La rinascita socio-ecologica di Rojava
Modelli. «Kobane Roots» è un progetto sociale ecologista, con base in Italia, per ricostruire l’economia di un territorio devastato puntando sulla rivoluzione «verde» per un futuro eco-sostenibile
Dietro la modica spesa di 200 milioni di dollari, Bill Gates ha presentato a novembre il wc del futuro: trasformerà i rifiuti umani in fertilizzanti. A Rojava fanno lo stesso, ma senza spendere tanto. La trasformazione di urina ed escrementi in concime è solo uno dei progetti in corso nel nord della Siria.
Mentre soffiano venti di guerra turca sulla regione curda autodichiaratasi autonoma dopo lo scoppio del conflitto siriano nel 2011, le comunità locali procedono verso la realizzazione di uno degli obiettivi di democratizzazione: l’ecologismo sociale. Punto di partenza è la teorizzazione del leader del Pkk, Abdullah Ocalan, che vede nel rapporto sano con la natura un mezzo di lotta al capitalismo e al dominio patriarcale e coloniale. Il collegamento tra crisi ecologica e crisi sociale è alla base del percorso, parte integrante del confederalismo democratico, il progetto politico finito sui giornali di mezzo mondo per la partecipazione attiva e intrinseca delle donne. Presto dimenticata: oggi quel progetto rischia la scomparsa. A difenderlo è intervenuto, alla fine di quest’anno, un progetto sociale che ha base in Italia, il Kobane Roots, promesso da Ya Basta Bologna in collaborazione con il Comitato ecologico del cantone di Kobane. L’obiettivo è un ritorno alle origini, devastate da decenni di imposizione di monocolture e modello estrattivista, ma anche di riduzione delle risorse idriche da parte delle dighe turche e dell’occupazione brutale dello Stato Islamico.
Kobane Roots pianterà 15mila alberi di ulivo lungo l’Eufrate e costruirà un impianto di irrigazione. Un luogo non scelto a caso, il fiume che con il Tigri è da millenni sinonimo di fertilità, come non è casuale l’albero: l’ulivo in Medio Oriente è vita, tradizione, cultura. È spesso anche obiettivo militare (in Palestina dei bulldozer israeliani, a Rojava dell’Isis), tanto quanto è colonna portante delle economie locali.
Negli ultimi anni migliaia di ulivi sono stati distrutti, altrettanti sono morti perché abbandonati dai contadini costretti alla fuga. E la produzione è crollata. Eppure la Siria era, prima del 2011, il quarto paese al mondo per produzione di olive, 180mila tonnellate l’anno e 43 milioni di euro di valore.
I 15mila alberi saranno divisi in dieci uliveti lungo l’Eufrate, a Kobane. Non prima di aver cancellato i lasciti della guerra: la zona è stata sminata e bonificata ed è in corso la costruzione di un sistema di irrigazione sostenibile, con nuovi pozzi e il ritorno ai tradizionali canali che corrono tra gli ulivi. Il tutto gestito da cooperative che daranno lavoro a 80 famiglie e redistribuiranno i proventi nel solco del modello Rojava: il 30% andrà al Comitato economico di Kobane per il recupero di altri uliveti e al fondo di investimento delle cooperative . Una rampa di lancio verso la ricostruzione, pezzo per pezzo, dell’economia locale. A partire dalla ricchezza atavica di una regione trasformata dal partito Baath nel granaio siriano: il governo di Damasco ha imposto monolculture a Rojava, impoverendo i terreni, imponendo l’uso di pesticidi e costringendo all’urbanizzazione una buona parte della popolazione rurale. Grano con cui sfamare il resto del paese e cotone con cui vestirlo. Il sistema del Comitato è opposto: diversificazione per ridare fertilità al terreno, rendere la regione autonoma e farla tornare all’antico splendore, fatto dei colori e i sapori di ceci, lenticchie, fagioli, fichi e ciliegi, melograni e albicocchi, pistacchi e peri.
«La questione ecologica – scrive Ocalan – viene risolta se si sviluppa un sistema sociale socialista. La combinazione della lotta per l’ambiente con la lotta per una rivoluzione sociale generale è necessaria». Non solo ulivi, dunque, ma un’opera comprensiva che permetta di riallacciare un sano rapporto con flora e flauna, intaccato da sistemi economici umano-centrici, dal feudalesimo al capitalismo liberista di sfruttamento insostenibile delle risorse naturali. A Rojava la soluzione è totale, perché totale è stato finora l’ordine imposto: l’alienazione dell’uomo dall’ambiente e la sua distruzione sono allo stesso tempo sintomi e strumenti dei conflitti interni. La risposta è la de-centralizzazione, l’economia comunitaria di base. Da qui parte il mosaico socio-ecologico di Rojava: piante che richiedono meno acqua; la combinazione di colture per aumentare i raccolti; il rimboschimento, fondamentale alla salvaguardia delle falde, al ripopolamento della fauna e alla lotta all’erosione del suolo; gli orti urbani a fini di consumo di quartiere; il divieto di caccia e pesca nelle riserve naturali, Hayaka e Mizgefta Nu, dove dal 2016 sono stati piantati 8mila alberi, a cui ne seguiranno altri 100mila; il recupero di acque grigie per l’irrigazione e nere per il compost.Alla base sta la struttura delle comuni, un approvigionamento collettivo che cancelli la separazione tra il luogo di produzione e quello di fruizione e che consenta il ritorno alla conoscenza collettiva.
Per portare avanti il progetto la Comune internazionale del Rojava ha realizzato un libro Make Rojava green again, in italiano a cura di Rete Kurdistan ed edito da Dog Section Press. Sarà in tour dal 2 al 7 febbraio: si parte a Milano il 2 alle 18.30 alla Libreria Calusca. E poi Cremona, Macerata, Fano, Rimini, Bologna, Roma e Cosenza. I profitti sosterranno Kobane Roots. Info su prenotazioni e acquisto del libro e sulle date delle presentazioni sui siti di Uiki Onlus e Rete Kurdistan.
di Chiara Cruciati, Il Manifesto
http://www.uikionlus.com/calendario-presentazioni-del-libro-make-rojava-green-again-in-italia/