Da Modena a Kobane, viaggio tra i profughi fuggiti alla furia dell’Isis
Tra gli osservatori internazionali in Kurdistan anche il sindacalista Franco Zavatti. Ecco il suo racconto da Soruc, nel Kurdistan turco, alle porte di quelle terre contese allo Stato Islamico
Soruc (Kurdistan turco), 23 marzo 2015 – Importante arrivare in questi luoghi così profondamente colpiti e dissanguati da guerre crudeli, per capire e poi raccontare, per aiutare in tanti a capire ancor più e fermare simili tragedie. Importante è arrivare anche per portare sostegni ed aiuti concreti, preziosi perché assolutamente necessari. Ma gocce che pare si perdano in un mare di bisogni. Ma per come qui nei campi profughi ti stringono la mano e ti ringraziano, queste gocce sembrano perfino più importanti di quel che sono.
Al di qua del confine siriano, nella regione kurda della Turchia, ne sono fuggiti centinaia di migliaia. I tanti comuni di questa lunga striscia di territorio, sono governati da sindaci kurdi eletti dalla maggioranza dei cittadini, ed osserviamo che l’enorme carico di lavoro, sacrifici ed aiuti, ricade quasi esclusivamente su queste comunità locali. Un’emergenza umanitaria che la osservi e l’attraversi percorrendo questa lunga area di confine che sta tra la Siria, da tre anni in guerra e poi con l’ondata Isis, e questo confine turco fortemente presidiato da uno stretto blocco militare.
Abbiamo visitato Suruc, di fronte a Kobane distrutta ed alla sua collina già mostrata nei tanti reportage. Kobane è stata liberata dall’invasione jhiadista, ma è ancora invasa dalle proprie macerie, mine e bombe disseminate. Solo poche migliaia dei suoi abitanti sono rientrati da questi campi. Ne restano oltre duecentomila, nelle tendopoli sparse fra le municipalità turco kurde di Urfa, Soruc, fino a Viransheir, in condizioni di allarmante precarietà.
Chiaro e tragico il quadro che ci hanno fatto nell’incontro con l’Associazione dei Diritti Umani ad Urfa. In questo ampio territorio sono passati, nei tre anni di conflitto, circa un milione e mezzo di profughi. Oggi sono oltre duecentomila, suddivisi in sette accampamenti. Solamente uno, con sole 5.000 persone, è gestito dalla Protezione Civile del governo turco ed è l’unico che raccoglie aiuti Onu, ma i rifugiati kurdi ne sfuggono appena riescono, perché è loro vietato di parlare la loro lingua!! Un’offesa ed emarginazione che su loro prosegue anche da profughi. La grande maggioranza di loro vive perciò negli altri campi delle municipalità locali kurde, senza alcun sostegno UNHCR e con nessun aiuto dalla comunità internazionale ed europea in particolare.
Lo stretto presidio militare turco lungo le aree di confine è anche, incomprensibilmente, rivolto ad ogni transito umanitario. Noi stessi siamo rimasti bloccati per due giornate alle porte di Kobane. La richiesta insistente e motivata che qui ascolti in ogni angolo, è quella che appare drammaticamente ovvia ed evidente. La cosiddetta Comunità Internazionale, europea in primis, deve garantire e presidiare un Corridoio Umanitario, che consenta il libero passaggio della enormità di bisogni ed aiuti per riaprire pacificamente Kobane e l’intera provincia liberata alla vita.
Franco Zavatti, Cgil Modena – Componente della missione di osservatori internazionali in Kurdistan
Campo profughi di Soruc – Kurdistan turco 23/03/2015
Modena Today