Dall’accoglienza all’autorganizzazione: una giornata al Newroz Camp
Nel marzo 2015 una delegazione internazionale di 13 donne organizzata (giuriste, avvocate, una farmacista e una fumettista) ha visitato il campo “Newroz” nei pressi della città di Derik, nel Cantone di Cezire, per verificare le condizioni di vita dei rifugiati ezidi e le modalità di gestione del campo.
IMG_3791Il campo era stato inizialmente creato come soluzione emergenziale per dare riparo e accoglienza alla popolazione ezida fuggita dall’area di Shengal, nel nord dell’Iraq, attaccata da Daesh (ISIS) il 3 Agosto 2014. Migliaia di persone hanno così trovato rifugio e protezione nel territorio a nord della Siria, conosciuto come Rojava, grazie al corridoio umanitario aperto dal PKK e dalle Unità di Protezione del Popolo e di Difesa delle Donne, YPG e YPJ.
Nonostante le critiche condizioni materiali in cui versava il campo Newroz nel marzo 2015, già allora era stato possibile riscontrare la palpabile differenza con i campi a gestione governativa in Turchia e nel Kurdistan iracheno, soprattutto in termini di tutela dei diritti fondamentali dei rifugiati e coinvolgimento degli stessi nei processi decisionali e gestionali del campo.
In particolare, i membri della delegazione erano stati lasciati liberi di intrattenere colloqui IMG_3788direttamente con le persone rifugiate e avevano potuto verificare il ruolo primario delle organizzazioni femminili nella gestione di tutte le attività atte a garantire i servizi all’interno del campo. Tale forma di autogestione e possibilità di autodeterminazione delle famiglie ezide ha avuto ed ha tuttora un chiaro impatto anche sui processi di superamento ed elaborazione dei traumi dovuti alle gravissime violenze subite a causa dell’attacco di Daesh.
Ciononostante, nel marzo 2015 erano evidenti le gravi mancanze per ciò che atteneva l’assistenza medica, il cibo, il vestiario, i servizi igienici ed ogni altro aspetto riconducibile ad una carenza strutturale di risorse.
A distanza di un anno, una delegazione italiana ha visitato il campo Newroz. Sin dai primi momenti è stato chiaro come il campo abbia letteralmente cambiato volto. Sono stati creati spazi comuni, il livello igienico-sanitario complessivo è decisamente migliorato e le forme embrionali di autogestione riscontrate 12 mesi fa si sono dotate di strutture più solide e capillari nel tessuto sociale delle circa 5000 persone attualmente presenti.
IMG_3775Per portare alcuni esempi, il comitato delle donne si è trasformato in un’assemblea permanente che si riunisce tutti i giorni e svolge un lavoro quotidiano di supporto e sostegno a tutte le donne del campo, sia da un punto di vista del sostegno psicologico sia per ciò che attiene la risoluzione di ogni problema pratico o di mediazione familiare.
E’ presente un servizio scolastico per oltre 700 bambini e ragazzi dai 6 ai 15 anni, gestito da insegnanti volontari, anch’essi originari dell’area di Shengal ed i programmi scolastici, oltre alle materie classiche, prevedono corsi incentrati sulla valorizzazione della cultura ezida, sulla pratica democratica e sui metodi di comunicazione e di convivenza pacifica nella società. Inoltre, le lezioni vengono tenute sia in lingua curda sia in lingua araba e sono previsti anche corsi di inglese. Da questo punto di vista, le famiglie hanno descritto un netto miglioramento del sistema educativo rispetto a quello esistente in precedenza nell’area di Shengal, ove le lezioni erano svolte solo in lingua araba e il livello generale del sistema educativo amministrato dal Governo centrale iracheno era considerato di scarsissima qualità.
Il servizio sanitario è garantito da Heyva Sor a Kurd (Mezza Luna Rossa Kurda) operante per tutti e IMG_3795tre i Cantoni del Rojava – Cezire, Kobane, Afrin- e sono presenti anche cooperative di lavoro nel settore tessile.
L’autoproduzione di stoffe e vestiario permette la distribuzione gratuita dei prodotti finiti alle famiglie residenti del campo e chi presta la propria opera all’interno della cooperativa riceve un salario simbolico da parte dell’amministrazione cantonale.
Negli ultimi mesi alcune organizzazioni internazionali, tra cui UNICEF e UNHCR, hanno contribuito alla fornitura di aiuti umanitari per il sostentamento delle famiglie residenti nel campo Newroz.
Tuttavia, tutte le persone intervistate nel campo hanno rilevato gravi elementi di criticità con riferimento al lavoro svolto da questi soggetti.
Da un lato, nel corso degli ultimi mesi vi è stato un decremento degli aiuti consegnati, sino alla totale cessazione, al punto che la scuola del campo utilizza gli stessi materiali didattici forniti da UNICEF per l’anno precedente; vi sono, inoltre, gravi carenze per le tende, per il trattamento delle patologie più gravi e per l’assistenza a portatori di handicap e orfani.
Al di là della quantità e della qualità delle forniture, l’aspetto da più voci criticato (insegnanti, organizzazioni delle donne e medici) è stata la linea generale d’intervento di queste organizzazioni, le quali non hanno riconosciuto l’importanza e l’efficacia del metodo autogestione e di democrazia orizzontale praticato nel campo, preferendo invece attuare un sistema di tipo meramente assistenzialista e standardizzato.
Infine, fatto ancora più grave, le persone ospitate nel campo non hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiati da parte delle agenzie delle Nazioni Unite, nonostante siano cittadini iracheni fuggiti forzatamente dal proprio Paese di origine e stabilitisi in Rojava a seguito dell’attacco di Daesh.
La mancanza del riconoscimento dello status di rifugiati e, di conseguenza, la mancata consegna degli idonei documenti sostitutivi del passaporto, impedisce a coloro che vogliono fare ritorno alle proprie case a Shengal, città ormai liberata dalla presenza di Daesh, la possibilità di superare legalmente la frontiera con l’Iraq.
Queste valutazioni gettano ampie ombre sulla validità dell’operato di queste organizzazioni e, allo stesso tempo, l’esempio del campo Newroz impone una seria riflessione circa il sistema dell’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo in Europa, sempre di più bloccati da muri di filo spinato e privati della propria libertà in campi profughi ove il rispetto della dignità umana non trova dimora.
Carovana per il Rojava-Torino
Coordinamento Toscano per il Kurdistan (CTK)