Bologna, Perchè il mondo sta ignorando i rivoluzionari curdi?
«Perché il mondo sta ignorando i rivoluzionari curdi?» si chiede David Graeber e per rispondere parte dal ricordo di suo padre che «nel 1937 si unì alle Brigate Internazionali per difendere la Repubblica spagnola» e scrive: «Non possiamo permettere che finisca allo stesso modo». L’interrogativo finale ci chiama in causa: «davvero il mondo, e ancora più scandalosamente la sinistra internazionale, lasceranno che la storia si ripeta?».
E’ un libro importante «Rojava una democrazia senza Stato» (224 pagine per 16 euro) pubblicato a settembre da Elèuthera.
Il libro è curato da Dilar Dirik, David Levi Strauss, Michael Taussig, Peter Lamborn Wilson ovvero Hakim Bey con saggi dei 4 curatori (Dirik, Levi Strauss, Taussig, Lamborn Wilson) e di Murat Bay, Janet Biehl, El Errante / Paul Z. Simons, David Graeber, Havin Güneşer, Evren Kocabiçek, Salih Muslim Mohamed, Pinar Öğünç, Jonas Staal, Newsha Tavakolian, Nazan Üstündağ, Bill Weinberg; le traduzioni sono di Claudia Campisano.
«Rojava il coraggio di immaginare» si intitola il bel saggio di Dirik. Ed è tristemente necessario concordare con lui: quel coraggio di sognare qui (nella parte del mondo che si chiama Occidente ma io preferisco rinominare Uccidente) in tanti/e lo abbiamo tristemente perso. Il racconto del viaggio in Rojava di Dirik è anche molto “emozionale”: respirare liberamente, «persone sorridenti ovunque, così meravigliosamente umane che quasi non osi guardarle», «la rivoluzione richiede amore e coraggio». Fuori da lì poco si sa del Rojava in lotta ma «come sottovalutare il potere del vento che non consce leggi né confini?». E conclude Dirik: «Forse non sarà un sistema perfetto ma è certamente un manifesto di vita. Il Rojava è davvero una rivoluzione di popolo, il coraggioso tentativo di immaginare un mondo diverso».
Questo è il punto politico, di prospettiva storica. Che appunto ci chiama in causa oggi più di prima: perché dopo aver sconfitto l’Isis, in questi giorni i curdi – e gli altri popoli del Rojava – si trovano sotto la minaccia di un altro fascismo armato, quello di Erdogan.
Lo spiegano da molti e differenti punti di vista gli autori e le autrici del libro. Incontri e riflessioni storiche: lo stupore di incontrare «il primo esercito femminile al mondo»; il tentativo di applicare concretamente un sistema giudiziario differente; un luogo dove «gli uomini stanno cercando di vedere il mondo attraverso gli occhi delle donne»; un esperimento democratico dal basso; perfino l’idea che «la civiltà democratica deve poggiare su un’industria ecologica»; e la «Carta del contratto sociale del Rojava» (che è scaricabile dal sito www.eleuthera.it). Senza uno Stato. E con tre pilastri sempre ripetuti ma variamente proposti: «femminismo, confederalismo ed ecologia». Tutto ciò non accade dentro tranquilli seminari ma mentre si è costretti a combattere; in un’intervista raccolta da Graeber si spiega che «tutti erano tenuti a seguire i corsi di risoluzione nonviolenta dei conflitti e di teoria femminista prima di essere autorizzati a metter mano a una pistola». Se vi pare poco…
Peter Lamborn Wilson (ovvero Hakim Bey) per raccontare Ocalan deve – e vuole – partire dalla Mesopotamia, dalla mitologia sumera, dai «me, i cinquantuno princìpi della civiltà»; perché in carcere Ocalan ha scritto «Gli eredi di Gilgamesh, dai sumeri alla civiltà democratica». Fra il serissimo e l’affettuosa ironia scrive Wilson: «Dove vi aspettereste di trovare un genio politico di prim’ordine… se non in carcere?». E aggiunge: «non uso la parola “genio” a cuor leggero. Unico leader di una rivoluzione reale nel triste mondo odierno, Ocalan propone una via d’uscita dalla trappola ideologica tanto della destra quanto della sinistra, una via d’uscita non puramente intellettuale e teorica (seppure indubbiamente lo sia) ma anche pratica».
Traditi più volte dagli Stati della zona e dai potenti del mondo (Russia e Usa) «i curdi non hanno altri amici che le montagne». Vero purtroppo, ma forse è il momento di cambiare anche questo motto e il primo passo è aiutare – in ogni modo – la rivoluzione del Rojava. Aiutare anche da qui. Adesso.
26 gennaio, iniziativa a cura di Vag61 e Nodo sociale antifascista [info]
– ore 20: cena sociale
– ore 21: dibattito con Paolo “Pachino” (di ritorno dal Rojava) e Daniele Barbieri (redattore del blog labottegadelbarbieri.org)
– a seguire: djset resistente a cura di Dait1 – funkt soul blues combat folk
– sabato mattina dalle 11 in piazza Maggiore presidio contro l’invasione turca del Rojava [info]
Rifacendosi al confederalismo democratico elaborato dal leader curdo Abdullah Öcalan, detenuto in un carcere turco dal 1999, la popolazione del Rojava ha iniziato ad autogovernarsi attraverso una rete di assemblee e consigli in cui vengono decisi aspetti cruciali della vita sociale come l’autodifesa militare e l’amministrazione della giustizia. Questa visione non-statale dell’organizzazione sociale, fortemente influenzata dal municipalismo libertario di Murray Bookchin, si rivela rivoluzionaria anche per il contributo fondamentale delle donne, che partendo dalla critica della disparità uomo/donna sono arrivate a identificare nello Stato il principio organizzatore da abbattere.
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