Diario dal Kurdistan, giorno uno. L’incontro con l’Associazione per i diritti umani
La prima corrispondenza di Francesco Stea Pagliai, medico pisano, che si trova a Urfa con l’osservatorio di garanzia organizzato dall’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia in occasione del Newroz
Oggi è possibile utilizzare la lingua kurda, prima vietata in pubblico
Il primo dei nostri incontri con la società civile kurda è qui a Urfa, con l’Associazione per i diritti umani, che ha per logo un bel fiore che spezza una catena. È presente in tutta la Turchia ed è costituita da volontari che si appoggiano, in caso di bisogno, a un team di avvocati; di lavoro da fare ce n’è, pure se non siamo più ai tempi bui degli anni ’80-’90, anche perché già troppe volte le violazioni sono arrivate alle orecchie dell’Europa.
In passato molti membri dell’associazione sono stati uccisi, pochi giorni fa è stato ucciso un altro membro, un giornalista. Specie negli ultimi mesi, in Turchia la campagna elettorale e il procedere dei negoziati di pace hanno allentato le pressioni. Grazie alle lotte degli ultimi decenni, continuate in trattative di pace, oggi è possibile utilizzare la lingua kurda, prima vietata in pubblico e c’è addirittura un canale TV in kurdo.
Le violazioni dei diritti umani tuttavia proseguono, meno clamorose, con attivisti che continuano a sparire e cinquanta morti in piazza, fra cui alcuni bambini, per le manifestazioni durante l’assedio di Kobane.
Nel frattempo la situazione porta anche a guardare oltre i confini, sia quelli veri e propri, sia quelli delle attività tradizionali: sono state istituite commissioni per i rifugiati della guerra in Siria (circa un milione negli ultimi tre anni nel solo distretto di Urfa), ci si occupa del massacro degli Ezidi da parte dell’Isis, e dei 17 combattenti kurdi iracheni messi (letteralmente) in gabbia dall’Isis con la minaccia di dal loro fuoco proprio il 21 marzo, per il Newroz.
Al confine con la Siria sono stati allestiti sei campi profughi col solo contributo delle municipalità, della generosa popolazione locale e della solidarietà internazionale: 200 mila sono i profughi ospitati attorno a Suruc, di cui 60 mila stanno già tornando a Kobane liberata, che seppure ridotta in gran parte in macerie, è comunque casa loro, da ricostruire.
Nel Kurdistan turco, come ovunque, sono le donne le più esposte alla violazione dei diritti umani: matrimoni forzati, violenze in famiglia, con il corollario di omicidi e suicidi. A questo le associazioni kurde rispondono con una particolare versione delle quote rosa: al vertice dell’Associazione per i diritti umani, così come i partiti kurdi e le istituzioni autonome del Rojava, non c’è un dirigente, ma sempre due: un uomo e una donna, che co-presiedono.
Il partito delle comunità democratiche, insieme ad associazioni, partiti e minoranze, ha costituito la coalizione HDP, diffusa in tutta la Turchia.
Il DBP, Partito delle comunità democratiche, che incontriamo nel pomeriggio ha la sua sede in un luogo che ha molto il sapore di una casa del popolo della provincia toscana. Il nome attuale è l’ennesimo: per anni la repressione e i ripetuti scioglimenti d’autorità hanno imposto di rifondarlo da capo. Il principale partito legale kurdo, che ha molti sindaci e amministratori nel Kurdistan turco, ha deciso di non limitare la sua azione al proprio gruppo nazionale di riferimento: insieme ad associazioni e partiti della sinistra turca ed esponenti delle numerose e bistrattate minoranze etnico-linguistiche-religiose della Turchia (arabi, armeni, ezidi, alawiti…) ha costituito la coalizione HDP, diffusa in tutta la Turchia.
La mossa ha allargato la forza delle rivendicazioni per una Turchia democratica e plurale e la coalizione elettorale progressista viaggia sopra l’assurdo sbarramento del 10%; e l’HDP ha forza tale anche da poter partecipare ai negoziati di pace con il governo.
L’assedio di Kobane, difesa contro l’Isis da milizie popolari costituite non solo da kurdi ma da combattenti di tutte le provenienze, fedi, lingue ed etnie, ha costituito un forte stimolo all’unità di intenti e di azione
Di certo l’assedio di Kobane, difesa contro l’Isis da milizie popolari costituite non solo da kurdi ma da combattenti di tutte le provenienze, fedi, lingue ed etnie, ha costituito non solo un riferimento ideale, ma un forte stimolo all’unità di intenti e di azione: l’HDP chiede per la Turchia il cambiamento della Costituzione e di quelle leggi che la proclamano stato dei turchi, con un solo popolo, una sola lingua e una sola religione, perché finalmente sia un paese per tutti, E rivendica l’autonomia territoriale, la fine del servizio di leva obbligatorio, l’umanizzazione delle carceri, il divieto di poligamia e dei matrimoni con minorenni…
Anche nelle proteste di Gezi Park e piazza Taksim i kurdi erano in prima fila: è ormai senso comune, per loro, che la libertà passa non per un nuovo stato, nuovi confini e nuove divisioni, ma per la democratizzazione della Turchia e di tutti gli altri paesi in cui vivono, per l’autodeterminazione dei popoli e degli individui.
di Francesco Stea Pagliai
La Pagina Auotidiana Pisa -Pagina Q