Guerra siriana o guerra delle potenze internazionali?
La guerra in Siria è ormai al suo sesto anno. In questi sei anni diverse centinaia di migliaia di persone hanno perso la vita. Diversi milioni sono stati costretti alla fuga, molti di loro sono annegati in mare. Di molte migliaia di persone a oggi non si sa che fine abbiano fatto. Innumerevoli città e villaggi sono stati rasi al suolo.
Una domanda che si pone da più di cinque anni è se la guerra sia effettivamente quella del popolo siriano. La risposta si enuclea sempre più chiaramente come un “no”. Perché se così fosse, allora sarebbe finita già da tempo. È la guerra di coloro i quali vogliono prendere il sopravvento e comandare in Siria, quindi tra gli altri degli USA, della Russia, dell’Iran, dell’Arabia Saudita e del Qatar. Ma quelli che pagano il prezzo per la guerra sono le persone in Siria.
La guerra imperialista è iniziata negli anni ‘90 con la guerra del golfo
La guerra in Siria risale agli anni ‘80 quando le potenze internazionali iniziarono una guerra imperialista per la spartizione di diversi Paesi della regione. Con la tutela degli USA Saddam Hussein occupò il Kuwait. Seguì l’ingresso degli USA in Iraq. L’obiettivo era di dare una nuova impostazione alla regione e di ancorare l’influenza degli USA. A questo scopo si cercò di costruire un’opposizione interna all’Iraq. Ma questo non portò alcun risultato. Come gruppo di opposizione c‘erano già i curdi. Ma questo non bastava. Perché oltre a loro c’erano anche sunniti, sciiti, arabi, turkmeni e diversi altri gruppi di popolazioni. Anche queste dovevano in qualche modo avere un ruolo nel nuovo equilibrio.
Mentre gli USA intervenivano negli anni ‘90, la Russia era ancora integrata nel sistema sovietico. Anche se l’Unione Sovietica si trovava pochi passi dallo sfaldamento, ancora aveva una certa influenza. Ma a causa di problemi interni, che poi pochi anni dopo portarono allo sfaldamento, non poteva intervenire verso l‘esterno. Per questo gli USA avevano mano libera.
Dopo l’11 settembre 2001 gli USA condussero il loro intervento nella regione con l’etichetta della “lotta contro il terrorismo“.
Nel 2003 rovesciarono Saddam Hussein con questo pretesto. Alla fine mandarono incaricati USA nella regione, cosa che in realtà significava insediare la propria influenza. All’epoca la Russia non aveva molto da opporre, dato che soffriva di grandi problemi economici.
Mentre generali e strateghi russi spiegavano che i loro export di armi erano in pericolo e con questo rendevano palese che perdevano un “mercato di sbocco“, d’altro canto erano in grado di opporre ben poca cosa. Perché gli USA avevano sviluppato diversi scenari per la Turchia e diversi altri Paesi centro asiatici, tra cui la costruzione di basi militari. Questa massiccia presenza USA nella regione può allo stesso tempo essere interpretata come segnale contro l‘Iran.
Dopo la rivoluzione islamica in Iran gli USA con il loro intervento in Iraq si prefiggevano anche un colpo contro l‘Iran. Era mirato contro il sistema religioso dell’Iran che si chiudeva sempre di più rispetto all‘esterno.
Ma gruppi con il sostegno iraniano in Iraq opposero una massiccia resistenza. Gli USA a loro volta dovettero incassare pesanti contraccolpi, più che negli anni precedenti in o in America Latina.
Questa condizione si estendeva dall’Iraq fino al Libano. L’Iran in Iraq sosteneva in gruppi Badr e in Libano gli Hezbollah. Questo rappresentava una resistenza aperta contro gli USA ed era dovuto alla tattica di “combattere il nemico fuori dal Paese”. Così l’Iran non lasciava che nulla che ritenesse un potenziale pericolo per sé si avvicinasse ai propri confini. In Siria questo si riconosce in modo molto chiaro.
2011: Tunisia, Egitto, Libia e Siria
Nel 2011 in Tunisia è iniziata una rivoluzione. Il popolo si sollevò contro trent’anni di dittatura. In breve tempo riuscì a prendere il sopravvento, il dittatore fu costretto a fuggire dal Paese. La resistenza si spostò in Egitto, Mubarak fu rovesciato. In seguito le manifestazioni si estesero alla Libia. Anche se Gheddafi riuscì a tenere per un determinato periodo, alla fine fu rovesciato.
Fu al più tardi allora che si svegliò la Russia. Da un lato si ammetteva che si sarebbe dovuto “dire qualcosa” già prima e dall’altro lato si segnalava che da subito si sarebbe fatto uso del proprio diritto di mettere bocca. Perché gli USA erano impegnati a strumentalizzare la “primavera araba“”per scopi propri. Questo significava contemporaneamente mettere “sotto controllo” la rivoluzione iniziata dal popolo.
Il 14 marzo 2011 iniziarono le rivolte in Siria. Gli USA e la Russia hanno fatto molto per essere presenti sul posto. Gli USA contavano sulla Turchia, questa però si prendeva gioco anche degli USA e cercava una propria strada per aumentare la propria influenza. Insieme all’Arabia Saudita e al Qatar puntava sull’islam sunnita, ossia sui Fratelli Musulmani.
Nonostante questo gli USA cercarono di esercitare influenza sui gruppi armati. Questi ricevano in modo molto aperto sostegno militare, logistico e finanziario.
La Russia dall’altra parte prendeva partito per il regime Baath. Anche un terzo attore, l’Iran, voleva esercitare influenza e mostrarsi presente.
Ma in Siria nacque un’ulteriore forza, che forse nessuno si sarebbe aspettato in quella forma: i curdi. Questi fecero una rivoluzione da Kobanê passando per Afrîn, Dêrik, Amûde e in molti altri luoghi. In breve tempo si creò una nuova forza militare efficace: le YPG. Le Asayîş assunsero la responsabilità della sicurezza interna.
Questo ha fatto saltare i piani di diverse potenze, primi tra tutti degli USA, della Russia e della Turchia – perché i curdi semplicemente non li aveva calcolati nessuno – e da ultimo li costrinse a sviluppare passaggi politici e tattici nuovi. La Turchia per esempio non continuò a far concentrare la “Coalizione Nazionale delle Forze Siriane Rivoluzionarie e di Opposizione“ sulla caduta del regime di Assad, ma sul Rojava, la cui eliminazione era l’obiettivo. Questo piano venne eseguito con il KDP (Partito Democratico del Kurdistan sotto la guida di Barzani). Ma i curdi oltre alla loro unità militare ne hanno creata anche una politica e costruito il governo cantonale autonomo.
A questo a livello politico è stata contrapposta una “diplomazia coperta” e a livello militare IS. Il culmine di questi attacchi fu il settembre 2014 a Kobanê. I curdi la difesero fino al novembre 2014, intervennero gli USA e fecero i primi attacchi aerei. Questo significava un primo passo degli USA per una futura collaborazione con i curdi. Tuttavia spesso parlavano anche della “sintonia” con il Kurdistan del sud, a volte perfino di un’unificazione.
Con il sostegno dei curdi l’allora appena creata coalizione internazionale anti-IS ammise da quale parte si sarebbe schierata in futuro in Siria. Questo inizialmente si limitò solo ad attacchi aerei e al sostegno tramite alcune “unità speciali”.
Dall’altro lato ora la Russia mostrava apertamente dove si era posizionata nel conflitto siriano, dislocando forze in diverse basi militari a Latakia, Tartus, Damasco, Hama, Homs e Aleppo. L‘Iran spostò le sue forze Hezbollah dal Libano in Siria, rafforzando la sua presenza militare ad Aleppo, Hama e Damasco. A Idlib prese in carico diverse amministrazioni locali.
Mentre la Russia, l‘Iran e gli USA per la loro presenza in territorio siriano si richiamano a strutture locali o al regime Baath, la Turchia ha iniziato la sua occupazione in base a concessioni nei confronti delle potenze internazionali. La sua operazione si fonda sulla sua profonda inimicizia nei confronti dei curdi e dei loro alleati. L’occupazione è iniziata il 24 agosto 2016 a Jerablus (Jarabulus), successivamente la Turchia voleva avanzare in direzione di Minbic (Manbij). Tuttavia le potenze internazionali le hanno chiarito che poteva garantirsi la protezione delle proprie frontiere solo lungo il confine, non in direzione dell’entroterra. A questo punto ha fermato il suo tentativo di occupazione di Minbic e si è diretta verso Al-Bab per continuare a mantenere separati tra loro i cantoni di Afrîn e Kobanê. Nelle zone occupate la Turchia ha costruito circa dieci stazioni di polizia. Questo la rende definitivamente un’aggressione nella regione, che per giunta occupa anche territorio siriano.
Con questo sono sul palco gli attori principali che hanno i propri piani per la Siria e rappresentano rispettivamente i propri interessi nella regione, e si sono posizionati. Questi sono USA, Russia, Iran e infine la Turchia. Oltre a questi sono rappresentate altre forze della “coalizione internazionale”.
La presenza di questi attori mostra che nella guerra in Siria in corso da sei anni non si tratta di una guerra dei popoli della Siria. Invece sono gli attori citati che cercano di prendere la fetta più grossa della torta. E intanto sono le persone in Siria che devono sopportare il dolore e le crisi.
Seyit Evran, giornalista