A Kobane un funerale al giorno, ma i kurdi avanzano

Le voci degli attivisti: «L’Isis attacca ancora, ma i kurdi sono vicini alla vittoria. Famiglie rifugiate a Suruc sono tornate a vivere in città». Ma da combattere c’è anche l’ostruzionismo turco

A Diyar­ba­kir e Suruc c’è grande fer­mento. Le due città kurde a sud della Tur­chia non hanno mai inter­rotto le atti­vità di soste­gno a Kobane, la città kurda a nord della Siria: «Ogni giorno siamo costretti a cele­brare il fune­rale di un com­bat­tente di Kobane – dice al mani­fe­sto Murad Akin­ci­lar, diret­tore dell’Istituto di Ricerca Sociale e Poli­tica di Diyar­ba­kir – Ma la spe­ranza è forte».

Tre mesi e mezzo di resi­stenza popo­lare hanno fatto di Kobane il sim­bolo della bat­ta­glia con­tro il fana­ti­smo dell’Isis e gli inte­ressi stra­te­gici dello Stato-nazione turco. La stampa mon­diale ha con­cen­trato occhi e orec­chie sulla città e sul pro­getto di demo­cra­zia diretta di Rojava.

Dopo oltre cento giorni di com­bat­ti­menti strada per strada, la fine dell’anno per le Unità di Difesa popo­lare maschili e fem­mi­nili (Ypg e Ypj) signi­fica spe­ranza. Le noti­zie che giun­gono dalla città asse­diata dal 15 set­tem­bre dalle mili­zie di al-Baghdadi, una città che ha pianto cen­ti­naia di morti e ha assi­stito impo­tente alla fuga di oltre 100mila civili, rac­con­tano dell’avanzata delle forze di difesa.

Negli ultimi giorni i kurdi hanno otte­nuto altre vit­to­rie: hanno lan­ciato una con­trof­fen­siva sulla stra­te­gica col­lina di Mshta Nur con il soste­gno dei pesh­merga ira­cheni, gua­da­gnando un cen­ti­naio di pre­ziosi metri a sud e est. A dare man forte, nel giorno di Santo Ste­fano, 31 raid della coa­li­zione gui­data dagli Stati uniti, seguiti ai 10 del giorno di Natale.

Un’avanzata lenta ma con­ti­nua che ha per­messo ai kurdi di Kobane di assu­mere il con­trollo del 60% del ter­ri­to­rio, costrin­gendo alla riti­rata su più fronti i mili­ziani dell’Isis. Ad otto­bre la caduta della città sem­brava immi­nente, oggi non lo è: lo Stato Isla­mico si è arroc­cato a sud est, la linea del fronte si allon­tana dal cen­tro cit­ta­dino e gli isla­mi­sti sono stati costretti a lasciare le sta­zioni di poli­zia e gli uffici gover­na­tivi a nord e al cen­tro. E venerdì i kurdi hanno ripreso il con­trollo della sede del comune di Kobane dopo ore di scon­tri a fuoco.

«L’iniziativa è nelle mani delle Ypg e delle Ypj da almeno un mese ormai e ogni giorno rice­viamo buone noti­zie – spiega al mani­fe­sto l’attivista kurda Burcu Çiçek Sahinli da Suruc – La città è stata ripu­lita dalle gang dell’Isis, ogni giorno ven­gono riprese nuove posta­zioni: luo­ghi stra­te­gici come il Cen­tro Cul­tu­rale e alcune scuole sono tor­nati sotto il con­trollo kurdo. I mili­ziani dell’Isis scap­pano, non rie­scono a fre­nare l’offensiva di Ypg e Ypj: hanno giu­sti­ziato 100 dei loro com­bat­tenti che vole­vano abban­do­nare il campo di battaglia».

«Stanno ancora attac­cando la città – con­ti­nua Burcu – e gli scon­tri sono ancora duri, ma i kurdi sem­brano sem­pre più vicini alla vit­to­ria. Cin­que fami­glie rifu­giate a Suruc sono tor­nate a vivere in città con i bam­bini piccoli».

Oltre all’Isis, la resi­stenza kurda è costretta a com­bat­tere un altro nemico, la Tur­chia. Ankara tenta da tempo di spez­zare i legami tra il Kur­di­stan del nord e Rojava, impe­dendo ai com­bat­tenti del Pkk – i primi ad entrare a Kobane in soste­gno alla popo­la­zione asse­diata – di por­tare uomini e armi. Non solo: più volte i pro­fu­ghi kurdi a Suruc, che da tre mesi e mezzo moni­to­rano il con­fine con Kobane, rac­con­tano di scambi ripe­tuti tra gen­dar­me­ria turca e mili­ziani dell’Isis.

«La Tur­chia teme un Kur­di­stan unito e con­ti­nua a soste­nere aper­ta­mente lo Stato Isla­mico. Il 25 novem­bre c’è stato un nuovo caso di ‘soli­da­rietà’: i ter­ro­ri­sti dell’Isis hanno preso un vil­lag­gio kurdo den­tro il ter­ri­to­rio turco e sono stati auto­riz­zati dall’esercito di Ankara a usare la comu­nità come base di appog­gio per attac­chi con­tro Ypg e Ypj. La scorsa set­ti­mana abbiamo visto i mili­ziani isla­mi­sti rubare auto in Tur­chia con i sol­dati tur­chi che ave­vano abban­do­nato le posta­zioni, lascian­doli fare».

Al soste­gno mili­tare che i kurdi impu­tano alla Tur­chia – il cui obiet­tivo è evi­tare una cre­scita della resi­stenza kurda e il pos­si­bile con­ta­gio dell’esperimento Rojava nel pro­prio ter­ri­to­rio – si aggiunge il man­cato sup­porto ai 230mila pro­fu­ghi di Kobane e Sin­jar che hanno attra­ver­sato la fron­tiera per avere salva la vita. Accolti dai comuni kurdi tur­chi a sud in campi pro­fu­ghi gestiti dalle sole muni­ci­pa­lità, con l’arrivo dell’inverno i rifu­giati vivono in con­di­zioni sem­pre più precarie.

«Dopo i due campi pre­ce­denti, a Suruc ne abbiamo aperto un terzo – con­clude Burcu – Ma i biso­gni sono ancora grandi, non tutti i campi hanno riscal­da­mento elet­trico, man­cano cibo e mate­riali per l’igiene per­so­nale. Le auto­rità tur­che peg­gio­rano la situa­zione: feriti arri­vati da Kobane sono stati arre­stati, è stata dete­nuta anche una dot­to­ressa volon­ta­ria. Poco importa: noi pro­se­guiamo nelle nostre atti­vità: abbiamo creato con­si­gli gio­va­nili e fem­mi­nili, libre­rie e scuole in madre lin­gua kurda». Kobane resi­ste di qua e di là dalla frontiera.

 

di Chiara Cruciati,

Il manifesto 27.12.2014