Roja Reş, il giorno buio
Un doloroso anniversario che il popolo curdo affronta ogni 15 febbraio da 19 anni. Domani manifestazione a Roma in sostegno alla resistenza di Afrin.
Diciannove anni fa veniva catturato in Kenya il “nemico numero uno” dello Stato turco: Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). La cattura dell’uomo – che non era solo il capo di un’organizzazione politico-militare, ma il simbolo stesso della lotta di un popolo per la dignità e diritto ad esistere – fu considerata dai curdi come l’esito di un “complotto internazionale” che coinvolgeva i servizi di sicurezza di diverse nazioni, tra cui la CIA, l’MI5 e il Mossad. Occorre ricordare che rifiutandogli l’asilo politico anche il governo italiano (all’epoca presieduto da Massimo D’Alema) va annoverato tra i responsabili della cattura di Öcalan .
Da quel lontano 15 febbraio, da quasi vent’anni, Öcalan è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza in Turchia, a İmralı, una piccola isola turca situata nel mar di Marmara. Data la sua particolare ubicazione sull’isola sorgeva già da molto tempo un carcere riservato ai prigionieri ritenuti più pericolosi, ma vennero tutti trasferiti perché vi venisse rinchiuso – da solo – l’uomo considerato più pericoloso di tutti. Questa misura può darci l’idea di quanto lo Stato turco (una delle economie più forti del Medio Oriente con a disposizione il secondo esercito NATO) abbia avuto da sempre paura di un rivoluzionario capace di incarnare un messaggio di emancipazione e libertà per l’intero Medio Oriente e per l’umanità tutta.
Se Öcalan non è stato giustiziato lo si deve solo all’abolizione della pena di morte in Turchia nel 2002, dovuta alle speranze di far entrare il Paese nell’Unione Europea. Da allora lo Stato turco ha continuato a uccidere gli oppositori, ma lo ha fatto non più a norma di legge, bensì con omicidi mirati, come quello che ha causato la morte della fondatrice del PKK Sakine Cansiz e di altre due compagne, avvenuto a Parigi nel gennaio 2013. Per “il presidente Apo” – come lo chiama la sua gente – i politici, i militari e gli imam fanatici che tengono i popoli dell’Anatolia sotto il loro tallone di ferro hanno deciso un tipo di morte più lenta: l’ergastolo in condizioni di isolamento totale. Dal 2011 gli appelli degli avvocati di Ocalan per poterlo visitare sono stati respinti 726 volte. Da due anni non si hanno notizie della salute del leader curdo perché a nessuno è stato consentito di incontrarlo.
Seppellirlo vivo e lasciare che venisse dimenticato, un obiettivo che però, ad oggi, è fallito. Al carcere del fascismo turco Öcalan ha opposto le stesse armi che usò Gramsci nel carcere del fascismo italiano: lo studio, la riflessione, la critica e l’autocritica. Nella cella di Imrali Öcalan ha prodotto un aggiornamento della teoria del pensiero rivoluzionario con cui il leader curdo ha aperto un capitolo completamente nuovo nella storia del Kurdistan. Infatti i suoi i suoi testi non hanno solo aiutato il PKK a superare gli errori che inevitabilmente si verificano in un conflitto armato di lunga durata, ma hanno tracciato l’idea di un disegno complessivo di società: una democrazia dal basso capace di confederare diverse comunità attraverso delle regole e degli ideali comuni ma senza cancellarne le specificità; una rivoluzione inter-sezionale, in cui l’emancipazione femminile diventa il centro ed il motore del processo di liberazione delle classi e delle minoranze oppresse; un nuovo patriottismo in cui la difesa della propria terra e la propria cultura non diventa mai chiusura.
Grazie all’insegnamento del presidente Apo e al suo esempio, fatto al tempo stesso di fermezza e ricerca della pace (fu lui a chiedere il cessate il fuoco unilaterale al PKK nel 2013, durato fino al riaccendersi delle ostilità nel 2015), il movimento rivoluzionario in Kurdistan è oggi molto più forte di quanto fosse 19 anni fa. Inoltre l’opinione pubblica internazionale, e sempre più spesso anche i tribunali europei, si rendono sempre più conto che la vera organizzazione terroristica non sia il PKK ma lo Stato turco, oggi completamente fascistizzato grazie all’alleanza tra nazionalismo militarista e fanatismo islamista. Uno Stato che non ha esitato a sostenere l’Isis pur di colpire i movimenti rivoluzionari ed espandere il proprio dominio sulla regione, come sta facendo in questi giorni tentando l’invasione di Afrin, nella Siria del Nord.
In questi lunghi anni di guerra, durante la straordinaria rivoluzione in Rojava il pensiero di Apo ha accompagnato ogni giorno i combattenti e le combattenti impegnati su diversi fronti contro l’Isis. Li accompagna anche adesso, quando dall’altra parte non c’è più il fascio-islamismo nero di Daesh, ma la Turchia: la stessa che lo ha imprigionato e che è si sta delineando come nemico della pace e della libertà per tutti i popoli del Medio Oriente.
Come ha detto Serhed Seydo, uno dei combattenti YPG che partecipano all’operazione Cizire per liberare il territorio di Deir ez-Zor dall’Isis intervistati dall’agenzia ANF : «il 15 febbraio è un giorno nero per noi. I poteri sovrani volevano impedire che la filosofia e l’idea del Presidente raggiungessero l’umanità. Eppure, la lotta di coloro che si basano sulla filosofia del Leader continua ancora oggi. Per sette anni, i combattenti dello YPG hanno partecipato a numerose campagne e ottenuto grandi risultati. Oggi a Deir ez-Zor, stiamo combattendo contro i nemici del pensiero di Öcalan, che prendiamo come base e continueremo a farlo. La nostra lotta continua». (fonte ANFenglish.com)
Ieri l’anniversario della cattura di Öcalan, domani una grande manifestazione in Italia che tra le sue parole d’ordine ne chiede la sua liberazione.
Öcalan ha scritto: «La più grande rivoluzione è la rivoluzione della mente, e ovunque le mie idee saranno io sono lì». Le sue idee sono ovunque ora, hanno dato un contributo fondamentale a distruggere Daesh ed ora animano la resistenza sui confini con la Turchia. Anche qui in Europa incoraggiano e a aprono nuove prospettive a tutti coloro che lottano contro il razzismo, il fanatismo religioso ed il nazionalismo, gli strumenti del capitalismo e del patriarcato per imporre le proprie gerarchie autoritarie alla società. Per questo domani saremo in piazza per sostenere la resistenza di Afrin e chiedere la liberazione di Öcalan per le prigioniere e i prigionieri politici nelle carceri del regime di Erdogan.
di Anna Irma Battino, Global Project