“Mi chiamo Kurdistan”: “Combattiamo non solo per la nostra famiglia, ma per tutte le famiglie”
di Lorenzo Giroffi – C’era una volta il Kurdistan. Oggi, di quel paese, resta un popolo. Circa 40 milioni di persone sparpagliate tra Truchia, Iraq, Iran, Siria: si chiamano curdi e si battono perché vi possa essere un’unione dei popoli più che un’unione degli Stati. Il nome che solitamente si associa al loro è quello del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Il loro più tenace oppositore è il presidente turco, Erdogan, che ha indetto ufficialmente elezioni anticipate per il prossimo 1. novembre e che, pur dichiarando ufficialmente guerra al sedicente Stato islamico (IS), non è riuscito a dissipare i sospetti sui suoi reali obiettivi tra i quali spiccano, appunto, i curdi.
Noi, da oggi e per le prossime tre settimane, ogni giovedì, con Lorenzo Giroffi visiteremo il Kurdistan. Lui che ci aveva già portati nel Donbass ora ci porterà sui monti della guerriglia (1); nei campi profughi della guerra siriana (2) e al confine turco-siriano (3). Un viaggio in una diaspora che ha fatto – e sta facendo – anche la nostra cronaca, la nostra storia.
‘Siamo per l’unione di popoli, non di Stati’.
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