori sono stati arrestati e, secondo il rapporto di HD di marzo 2015, sono 2165 i minori attualmente detenuti, di cui 545 in esecuzione pena e 1620 ancora sotto processo. La maggior parte di loro sono accusati di furto, ma, come dice l’avvocato dell’associazione, “è lo stato che li ha spinti a delinquere”. Molte famiglie, infatti, a causa delle politiche di assimilazione sono state indotte a spostarsi dalle campagne alle aree metropolitane e una volta lì, in mancanza di lavoro e senza alternative, a vivere di espedienti.
La violenza di polizia, poi, è facilmente legalizzata. E’ sufficiente accusare la vittima di essere un terrorista, magari anche armato, e lo stato è legittimato ad uccidere. In questo senso, il nuovo disegno di legge sulla sicurezza potrebbe peggiorare ancora la situazione aumentando il potere della polizia, autorizzata a sparare contro la folla nel corso delle manifestazioni.
Delegazione Italiana