Ecco perché il golpe contro Erdogan è fallito: il ruolo dell’amico-nemico Gulen e la rottura dei rapporti con gli Usa
Il colpo di stato naufragato in Turchia è diventato una crisi internazionale. Chi è Fethullah Gulen, l’uomo che sta provocando la maggiore contrapposizione tra Usa e Turchia e forse nella Nato degli ultimi 50 anni? Perché Erdogan, pur di riavere indietro questo anziano Imam in esilio negli Usa, chiude la base Nato di Incirlik e tiene sotto pressione Washington? Con il golpe fallito emerge il nodo principale della questione: una rottura clamorosa tra gli interessi della Turchia e quelli occidentali.
Gulen, accusato da Ankara di essere l’ispiratore del fallito golpe, è il simbolo di questa rottura, non la causa profonda ma la sua vicenda ci aiuta a capire la parabola della Turchia negli ultimi decenni e anche i problemi che hanno gli occidentali nel capire pezzi di storia mediorientale assai poco conosciuta, compreso il Califfato di Al Baghdadi e i legami strumentali tra Erdogan e i jihadisti con cui il presidente turco trattò direttamente il rilascio dei diplomatici turchi sequestrati a Mosul nel 2014. Fu uno dei tanti episodi che non erano piaciuti agli americani, per altro sempre ambigui e spericolati sul che fare con i radicali islamici, utilizzati in funzione anti-russa dai tempi dell’Afghanistan negli anni ‘80 e poi in chiave anti-iraniana come vorrebbero fare adesso per dare una mano al fronte sunnita.
“Con il golpe fallito emerge il nodo principale della questione: una rottura clamorosa tra gli interessi della Turchia e quelli occidentali”
Magnate e mistico sufi, intellettuale e scrittore, uomo d’affari e predicatore scrittore, amico di Giovanni Paolo II: chi è davvero Fethullah Gulen, da vent’anni in esilio in Pennsylvania, che sembra diventato il peggiore nemico del premier turco Erdogan? Golpista qui in Turchia fa rima con gulenista.
Eppure negli anni passati è stata proprio questa santa alleanza tra questi due islamisti – Gulen, detto “Hoca”, il Maestro, ed Erdogan – che aveva fatto fuori l’élite militare dalla scena politica e costruito l’ormai appannato modello di potere musulmano e democratico dell’Akp. Anzi, questo potrebbe spingerci a fare qualche riflessione sul perché questo golpe è fallito: i gulenisti delle forze armate in fondo avevano aiutato l’Akp a far fuori la vecchia guardia militare e può essere una delle ragioni che ha trattenuto i kemalisti dell’esercito a tenersi lontani dal tentativo di colpo di stato.
Le vicende politiche di questi anni in Turchia hanno insinuato crepe e divisioni in quelle forze armate una volta compatte e tetragone che detenevano anche un forte potere economico: l’ascesa dell’Akp e dei gulenisti ha ridimensionato un sistema dominante per decenni. Non è un caso che il partito kemalista di Chp abbia condannato il golpe, seguito poi da tutti gli altri. Quella tra Gulen ed Erdogan è una battaglia dai contorni sotterranei e a volte misteriosi che ha segnato le vicende della Turchia entrando soltanto di sfuggita nei libri di storia.
“Quella tra Gulen ed Erdogan è una battaglia dai contorni sotterranei e a volte misteriosi che ha segnato le vicende della Turchia entrando soltanto di sfuggita nei libri di storia”
La più influente confraternita musulmana, una sorta di Opus Dei all’islamica, che con Gulen ha raggiunto milioni di seguaci e un fatturato di miliardi di dollari, costruendo scuole, università, controllando giornali e gruppi economici, infiltrandosi nella magistratura e nella polizia, ha origini nello sperduto villaggio anatolico di Nurs, vicino al lago Van. È qui che nasce nel 1876 Said Nursi, sceicco sufi che intendeva riconciliare la fede con la scienza e il mondo moderno. Fu uno dei più grandi riformatori dell’islam ma per decenni fu vietato pronunciarne persino il nome. Kemal Ataturk, che pure ne ammirava la figura carismatica, dopo la disgregazione dell’Impero ottomano nel 1925 abolisce tutte le confraternite: tra queste la tarika di Said Nursi, denominata Nur, Luce. Said Nursi si ritira a vita privata ma continua a fare proseliti, scrive 6mila pagine di commenti al Corano, corrisponde con intellettuali, Papi e patriarchi ortodossi, invocando l’unità delle religioni contro il materialismo. Perseguitato e più volte arrestato, muore nel 1960 nell’oasi di Urfa, da latitante. La sua tomba resta un segreto ben custodito dai seguaci che temevano venisse profanata.
Fethullah Gulen, seguace di Said Nursi, è figlio di questa storia dai tratti esoterici. Ma anche della rivalità con l’altra confraternita dei Naksibendi che nel dopoguerra trova il suo rinnovatore nell’imam Mehmet Zahid Kotku. Anche lui è un sufi che trasforma il sonnolento Ordine dei Naksibendi nella vera scuola socio-politica: sono seguaci di Kotku il presidente Turgut Ozal, il primo ministro Necmettin Erbakan, lo stesso Erdogan.
Ed ecco un altro tassello che ci collega all’Isis e quello che è accaduto in questi anni recenti. Tra i seguaci della setta dei Naksibendi seguita da Erdogan c’era anche Izzat Ibrahim al Douri, ex vice di Saddam Hussein. Questo è forse l’aspetto meno conosciuto e più interessante dell’ex gerarca che apparteneva all’Ordine dei Naqshbandi, una confraternita musulmana molto estesa, dall’Asia centrale alla Turchia alla Mesopotamia. Credenziali che in qualche modo lo devono avere reso affidabile anche gli occhi del Califfato: è stato Al Douri a forgiare l’alleanza con l’Isis tra baathisti ed ex Saddamiani che ha portato all’avanzata nel Siraq dello Stato Islamico.
Gulen fa la sua ascesa negli anni ’80, poco dopo la morte di Kotku, diventando amico di Ozal con il quale trova un forte terreno d’intesa liberando lo spirito imprenditoriale delle famose “Tigri dell’Anatolia”, quella classe media musulmana tradizionalista, esclusa dai kemalisti, e attirata dalla predicazione islamica di stampo quasi calvinista di Fethullah che mette l’accento sul successo economico e individuale. Hoca Effendi Gulen – che nel ’99 si autoesilia in Usa per sfuggire a un processo per eversione da cui è stato assolto nel 2008 – si appoggia alla rete delle “dershane”, comunità di studio, preghiera e mutuo soccorso. La sua confratenita, denominata Cemaat, conta ora su decine di università e centinaia di scuole preparatorie e milioni di seguaci, dai quattro ai cinque solo in Turchia, senza contare l’associazione imprenditoriale Tusko, l’impero mediatico Zaman, la finanza islamica (Bank Asya). Secondo alcune stime governa asset per 25 miliardi di dollari ma non è sempre chiaro chi siano i veri finanziatori. Nella lotta tra Erdogan e Gulen molti osservatori vedono una battaglia storica tra la confraternita sufi dei Naksibendi e quella dei Nurcu fondata da Said da cui ha tratto ispirazione Gulen. Già anni fa si osservava che era un’alleanza innaturale, quasi tattica, per far fuori i kemalisti e i militari.
Ma la competizione a sfondo religioso non spiega tutto. L’obiettivo di Gulen era una riforma radicale della repubblica ereditata da Ataturk mentre Erdogan non intendeva rovesciare completamente il sistema kemalista e punta a una democrazia presidenziale dai tratti autoritari con valori islamici. I due sono in rotta di collisione anche in politica estera. Gulen si è sempre detto contrario ad appoggiare la guerriglia islamica anti-Assad in Siria, alla rottura con Tel Aviv – ora ricomposta – all’apertura ai Fratelli Musulmani.
Perché Gulen ed Erdogan sono arrivati allo scontro? Così rispondeva qualche tempo fa Fatih Ceran, portavoce dei gulenisti: “Noi abbiamo sostenuto Erdogan e l’Akp quando si trattava di sottrarre il potere ai militari per consegnarlo alla società civile. Ma ci rifiutiamo di accettare soluzioni anti-democratiche. Hizmet ai suoi occhi è troppo liberale e indipendente”. Sarà stato anche così ma nella sede di Istanbul dei gulenisti, nella parte asiatica sul Bosforo, mi accolsero mostrandomi un video dove l’Imam stringeva le mani a Bush jr e senior, a Clinton e a tutto l’establishment americano degli ultimi trent’anni.
Ecco cosa c’è dietro a un golpe, tra cause dirette e indirette: la rottura degli interessi strategici della Turchia, che puntava a diventare un Paese leader del mondo musulmano annettendosi economicamente la Siria e l’Iraq e quando nel 2011 il piano è naufragato tra guerre e rivolte Erdogan ci ha provato con altri mezzi, la guerriglia jihadista, all’inizio comunque approvata dagli americani i funzione anti-Assad e anti-Iran. Poi sono venute le intese con Teheran sul nucleare e l’intervento della Russia a cambiare i dati strategici. Non solo: sia gli Usa che la Russia hanno appoggiato i curdi siriani in chiave anti-Isis, vero incubo strategico per la Turchia. E ora si metteranno forse d’accordo per spartirsi le zone di influenza nella regione. Erdogan si sente “tradito” dagli Usa, i golpisti da Erdogan per la sua politica anti-Nato e a loro volta hanno “tradito” il presidente che ha fallito i suoi obiettivi espansionistici. Così si è aperto un nuovo vaso di Pandora in Medio Oriente.
di Alberto Negri, Il Sole 24 Ore
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