Al di là del confine: Kurdistan, immagini negate
Alla galleria WSP di San Paolo la mostra fotografica “Sinor”, un viaggio nei territori curdi in guerra lungo il confine turco-siriano
“Le foto hanno la forza di gridare senza voce, mostrando ciò che agli occhi comuni è negato. La natura non conosce confini”. In queste parole, contenute nella presentazione dell’evento, è racchiuso il significato di SÎNOR (confine, in lingua curda) – Kurdistan, immagini negate, mostra che verrà inaugurata il prossimo sabato 18 marzo presso lo spazio WSP Photography, in collaborazione con il Centro Culturale Curdo Ararat e la Rete Kurdistan Italia.
Nella galleria di via Costanzo Cloro 58 saranno esposti, per circa un mese, gli scatti di alcuni giovani fotografi curdi che raccontano ciò che è accaduto – e sta accadendo – in Rojava (nord della Siria) e nel Kurdistan Bakur (sud-est della Turchia).
Ferhat Arslan – ANFL’idea, spiegano gli organizzatori, nasce da una constatazione di fondo: se l’informazione internazionale ha conosciuto (e ri-conosciuto) la resistenza curda con la storica liberazione della città siriana di Kobane nel gennaio 2015, gli stessi media mainstream hanno mostrato un atteggiamento diverso nei confronti della medesima resistenza a pochi chilometri di distanza, al di la del confine turco.
Un gioco di telecamere spente e accese, restituito in un chiaroscuro di immagini che raccontano, attraverso un viaggio visivo nei due territori, il differente “trasporto” dell’informazione internazionale a seconda dell’attore politico ripreso. Da un lato l’avanzata del Daesh, rappresentata come la minaccia che sta costringendo un intero popolo a lasciare la propria terra; dall’altro il presidente turco Erdogan, indiscusso interlocutore dei governi europei – le cui politiche hanno tuttavia causato, solo negli ultimi mesi e nel silenzio dei media globali, oltre 300 morti e 200.000 profughi interni tra la popolazione curda.
Abdurahman Gök“Sînor” si propone come un racconto esplicito di questa realtà, una narrazione per immagini di ciò che sta accadendo in un territorio diviso in quattro stati come il Kurdistan. E lo fa turbando l’emotività dello spettatore con scatti che passano dalla rappresentazione della malinconia delle macerie ai sorrisi e agli sguardi di chi mette in gioco il proprio corpo.
Il Kurdistan siriano e turco sono quindi ritratti come luoghi di un unico territorio, ancora oggi diviso da un confine creato “in nome di un’identità nazionale imposta, quasi fosse un vestito sotto cui nascondere tradizioni e costumi millenari”. Un confine che tuttavia “non ha impedito alle donne e agli uomini curdi di sentirsi un popolo unito nella lotta per democrazia, uguaglianza e giustizia”.
da Silvia Talini, Core